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THE BLOODY RIVER
Data: 15-01-2004Autore: ROBERTO MOLLECategorie: Le battaglieTag: #gennaio 1944, gari-rapido-area, gari-rapido-fiume, usa
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THE BLOODY RIVER

Sant’Angelo in Theodice, 20-22 gennaio 1944


Gennaio 1944, i ragazzi della 36ª Divisione "Texas" vanno a morire. e lo sanno. Tutti, dal più alto in grado all'ultimo soldato, conoscono il loro destino; è impossibile che l'attacco abbia successo, ma eseguono ugualmente gli ordini: andare avanti.

Vengono mandati in 5000 all'attacco delle munite difese tedesche sull'opposta sponda del fiume Gari, quasi 2000, tra morti, prigionieri e feriti, non torneranno indietro. E' una delle pagine più terribili della battaglia di Cassino ma anche di tutta la seconda guerra mondiale. Un'intera divisione americana fu mandata all'attacco sulla base di un piano assolutamente insensato senza alcuna speranza di riuscita.

Il comando della 5ª Armata aveva pensato di concertare lo sbarco di Anzio con un grande attacco al centro della linea Gustav, in pianura, proprio al centro dell'imbocco della Valle del Liri.
Tale compito fu affidato dal generale Clark ai reggimenti 141° e 143° della 36ª Divisione "Texas", unità composta da veterani della Campagna d'Italia, che avevano combattuto valorosamente sulla "Winter Line" ed a S.Pietro Infine. Ma il piano si rilevò disastroso.
I panzergrenadieren della 15ª Divisione avevano avuto tutto il tempo per minare le sponde del fiume, predisporre trappole esplosive persino nell'acqua, costruire bunker e postazioni di mitragliatrici che battevano ogni centimetro della riva; per non parlare delle batterie di cannoni e dei lanciarazzi nebelwerfer che dalle retrovie potevano colpire qualsiasi obiettivo.

Questo era lo scenario che attndeva i ragazzi della Texas: passare attraverso i campi minati di notte, portando con se tutto l'equipaggiamento e i canotti per il guado, vincere le fredde acque del Gari e la sua vorticosa corrente, arrivare sulla riva opposta e farsi largo tra filo spinato e le mine, distruggere le munite posizioni tedesche; tutto ciò con il proprio armamento personale in quanto non si poteva contare su un appoggio diretto dei carri armati. Gli ufficiali capirono subito che il piano era fallimentare ma a nulla servirono le loro rimostranze. L'attacco doveva essere effettuato ad ogni costo e molti andarono incontro al loro destino sapendo che a nulla sarebbe servito il loro sacrificio.

Ecco come Walter Nardini, nel suo libro, descrive il primo attacco:

Il sole calò d'improvviso dietro le cime spruzzate di bianco e la luce si spense lentamente. Scese la sera e quando il buio divenne fitto, impenetrabile, cinquemila fanti americani, preceduti dalle guide, cominciarono ad avviarsi verso il fiume. Ogni soldato teneva la carabina stretta davanti a sé, come se le mani cercassero di trarre da essa il coraggio e la forza per andare avanti, la baionetta innestata sulla canna, il caricatore con otto colpi pronto a svuotarsi al minimo cenno di pericolo. Ciascuno disponeva inoltre di una bandoliera con centotrentasei proiettili e di quattro granate a mano: con quelle poche armi dovevano difendersi da un'incognita che, passo dietro passo, diventava sempre più paurosa. Una nebbia fitta e gelata si era sollevata sulla pianura avvolgendo tutto e tutti in un silenzio che non aveva niente di naturale.
Nessuno sapeva di preciso quanto lontano fosse il guado, nè c'era tempo per pensarci; dovevano stare attenti a non scivolare nel fango, a non far rumore, mentre rabbrividivano nelle leggere giubbe da campagna, a tener gli occhi puntati nell'oscurità, sobbalzando non appena il piede toccava qualcosa di insolito. La vegetazione spoglia e già bruciacchiata dalle esplosioni, diventava sempre più rada e, poco più il là, di fronte, c'era il fiume: il Rapido. Era un nome che non avrebbero mai più dimenticato.

