"CORRIERE DELLA SERA" e "THE TIMES": LA BATTAGLIA DI CASSINO.
Confronto tra la realtà storica della Battaglia e la sua descrizione giornalistica.
Un aspetto esaminabile delle pagine del Corriere della Sera e del The Times è sicuramente quello della
loro attinenza alla veridicità dei fatti.
Per comprendere ciò che il lettore percepiva della
battaglia è necessario osservare se le vicende descritte rispecchiavano
totalmente la realtà.
E’ opportuno quindi dividere i fatti raccontati nelle
quattro battaglie per avere una visione più chiara.
Per quanto riguarda la prima battaglia il primo punto da
esaminare è sicuramente quello del disastro del fiume “Rapido”[1].
Scorrendo le pagine sia del “Corriere
della Sera” che del “The Times”,
nei giorni successivi all’accaduto, colpisce subito la superficialità con la
quale l’argomento è trattato, specialmente per il fatto che quell’azione costò
la vita a centinaia di soldati, e al generale Clark, che aveva ordinato
l’attacco, una messa in stato di accusa, al termine del conflitto[2].
Lo stesso “Corriere” sempre pronto a
sfruttare le sconfitte avversarie “colorandole” di toni disastrosi, rimase
abbastanza insensibile e solo così commentò il 23 gennaio l’accaduto: “Alcuni chilometri più a nord [della foce
del Garigliano. N.d.A.] è fallito un
tentativo di passaggio della riva settentrionale. Presso il torrente Rapido,
benché il nemico abbia insistito ripetutamente cercando di raggiungere il suo
intento, gli attaccanti sono stati bloccati sulla riva orientale, ogni volta
con perdite sensibili dallo sbarramento di fuoco germanico”.
Ciò è ancora più spiegabile dalle stesse parole del
generale Rodt, comandante della 15ª divisione Panzer Grenadier, che nella sua
relazione all’indomani del fallito attacco, descrisse così l’accaduto: “Forti distaccamenti nemici e possibile
ricognizione in forze”[3].
I tedeschi avevano subito solo 64 morti e non avevano avuto alcuna necessità di
chiamare rinforzi. Venne così considerato solo un tenue diversivo per allentare
la minaccia verso la testa di sbarco ad Anzio.
Il silenzio del quotidiano londinese è quasi totale e
forse più comprensibile, data l’entità del disastro. Ecco come venne raccontato
addirittura il 25 gennaio, tre giorni dopo: “[.] gli Americani a sud di
Cassino si sono dovuti ritirare attraverso il fiume Rapido, ma è un
ripiegamento verso le loro proprie precedenti forti posizioni dopo un
contrattacco che è costato al nemico costosamente”[4]
e ancora “Le truppe americane a sud di
Cassino, che sono avanzate attraverso il Rapido vicino Sant’Angelo, sono state
costrette a ritirarsi sulla riva orientale dopo un violento combattimento corpo
a corpo. Il contrattacco nemico qui è stato così feroce che gli Americani hanno
esaurito tutte le loro munizioni e hanno attraversato il fiume minacciando il
nemico con la baionetta”[5].
Da una parte quindi il “Corriere” non fece altro che seguire il proprio solito schema nel
raccontare i tentativi alleati, cioè sottolineando sempre i loro fallimenti, le
conseguenti perdite e l’efficace resistenza tedesca, dall’altra vi fu invece un
disperato tentativo di raffigurare questo terribile scacco in una ordinata
ritirata che avrebbe addirittura comportato numerose perdite nemiche.
I fatti che seguono il disastro del “Rapido” si
riferiscono principalmente agli attacchi francesi a nord di Cassino, gli
attacchi americani verso il paese e le sue alture settentrionali e il settore
del Garigliano. Sono da entrambe le parti descritti in maniera decisamente
parziale, intente solamente a segnalare i successi delle rispettive truppe e a
tacere o nascondere in poche righe gli insuccessi.
Riguardo agli attacchi francesi su Monte S. Croce e verso
Terelle il “Corriere” risulta,
sebbene sempre carico di retorica, necessariamente più obiettivo rispetto al “Times” da un punto di vista storico. Il
mancato sfondamento francese ci fu ma nonostante tutto il quotidiano di Londra
continuava a presentare gli attacchi francesi come se avessero aperto una
importante breccia nel sistema difensivo tedesco. Se il 26 gennaio affermava
che i francesi avevano respinto una serie di forti contrattacchi su Monte S. Croce,
la violenza dei quali veniva considerata addirittura dovuta a coprire una
ritirata dal fronte dopo lo sbarco ad Anzio, il 27 dovette ammettere che i
francesi si erano invece dovuti ritirare[6].
