STORIE DELLA BATTAGLIA DI CASSINO VISSUTE DICIOTTO ANNI DOPO (PRIMA PARTE)
Data: 13-03-2004Autore: GIANCARLO LADICategorie: TestimonianzeTag: #post war, armi-equipaggiamenti, ritrovamenti

STORIE DELLA BATTAGLIA DI CASSINO VISSUTE DICIOTTO ANNI DOPO (PRIMA PARTE)

Siamo nell’inverno del 1962. Poco a sud di Mignano di Montelungo dirigo la costruzione di un lotto dell’Autostrada del Sole. Sul punto di valico dell’intera tratta autostradale è in avanzato stato di realizzazione un gran viadotto che scavalca la larga e profonda forra denominata “Varo dei Lupi”. Il viadotto prenderà poi il suo nome. Questa forra, con un’altra precedente più vicina a Mignano e denominata “Ariani”, era verso la fine del 1943 ed al principio del 1944 usata quale rifugio dei reparti delle forze alleate di seconda linea che in essa, in sicurezza, erano accampate per riposo nell’attesa di essere impiegate in combattimento od evacuate se ritirate dalla linea del fronte. Appena superato il Varo dei Lupi, per chi procedesse verso Napoli, iniziata la lunga discesa, vedrebbe tagliate dal tracciato dell’autostrada due collinette con fra loro una valletta che allora era denominata, chissà poi perché, “La conca della marchesa”. Durante lo sminamento preliminare agli scavi di sbancamento, in questa “conca”, il rilevatore magnetico aveva dato, per una vasta zona, forti segnali. Mi era noto che subito dopo il passaggio del fronte, gli Alleati solevano procedere ad una prima bonifica da ordigni bellici. Erano scavate delle fosse con i buldozer, vi si accumulavano i residuati e quindi le riempivano nuovamente di terra ricoprendo il tutto. Ero certo di aver incontrato uno di questi depositi. Data disposizione al capo degli sminatori (mio amico e complice), ben a conoscenza della mia passione per il recupero dei cimeli ed ex sotto ufficiale dei bersaglieri, di non procedere oltre in zona nell’attesa di organizzare l’esplorazione della fossa in un momento favorevole senza molte presenze d’operai, lasciai il sito.

Una domenica mattina, in tre con una ruspetta, ci mettemmo al lavoro all’alba. La zona segnalata aveva una superficie di circa cinque metri per cinque. Per non farvela tanto lunga vi dirò che dopo un non facile lavoro la ruspa ci tirò fuori, invece del deposito di munizioni previsto, una camionetta intera. Intera per modo di dire visto che aveva incassato un colpo che l’aveva sbudellata. Al suo interno vari oggetti tra i quali un Thompson mod. 1928 A1, cal. 45 ACP con tutti i segni delle schegge dell’esplosione ed ancora con la pallottola in canna. Vi farà piacere conoscere la matricola di quest’arma, di cui vi allego la foto ed alla quale l’esplosione aveva anche strappato il guardamano di legno con il suo supporto d’acciaio nonchè il calciolo. Questa matricola è: S 421996.

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Per chi proveniendo da Roma in direzione di Napoli, dopo aver lasciato sulla destra il piccolo borgo di S.Angelo in Theodice, attraversato il Gari e superato sulla sinistra monte Trocchio, prima di iniziare la lunga salita che lo avvicinerà a Mignano di Montelungo, alzasse lo sguardo sulla scarpata di destra dello scavo in trincea dell’autostrada, vedrebbe il luogo ove, al tempo dei lavori di costruzione dell’autostrada stessa, esisteva una casa colonica riedificata dopo la guerra e la sua precedente distruzione. La casa colonica interferiva con il tracciato autostradale quindi fu espropriata e nuovamente demolita fino al piano di campagna. Due operai che lavoravano in un mio cantiere mi raccontavano che anni addietro avevano partecipato alla ricostruzione della casa in questione e che avevano usato lo scavo delle fondamenta per disfarsi di diverse armi in loro possesso. Giunta la solita domenica propizia, fermi i cantieri, con i due operai iniziammo a scavare in cerca del tesoro. Eravamo al lavoro da un paio d’ore quando giunse sul luogo un tizio che i due operai mi dissero essere l’ex proprietario della casa che viveva nei pressi. Incuriosito dei lavori di scavo che si stavano conducendo presso l’abitazione era venuto ad accertarne la ragione. Messo al corrente dei fatti escluse categoricamente che nelle fondazioni vi potessero essere delle armi, se vi fossero state lui certamente lo avrebbe saputo. Gli operai d’altronde insistevano asserendo d’averle nascoste a sua insaputa. Continuammo a scavare per un’altr’ora sempre sotto lo sguardo vigile dell’ex proprietario risentito perché non volevamo dargli ascolto. Cominciavo a stancarmi ed a pensare che dopo tutto forse aveva ragione quando i badili ed i picconi cominciarono a scoprire vecchia ferraglia arrugginita e corrosa dalla calce. Erano canne di fucili Enfield e Garand che avevano fatto blocco con gli otturatori, le parti di legno completamente scomparse, baionette e pistole Colt 45 mod. 1911- A1 ed Astra 45, il tutto assolutamente irrecuperabile poiché la calce aveva divorato senza pietà oggetti e storia. Peccato! Gettare via tutta quella grazia di Dio per paura di chissà quale legge o disposizione cretina! Quanto è stupida la gente timorosa di tutto! Il proprietario si scusava dicendo ancora di non saperne nulla, anche lui timorosissimo chissà di che!