E quasi subito, come ad un comando stabilito, si scatenò l'inferno. Dal paese di Sant'Angelo, da Cassino, dalle trincee e dalle postazioni sparse un pò dovunque, si abbatté sui due reggimenti una pioggia di granate e di proiettili che sembrava non dovesse aver più fine. Le compagnie persero i contatti l'una con l'altra e si riversarono verso il Rapido a mano a mano che arrivavano nella zona di raccolta. Non c'era tempo per appurare se la direzione era giusta, se di fronte a loro i campi minati erano già stati ripuliti; chi si fermava veniva inesorabilmente falciato o rimaneva a vagare tra la nebbia, finché una mina non poneva fine alla sua esistenza.

E, giunti sulla riva, gli americani ebbero la sgradita sorpresa di trovare che la maggior parte dei battelli era inutilizzabile. Gli "indecenti canotti di gomma" giacevano sventrati dalle schegge, inutili mezzi di trasporto di una spedizione che si stava rilevando di minuto in minuto sempre più sbagliata. Tutte le previsioni, gli studi, i piani, ora non servivano più a niente; bersagliati da ogni lato dalle raffiche delle mitragliatrici tedesche, i più "sfortunati" riuscirono a tirarsi dietro le imbarcazioni ancora intatte fino al luogo che era stato prescelto per l'attraversamento. Ma la corrente era più forte di quello che si era creduto, ed esse venivano portate via prima che i soldati potessero salirvi. E salirvi, era forse il problema più arduo.

Per un motivo inspiegabile era stato preferito fra tanti il punto in cui gli argini erano più scoscesi, per cui bisognava saltare dentro il battello appena questo toccava l'acqua, oppure cercare di prendervi posto mentre un compagno, steso sul terreno, tentava di tenerlo fermo. E tutto era reso mortalmente pericoloso dalle granate nemiche che esplodevano dovunque, senza interruzione, sollevando spruzzi e colonne di fango, falciando l'aria con migliaia di schegge. E gli uomini cominciarono a morire. Imbottiti di pallottole, trascinati via dai flutti assieme ai loro canotti, i "ragazzi del Texas" presero a maledire chi li aveva mandati a morire in quel posto. Nessuno e nulla li poteva aiutare; le loro forze, il coraggio, la volontà di andare avanti non bastavano, e cominciarono a rendersene conto. Uno dietro l'altro i battelli venivano gettati in acqua e, uno dietro l'altro, sparivano nel buio con tutto il loro carico di uomini. E la riva era lì, distante appena una decina di metri, ma chi la raggiunse non poté più tornare a raccontare che cosa avesse trovato dall'altra parte.

Alle quattro di mattina di martedì, sei ore dopo l'inizio dell'attacco, una tremolante passerella fu gettata sul Rapido. La nebbia gelava quasi subito al contatto delle strutture e i soldati meno guardinghi scivolavano, finendo a capofitto nell'acqua. Sibili di proiettili, tonfi di granate spazzavano la zona, creando uno scenario apocalittico.
Nel settore del 141° Reggimento, intanto, i genieri tentavano di costruire un ponte da otto tonnellate per la fanteria. Sebbene i genieri del Corpo avessero dato parere contrario, il generale Keyes aveva voluto che quel ponte si facesse. Lavorando febbrilmente, lottando contro il tempo, essi riuscirono a gettare le prime sezioni, poi i tedeschi li spazzarono via dall'acqua come fuscelli e continuarono a battere quel tratto di fiume impedendo ogni più piccolo movimento. E improvvisamente, così come era cominciato, il fuoco diminuì d'intensità ed un rumore cupo, sordo, tremendamente noto, riempì le orecchie degli uomini ammassati sulle rive: "Carri armati, carri armati!".

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Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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