Il “Corriere”
infatti scriveva a questo proposito il 29 gennaio: “Anche a Monte Santa Croce, che nonostante le insinuazioni della
propaganda nemica, si trova completamente e saldamente in mano germanica, sono
proseguiti violenti scontri. Rinnovati attacchi di mercenari francesi sono
stati frustrati”.
Gli scontri si erano intanto spostati verso Terelle e
principalmente sui monti Abate e Belvedere. I progressi iniziali su queste
vette, taciuti dal quotidiano milanese, iniziarono a scemare i primi giorni di
febbraio in seguito alle sanguinose perdite subite. Questa arresto fu
presentato al lettore inglese come una necessità per consolidare le posizioni
acquisite, ma la realtà era decisamente diversa. Le truppe francesi, coadiuvate
il 30 e il 31 gennaio anche da un reggimento americano[7],
erano completamente esauste e non più in grado di avanzare a ranghi
ridottissimi. Il “Corriere” così si
pronunciò: “L’offensiva sferrata
contemporaneamente dalle truppe di Clark nel settore occidentale del fronte
appenninico continua intanto ad urtare contro la solida linea di difesa delle
truppe del Reich, che mantengono saldamente le principali posizioni. [.] Le
truppe degaulliste, nella zona di Cassino, sono state le più provate negli
ultimi combattimenti e cominciano a rallentare il loro ritmo offensivo”.
L’attacco americano verso Cassino e il massiccio alle sue
spalle venne descritto in maniera questa volta più obiettivo dal “The Times”. L’attacco, sebbene lento e
dispendioso, raggiunse quasi tutti gli obbiettivi prefissati, a parte l’ultimo
più importante, vale a dire lo sgombero dei tedeschi dal paese e da
Montecassino. Il quotidiano inglese si attenne quasi perfettamente ai fatti
come in effetti si svolsero, sorvolando naturalmente sulle numerose perdite
americane. Vennero riferiti al lettore molti particolari dell’avanzata riguardo
il terreno conquistato come la conquista delle baracche[8],
a circa un chilometro a nord di Cassino, e delle numerose quote[9]
che formavano il massiccio, che furono come riferito, teatro di aspri
combattimenti ma sistematicamente ripulite dalla presenza tedesca. Tali
conquiste accesero ampie speranze di una rapida conquista, facendo credere al
lettore che Cassino sarebbe caduta da un momento all’altro[10].
Il 27 il quotidiano londinese affermò che alcune pattuglie americane erano
entrate nell’abitato di Cassino e che prima di ritirarsi l’avevano trovato
abbandonato dal nemico[11].
Ciò risulta essere abbastanza improbabile dato che le prime pattuglie entrarono
a Cassino intorno al 2 febbraio.
Ben diverso fu l’atteggiamento del “Corriere della Sera” che tacque sistematicamente sulla perdita di
terreno e sulla creazione del saliente alleato, e descrisse ripetitivamente gli
scontri come una serie di infiltrazioni nemiche che venivano respinte
sanguinosamente e con sistematicità. Non vi fu d’altra parte alcun riferimento
ai luoghi, ma, rimanendo sul vago, narrava di aspri combattimenti sulle alture
e nei sobborghi a nord-est di Cassino.
Gli scontri sul fronte del Garigliano vennero trattate in
maniera più ampia da entrambe le testate, rispetto ai due precedenti argomenti.
Da parte italiana perché probabilmente si riteneva fino a quel momento la zona
della linea più decisamente accesa, da parte inglese invece per motivi di
nazionalità, essendo lì schierate le truppe britanniche. Leggendo gli articoli
dei giornali non è possibile avere un quadro esatto delle vicende avvenute nei
pressi di Minturno, Castelforte e le colline circostanti. Le iniziali conquiste
inglesi che portarono alla conquista di ampio territorio al di là del fiume e
che terminarono intorno al 30 gennaio, erano descritte dal “The Times” sottolineando la progressiva
avanzata e il crollo della 94ª divisione tedesca[12].
Una volta finita la spinta iniziale il quotidiano cominciò a parlare sempre
meno di questo fronte ma continuando ad affermare in brevi trafiletti che si
compivano ancora progressi e si catturavano prigionieri. La realtà dava ragione
allora al “Corriere”, che mantenne
sempre, sia nei momenti negativi sia positivi per le truppe tedesche, la solita
retorica volta a sottolineare l’inutilità di tutti i tentativi alleati di
sfondamento.
La seconda battaglia è caratterizzata dalla distruzione
dell’abbazia, dal tentativo di conquistare le quote 593 e 569 dietro il
monastero per assaltarlo e per ultimo il tentativo di conquistare la stazione
di Cassino.