Lavoro grosso questa sera dopo cena! Ho consumato in fretta e da solo il pasto al solito tavolino dell’hotel Excelsior (durante la guerra Continental) nel quale vivo ormai da diversi mesi e sono salito nella mia camera che puzza di petrolio. Mi attende un bel proiettile da 90 mm che cercherò di rendere inoffensivo. L’ho trovato questa mattina sulla riva boscosa del Gari poco distante dal tracciato dell’autostrada in costruzione. Era con un altra decina uguali in una piccola buca a cielo aperto nel folto di un cespuglio di giunchi che sfiorava con i suoi rami flessibili l’acqua del fiume. Non penso fossero lì dalla battaglia, piuttosto erano stati posti in quel posto dopo il recupero anche se mi era parso strano che non vi fossero insieme ordigni d’altro tipo, come di solito avviene e fossero in uno stato di conservazione ottimo. E’ la prima volta che vedo una bomba del genere. Non era riportata neppure nelle sinossi sulle quali studiavo alla Cecchignola quando, allievo ufficiale, frequentavo il corso di geniere guastatore.

La mia stanza d’albergo non è nuova a vedere imprese del genere e sorrido al pensiero della faccia che avrebbero fatto gli altri ospiti dell’albergo se avessero saputo che nella camera accanto alla loro si compivano lavori tanto emozionanti. Veramente anche oggi mi viene da sorridere quando è rinvenuto un ordigno della passata guerra e tutte le “Autorità” si mettono in agitazione con sgomberi di popolazione, grancassa di televisione, giornali, avvisi d’orari d’intervento, forza pubblica e tante altre buffonate all’italiana. Io ho sempre dormito con le mie bombe sotto il letto sonni sereni e tranquilli. In ogni modo torniamo alla mia di bomba che non conosco e quindi non so da che parte cominciare a lavorarla. E’ di una forma inusitata, a mezza strada tra una bomba di mortaio ed un proiettile di bazooka. Ha un piccolo contenitore d’alluminio cilindrico fissato con una graffetta all’aletta posteriore circolare di stabilizzazione contenente una spoletta od accenditore da inserire nell’ogiva, anche questa di una forma strana ed inusuale. Tutto il proietto e di lamierino sottile e non di ferro pesante come quelli di mortaio. Lo guardo a lungo prima di decidermi a metterci le mani. Posteriormente, nella parte centrale, ha l’alloggiamento per una carica di lancio. Dalla forma, dai componenti e dal peso ne deduco sia un proiettile a carica cava anticarro e da una fascia verde verniciata intorno all’ogiva che sia caricato con T 4 plastico. Una ghiera di lamierino filettato circonda l’ordigno come ad unirne due parti componenti. Provo con cautela a svitarla con le sole mani ma non si muove. Insisto a lungo ma non ci riesco. Non è il caso di forzarla con qualche strumento quindi decido di tagliarla con delle forbici ed aprirla senza svitarla anche perché non ignoro l’esistenza di proiettili trappola che esplodono nel tentativo di disattivarli, lasciati appositamente sul terreno dai due belligeranti. Dopo lunga e piena di tensione fatica riesco a tagliare la ghiera, l’allargo e la sfilo. I due componenti della bomba appaiono ora chiaramente divisi. Dopo averci pensato su un bel po’ e bevuto un cognacchino, con infinita delicatezza, mi accingo a separarli l’uno dall’altro; è fatta! I due pezzi sono sul tavolo, l’uno lontano dal suo reciproco. La parte anteriore, sagomata a calotta convessa sferica, contiene solo l’alloggiamento della spoletta e serve a creare la cavità nella carica contenuta nell’alta parte del proiettile. La parte posteriore ospita, come avevo supposto, la carica cava in T 4 plastico e la carica di lancio nonché le alette stabilizzatrici. Dunque ora tutto è chiaro. E’ un proiettile anticarro che sfrutta l’effetto Monroe della sua carica cava per forare la corazza dei carri. La domanda che mi gira però nel cervello è: ma da che diavolo d’arma sarà sparato? La risposta arriverà molto tempo dopo a seguito di lunghe ricerche.

L’arma è un lanciatore inglese molto primitivo e pesante che cesserà la sua esistenza poco dopo la fine della guerra (1951): Projector Infantry Anti-Tank, "PIAT".
PIAT: lunghezza 990 cm, peso Kg 15,16, raggio d’azione contro carro 105 m, raggio d’azione contro edifici 320 m.

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Amici a presto e se volete vedere le foto dell’arma fatemelo sapere.

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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