I due giornali assumono comportamenti diversi. Il “Corriere” diede spazio soltanto alle
testimonianze dei monaci sopravvissuti e al bombardamento dell’abbazia di cui
diede particolari ampiamente esaustivi sulla distruzione, relegando le notizie
belliche a brevissimi trafiletti come il seguente: “Sul fronte meridionale i combattimenti si sono nuovamente concentrati
nella zona situata a nord e a nord-ovest di Cassino. In duri combattimenti le
truppe germaniche hanno potuto eliminare un’infiltrazione nemica: in seguito a
ciò i nordamericani hanno lasciato numerosi prigionieri nelle mani dei
germanici. [.] Il fatto che da ieri la IV divisione di fanteria canadese si
trova impegnata nei combattimenti di Cassino, dimostra che i nordamericani
hanno subito duramente i giorni scorsi perdite straordinariamente elevate”
(19 febbraio ed. pom.).
Questo passaggio dimostra come le notizie belliche fossero
decisamente superficiali. Probabilmente era dovuto alla censura militare o alla
semplice mancanza di notizie precise e ne sarebbe dimostrazione il riferimento
alla presenza dei canadesi a Cassino, mai trovatisi nei dintorni del paese nel
mese di febbraio. Inoltre il 16 e il 17 febbraio, insieme alle notizie del
bombardamento dell’abbazia, viene sottolineato con forza sulla prima pagina del
“Corriere” il falso anglo-americano
su una tregua d’armi. Quella a cui si riferisce il quotidiano milanese è molto
probabilmente la tregua d’armi del 13 febbraio chiesta dal colonnello tedesco
von Behr in seguito all’attacco tedesco il 12 febbraio sul Monte Castellone. Il
colonnello non informò i suoi superiori e quando la notizia raggiunse Berlino,
il comando della Wermacht chiese spiegazioni. Il generale della 90ª divisione
Baade se ne assunse la responsabilità, spiegando che la tregua era stata
chiesta dagli americani. Era una bugia, perché gli americani erano rimasti
padroni del campo di battaglia e non avevano necessità di una tregua per
raccogliere i loro morti[13].
Ciò comportò sul “Corriere della Sera”
una completa distorsione dei fatti[14].
A parte il 16 febbraio, dove vengono riferiti i
particolari del bombardamento, anche il “The
Times” come il “Corriere” non dà
particolare rilievo alle notizie di guerra ed ammette il 17 febbraio: “[.] non ci sono notizie al quartier
generale sulle nostre truppe che siano avanzate attraverso gli ultimi pochi
metri sulla cima della collina [di Montecassino]”[15].
Si affermava inoltre falsamente che le truppe americane tenevano in mano un
terzo del paese, quando in realtà solo alcuni reparti del 133° reggimento della
34ª divisione erano stanziati nella periferia nord[16].
Soltanto il 21 febbraio nella corrispondenza dell’inviato militare datata 19
febbraio e intitolata “Indians’ assault
at Cassino’”, venivano spiegati con discreta precisione i fatti salienti.
Erano citati infatti le quote 593 e 569 più l’attacco sia dei neozelandesi alla
stazione e dei gurkha verso il monastero, che non riuscirono a mantenere le
posizioni sulla collina.
Sulla presenza o meno dei tedeschi nell’abbazia sappiamo
ormai che non ve ne furono, sebbene comunque si trovassero nei pressi. La
stessa dichiarazione dell’abate Diamare venne pubblicata il 25 febbraio sul “Corriere della Sera” per smentire “il
falso anglo-americano”: “Attesto per la
verità che nel recinto di questo Sacro Monastero di Montecassino non vi sono
stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi
al solo scopo di far rispettare la zona neutrale che si era stabilita intorno
al Monastero; ma questi da circa venti giorni furono ritirati”. La polemica
anche in Inghilterra non si spense del tutto. Il 12 aprile (ed. pom.) a quasi
due mesi di distanza dall’accaduto il “Corriere”
non perse occasione di segnalare un articolo di un settimanale cattolico
inglese “Tablet” il cui autore
affermava esattamente: “La tesi che il
chiostro esercitasse un effetto nocivo al morale delle truppe alleate è forse
la giustificazione più comprensibile addotta da parte inglese. Sentendosi
osservati senza tregua dalle numerosissime finestre del convento i soldati
erano come inchiodati al suolo. Tuttavia la criminale distruzione dell’abbazia rimarrà un gesto insensato e
inutile, cosa che del resto si è già rivelata in pieno”.
I punti salienti della terza battaglia furono il
bombardamento totale di Cassino con l’avanzata neozelandese tra le rovine, la
conquista del castello (Rocca Jànula), della stazione e della “Collina del
Boia” e il tentativo alleato di prendere il monastero con un attacco corazzato
attraverso il pianoro di Masseria Albaneta.
I primissimi giorni dopo il bombardamento se il “Corriere” dava spazio alla retorica,
esaltante la resistenza dei paracadutisti, e affermava che gli attacchi
sviluppati da americani[17],
indiani, francesi[18]
e neozelandesi si infrangevano nell’ “impavida
barriera germanica” senza alcun tipo di progresso, il “Times” più obiettivamente sottolineava sia le difficoltà alleate di
farsi strada tra le macerie ma anche la conquista del castello. Riguardo a
quest’ultimo punto il quotidiano inglese il 20 marzo compì una inesattezza in
quanto definì la quota del castello 165. In realtà la quota esatta è 193. La
quota 165 è una cima più bassa collegata al castello distante circa 150 metri,
la cui importanza era molto elevata dato che da lì, dove sorgeva una casa
gialla, potevano partire gli attacchi verso le altre quote, la “Collina del
Boia” e quota 235, che difendevano l’accesso al monastero. La quota 165 passò
molte volte di mano ed alla fine venne tenuta dai tedeschi, dalla quale fecero
partire i loro ripetuti attacchi verso il castello.
Cosa molto interessante è il fatto che il “Corriere” ammetta la perdita tedesca
della stazione ferroviaria, considerandola comunque di secondaria importanza,
ma nello stesso giorno nell’edizione pomeridiana dia la falsa notizia della
totale riconquista della parte settentrionale del paese.
La mancanza di precisione nella descrizione degli eventi
da parte del quotidiano milanese è data dal fatto che da una parte, come dice
il corrispondente Luigi Romersa il 31 marzo nell’edizione pomeridiana, non era
possibile entrare nei particolari per ragioni militari, dall’altra perché
l’unico obbiettivo era quello di esaltare le gesta germanica e far risaltare
l’inutilità degli attacchi alleati, in
primis la distruzione di Cassino, che si era rivelata un grande errore
tattico. A tal proposito il 21 marzo vennero riportate le dichiarazioni
dell’esperto militare tenente Martin del Daily Telegraph che affermava: “[.] il solo bombardamento non riuscirà
mai ad annientare il nemico”.
Gli ultimi giorni della battaglia il “The Times” dovette ammettere la sconfitta. La strada per Roma, che
attraversava il paese quasi interamente conquistato, era sbarrata dalla
presenza tedesca in due edifici, l’hotel Continental e l’hotel delle Rose e dal
fuoco proveniente dalla collina del monastero. La pioggia e l’inaspettata
resistenza tedesca avevano fermato l’avanzata.
Il “Corriere”
continuò invece per tutta la durata della battaglia a disinformare attraverso
false o imprecise notizie. Il 25 marzo affermava che Cassino era per tre quarti
in mano tedesca quando in realtà era esattamente il contrario e venivano ogni
giorno segnalate conquiste all’interno, nella periferia e sulle colline attorno
all’abitato. L’attacco corazzato invece a Masseria Albaneta del 19 marzo,
completamente ignorato dal “Times”,
viene segnalato in maniera piuttosto strana dal “Corriere” il 29 marzo. La descrizione dell’azione, sebbene non
venga citato il nome di Albaneta e si parli della presenza di americani e di
tiratori algerini e marocchini[19],
sembra indicare proprio quell’azione: “[.]
gli americani hanno impiegato un tipo di carro per la guerra in montagna per
ottenere uno sfondamento a nord di Cassino, in direzione delle rovine
dell’Abbazia. Venti carri armati [.] correvano su mulattiere larghe appena
due metri e mezzo verso le posizioni dei paracadutisti tedeschi”. L’ultima
grande invenzione riguardo a questa battaglia venne riportata al lettore di
Milano il 2 aprile con l’affermazione della riconquista del castello[20].
Questo rimase anzi uno dei principali punti di forza degli alleati fino alla
conquista del monastero a maggio.
La quarta ed ultima battaglia svoltasi a maggio è
caratterizzata dallo sfondamento della linea Gustav.
Allo scoppio dell’offensiva il “Corriere della Sera” assume toni di sfida nei confronti degli
alleati. L’attacco, afferma il giornale, non era giunto di sorpresa ma anzi era
atteso dai comandi germanici[21],
e non era più rivolto in forze verso Cassino, dove il nemico aveva subito
perdite sanguinose ma lungo il Garigliano. In realtà quest’ultimi si
aspettavano un attacco due settimane più tardi e non erano pienamente a
conoscenza degli spostamenti di truppe alleate svoltasi ad aprile. Il “The Times” sottolineava infatti proprio
il 13 maggio che il nemico era stato confuso ed ingannato, la dimostrazione
proveniva dal fatto che erano stati lanciati volantini propagandistici in
lingua polacca agli indiani e viceversa[22].
Le prime fasi dell’offensiva non furono entusiasmanti per
gli alleati. Si riuscirono a creare alcune teste di ponte a sud di Cassino ma
con scarsi risultati a causa di una fitta nebbia. Più incisiva fu l’azione dei
francesi e degli americani più a sud, ma anche qui le conquiste furono limitate
e non tutti gli obbiettivi raggiunti. A questo proposito il quotidiano milanese
risulta più a ragione ottimista rispetto al “Times” che parlava di sostanziali progressi, ma in realtà, come si
evince dalla lettura degli articoli, la preoccupazione era alta a causa della
continua tenacia delle truppe tedesche e dal fronte dell’ottava armata, quella
composto da polacchi indiani ed inglesi, il corrispondente speciale ammetteva: “[.] nessuna avanzata definitiva e stata
fatta la scorsa notte”[23].
Le speranze erano riposte maggiormente nelle azioni francesi che stavano
dimostrando ancora una volta la loro abilità nella guerra in montagna ed era il
solo fronte da cui giungevano notizie non solo incoraggianti ma decisamente
ottimistiche.
Dal 16 maggio in poi, con le truppe tedesche quasi in
rotta di fronte ai francesi e agli americani, il “Corriere” poteva solo sottolineare le ingenti perdite nemiche,
l’incomprensibile ma efficace tattica di ripiegamento tedesca (“Più gli attaccanti aumentano la loro
pressione, gettando nella mischia nuove forze, più i tedeschi oppongono
l’elasticità delle loro posizioni articolate, che aprono nelle file degli
aggressori vuoti spaventosi” 16 maggio) e le gravi difficoltà dei polacchi
nella conquista delle rovine dell’abbazia. Il 17 maggio veniva data la
fantasiosa notizia della riconquista tedesca del villaggio di Santa Maria
Infante, liberato invece dagli americani dopo 60 ore di scontri la mattina del
14 maggio e addirittura di un attacco polacco verso Terelle, cosa non possibile
dato che la zona di competenza polacca arrivava al villaggio di Caira.
Il “Times”
sull’onda dell’entusiasmo per la progressiva avanzata e senza preoccuparsi
troppo del settore polacco, l’unico immobile e gravido di perdite, volle
mostrare al lettore inglese che l’avanzata procedeva meglio di quanto si era
prospettato all’inizio soprattutto per il numero di perdite[24].
Facendo però un accurato calcolo si può notare che tale affermazione risulti
quasi totalmente falsa o almeno eccessivamente ottimista. Le perdite alleate,
considerando solo l’operazione Diadem[25],
cioè dal 11 maggio al 4 giugno, giorno della liberazione di Roma, raggiungono
la cifra di circa 45000 uomini. Tale cifra risulta piuttosto alta se
consideriamo che il totale da gennaio a giugno è di 105000 uomini[26].
La conquista finale dell’abbazia e di Cassino venne presentata al lettore
inglese nell’articolo “Fall of Cassino” il
19 maggio, come il risultato della manovra a tenaglia dell’attacco polacco e di
quello inglese. In realtà l’abbazia fu volontariamente abbandonata dai
paracadutisti tedeschi, costretti a ripiegare sulla linea Hitler (denominata
poi Senger), a causa dello sfondamento francese che comportava il ripiegamento
di tutte le divisioni, per non rimanere accerchiati.
Particolarmente interessante è la questione riguardante la
linea difensiva successiva alla Gustav:
la linea Adolf Hitler. La sua esistenza era già nota agli alleati da tempo,
grazie alle testimonianze dei prigionieri tedeschi catturati. Il 21 marzo il “Corriere” affermava che la linea Gustav
“è appena la prima del sistema
predisposto per contrastare l’accesso alla piana del Liri”, confermando
quindi l’esistenza di altre tra cui la “Hitler”. Il 16 maggio, dopo lo
sfondamento della Gustav, per
rispondere alla stampa alleata, che parlava del forzatura della linea
difensiva, ecco come si pronunciava: “Le
posizioni alle quali l’Alto Comando germanico affida il compito di sbarrare la
strada al nemico non costituiscono
certamente un unico e sottile diaframma: troppo ingenuo supporre che sia così”. La linea, veniva affermato, era
composta in profondità da numerosi capisaldi che permettevano una facile difesa
elastica. Il 18 maggio però col peggioramento della situazione ecco come si
esprimeva: “[.] non c’è né una linea
“Gustav” né una linea “Adolfo Hitler” come gli inviati speciali anglo-americani
da molti giorni vanno favoleggiando. In realtà si tratta di un sistema di
fortificazioni scaglionato in grande profondità e adattato alle condizioni
geografiche. [.] si tratta di una penetrazione e non di uno sfondamento e non
bisogna aspettarsi una avanzata spettacolosa”. Lo stesso veniva ribadito il
19 maggio.
Un altro fatto da sottolineare è la presunta efficacia
della Luftwaffe, l’aviazione tedesca,
da parte del “Corriere”. Quest’ultimo
nell’arco del periodo considerato richiama l’attenzione costantemente sulle
positive azioni sulla testa di sbarco e sul fronte sud. In verità il giornale
poteva citare solo quelle poche azioni in cui l’aviazione tedesca poteva
prendere parte[27]. La
situazione era decisamente critica sopratutto per la mancanza di carburante e
per le numerose perdite subite dagli attacchi aerei alleati. Che la situazione
fosse disperata ne sono dimostrazione sia le parole di Von Senger nel suo libro[28]
che gli articoli del “The Times”.
Già il 27 gennaio apparve un articolo che molto esplicitamente affermava: “Air supremacy in Italy”. Gli alleati
avevano una superiorità dieci volte più grande rispetto ai tedeschi, e la Luftwaffe non solo non poteva
interferire in maniera sensibile sulle truppe sbarcate ad Anzio ma non poteva
neanche opporsi agli attacchi aerei alleati, volti a colpire le linee di
comunicazione nemiche[29].
Conclusioni.
Alla luce dell’analisi compiuta è possibile alla fine
giungere a delle conclusioni circa la comprensione della battaglia da parte del
lettore nell’arco dei cinque mesi presi in esame.
Il lettore del “Corriere
della Sera” era obbligatoriamente invitato ad interessarsi dei fatti
militari sia italiani che esteri, essendo la prima pagina del giornale quasi
interamente dedicata al tema della guerra. Non poteva essere facile riuscire a
farsi un’idea esatta e precisa di cosa stesse accadendo in Europa soltanto
attraverso le parole di un giornale completamente asservito al regime di Salò e
perennemente controllato dai tedeschi. Un lettore veramente critico non poteva
“cullarsi” sulle illusioni di vittoria riportate quotidianamente dal “Corriere della Sera”. La situazione
generale all’interno della Repubblica di Salò era già nei primi mesi del 1944
estremamente grave e lo diverrà ancor di più alla fine di quello stesso anno.
Il malcontento di una parte della popolazione si fece presto sentire con lo
sciopero nelle fabbriche delle più grandi città (Milano, Torino, Genova) il
primo marzo, le comunicazioni stradali e telefoniche erano spesso interrotte, i
generi alimentari scarseggiavano e i bombardamenti aerei alleati erano all’ordine
del giorno senza che la contraerea o la Luftwaffe potessero opporsi.
In una situazione di completo disordine interno, che non
poteva essere descritto nei giornali o nei notiziari radio ma che era però
sotto gli occhi di tutti, si tentava tuttavia di distrarre l’interesse della
popolazione con notizie gonfiate di eccessivo ottimismo negli eventi militari
che si stavano svolgendo. La vera speranza del lettore, se ci atteniamo agli
articoli di opinione di Ardengo Soffici, Corrado Zoli e Vittorio Rolando Ricci
apparsi nel periodo esaminato, era riposta soprattutto sulle divergenze interne
allo schieramento alleato, in special modo tra anglo-americani e sovietici. Si
ammetteva infatti l’enorme superiorità di mezzi del nemico ma si sottolineava
come, nonostante tutto, il tempo giocasse in favore dell’unione tra Italia e
Germania, la cui forza si stava effettivamente esplicando sul fronte sud, con
la sua opera ritardatrice. Il solo fronte italiano dava reali speranze di
successo e questo in parte potrebbe giustificare una visione ottimistica del
futuro. Se invece si fosse analizzata in maniera più approfondita la situazione
bellica sul fonte russo si sarebbe notato un progressivo ed inesorabile
indietreggiamento delle truppe tedesche.
Non sarebbe quindi stato razionale pensare di vincere una
guerra o almeno di prolungarla con una Germania che ogni giorno perdeva
centinaia di chilometri di terreno. L’attenzione anche per questo motivo sul “Corriere” fu spostata presto sul fronte
italiano, dove la retorica esaltante i successi tedeschi, comunque effimeri,
era forse più giustificata. Un lettore legato al regime, fiducioso nella
vittoria finale per la efficace resistenza tedesca a Cassino, una volta caduta
la Linea Gustav a maggio, o poteva pensare alla fine definitiva nonostante le
parole del “Corriere della Sera” che
sottolineava la determinata e valida tattica del “ripiegamento elastico”, o,
forte di questa retorica, poteva pensare che sarebbero sorte altre Cassino nel
corso della Campagna d’Italia.
Il lettore del “The
Times” di fronte alle notizie provenienti dall’Italia assumeva
probabilmente un atteggiamento di attesa degli eventi. La vittoria era
considerata ormai inevitabile, si trattava di continuare a combattere e ad aver
fiducia nei comandi alleati. Anche se le truppe alleate erano bloccate in
questo piccolo e sconosciuto paese italiano, presto si sarebbe aperto il “vero”
secondo fronte occidentale, che tanto i sovietici reclamavano, che avrebbe
risolto il conflitto. Il quadro che veniva dato poi della condizione della
Germania era del tutto negativo, tanto che si sottolineava come ormai fosse
totalmente impotente di fronte agli attacchi aerei della R.A.F..
E’ possibile pensare a un forte sconcerto del lettore nel
constatare l’impossibilità delle truppe ad avanzare per così tanto tempo. La
mancanza all’inizio di una vera e precisa informazione sulle condizioni
meteorologiche, sull’inaccessibilità dei luoghi da attaccare e sulla condizione
dell’esercito, stremato da una logorante avanzata da Salerno, sconosciuta in
parte agli stessi spazientiti comandanti in campo, non poteva giustificare una
tale débâcle agli occhi dell’opinione
pubblica. Col passare dei mesi tale situazione, una volta conosciuta dagli
stessi generali venne resa pubblica e sottolineata per giustificare in gran
parte le perdite subite. Il tono degli articoli per tutti questi mesi rimase
comunque sempre molto descrittivo dei fatti che potevano essere raccontati,
senza l’utilizzo di espedienti linguistici ricercati, per giustificare le
immense difficoltà incontrate.
Il lettore del “The
Times” aveva più possibilità di essere distratto da altri articoli
all’interno del giornale che contava otto pagine in più rispetto al “Corriere” e nei periodi più difficili,
quelli della seconda e della terza battaglia rispettivamente a febbraio e a
marzo, la sua attenzione venne facilmente e volontariamente focalizzata sulle
vicende belliche del fronte russo. Il sentimento di fiducia e di superiorità
nei confronti dell’avversario, che tuttavia continuava a colpire e a
terrorizzare l’Inghilterra con i lanci dei missili V1 e V2, venne poi
finalmente esplicitato negli articoli di maggio descriventi l’offensiva
alleata. Lo sfondamento del fronte e la conquista della tanto agognata e
imprendibile abbazia di Montecassino infatti, nonostante alcuni richiami alla
prudenza, lasciava ampio spazio ad immaginare una conquista dell’Italia molto
più veloce e sicuramente più facile di quello che era stato fino ad allora,
dato il veloce ripiegamento germanico.
L’enorme differenza, che a prima vista i due giornali
mostrano ad un lettore contemporaneo, ad un’analisi più precisa ed approfondita
risulta molto più ridotta. La descrizione dei fatti bellici nei più importanti
giornali di due paesi in guerra si propongono alla fine gli stessi obbiettivi,
al di là della loro appartenenza ideologica. Sia per la R.S.I. che per la Gran
Bretagna il fine principale era quello di descrivere la guerra nel modo più
vantaggioso per sé stessi possibile, vale a dire raccontare solo quegli
avvenimenti che sollevassero il fiacco morale della propria popolazione e
raccontarli con una fiduciosa prospettiva futura di vittoria.
Ciò che veramente li differenzia sono solo i metodi nel
farlo ma l’obbiettivo è il medesimo. Da una parte una ridotta descrizione delle
vicende carica di retorica e omissiva dei fatti negativi, dall’altra una
descrizione piatta degli avvenimenti, senza commenti espliciti salvo rari casi,
e comunque omissiva delle note negative, giustificate con motivazioni esterne
alle responsabilità dei comandi militari.
Con questo non si vuole affermare che l’indipendente “The
Times” fosse uguale all’asservito “Corriere della Sera” ma che la
descrizione autentica della realtà non veniva perseguita da nessuno dei due
quotidiani e la verità, come sempre quando sono in gioco guerre, ideologie ed
interessi, viene nascosta all’opinione pubblica e fatta emergere dopo molto
tempo dal paziente e metodico lavoro dello storiografo.
[1]In realtà è il Gari.
[2] Alla fine del conflitto i superstiti della 36ª divisione, ritenendo di essere stati ingiustificatamente esposti ad un’azione suicida, chiesero che venisse aperta un’inchiesta. La commissione preposta ritenne il generale Clark non colpevole.
[3] Ellis J., op.cit., p.108. «strong enemy ditachments and a possible reconnaissance in force».
[4] “[.] the Americans south of
Cassino have had to withdraw across the river Rapido, but it is a withdrawal to
their own previous strong positions after a counter-attack that cost the enemy
dearly”.
[5] “Americans troops south of Cassino,
who had advanced across the Rapido near San Angelo, were forced to withdraw to
east-side after violent hand-to-hand fighting. The enemy counter-attack here
was of such fury that the Americans exhausted all their ammunition and crossed
the river by holding the enemy at the point of the bayonet”.
[6] “Later the enemy renewed his
attacks with sustained violence, and eventually the French were forced to
withdraw from Monte Croce after very heavy fighting”.
[7] Il 142° della 36ª divisione.
[8] “The barracks at the village of Monte Villa , which Germans had turned into strong-point, have been captured. The Americans took 100 prisoners in this sector”. (The Times 4 febbraio). In realtà i prigionieri furono 57. Cfr. Cavallaro L.,Cassino-Le battaglie per la Linea Gustav., Mursia , Milano, 2004, p.78.
L’uso di “gonfiare” il numero dei prigionieri era adottato da entrambe le testate.
[9] Colle Maiola, Monte Castellone, quota 175, 442, 601, quota 156 e 213.
[10] “General enemy withdrawal from
Gustav line probable – The enemy stronghold of Cassino on the main Fifth Army
front seems now to be within the allies’ grasp, and our Special Correspondent
states that there is little doubt that a general German withdrawal from the
Gustav line has begun”.
[11] “There is for instance, no confirmation
– nor is there any direct denial – of front line reports that American patrols
have entered Cassino and that before withdrawing they found the town abandoned
by the enemy”.
[12] “94th division smashed” (26
gennaio).
[13] Cit. in Cavallaro L., op. cit., p.92.
[14] “A Cassino, il comandante della V Armata ha chiesto al Comando germanico una tregua d’armi di tre ore per poter raccogliere i morti e i feriti gravi giacenti in gran numero sul campo della lotta. Il maresciallo Kesselring, dando con ciò prova di cavalleria e umanità, ha aderito alla richiesta”(17 febbraio ed. pom.).
[15] “There is no news at the
head-quarters of our troops having advanced across the last few hundred yards
to the crest of the hill”.
[16] “It is now confirmed that we hold
roughly one-third of the town of Cassino”.
[17] Nella realtà non erano più presenti.
[18] Idem.
[19] Non vi furono tiratori marocchini né algerini e tanto meno carristi americani in quel periodo a Cassino.
[20] “Nel settore di Cassino le truppe germaniche hanno sensibilmente migliorato le posizioni nella zona a settentrione della città. La collina del Castello e le altre alture sono state riconquistate”.
[21] “L’attacco non è giunto di sorpresa ed era atteso dal comando germanico che già da qualche giorno lo aveva posto in relazione con i frequenti movimenti di convogli nel Mediterraneo, ciò che faceva chiaramente supporre una concentrazione di forze e un rafforzamento di mezzi”.
[22] “The enemy has been confused and
bewildered; several times he has showered on Indian troops propaganda leaflets printed
in Polish, and sent the Poles leaflets printed in English” (13 maggio).
[23] “Admittedly no definite advance had
been made by last night”. (The Times, 15 maggio).
[24] “Casualties to date have been
considerably below the number prepared for”. (The Times, 17 maggio).
[25] Compreso il settore di Anzio e Nettuno.
[26] Cfr. Ellis J., Cassino – The Hollow Victory, Aurum Press, London, 2003.p.469.
[27] “Di fronte ai circa 700 velivoli schierati dai tedeschi nel bacino del Mediterraneo, le cui scarse possibilità di sopravvivenza in volo ne limitavano le sortite, gli alleati potevano impegnare il potenziale di circa 4.000 aerei contro gli obbiettivi nemici”. Cit. in Cavallaro L., op. cit., p.197.
[28] Cfr. V. Senger, La guerra in Europa, Longanesi, Milano, 2002, pp.307-308.
[29] “Flying probably 10 times as many
aircraft as the enemy, the allies were not only able to keep the Luftwaffe’s
interference with the landings to negligible proportions, but to smash enemy
supply and troop reinforcements and concentrations, snap his road and rail
communications, and interfere with the direction of the enemy squadrons”.
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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