4 PASSI SULLA GUSTAV 2005 (4ª edizione)
Quando ero bambino – avrò avuto, non so, dieci, undici anni – mia madre mi dava ogni mese un po’di soldi per acquistare in edicola i
fascicoli di un’opera in più volumi sulla seconda guerra mondiale. Attendevo con ansia le nuove uscite per leggere i testi e, soprattutto, guardare le
belle foto che li corredavano. Un giorno, mi cadde l’occhio su un’immagine che immediatamente mi colpì. In un paesaggio lunare, completamente coperto
di detriti dall’apparenza di frammenti calcinati, due veicoli blindati inglesi “avanzano cautamente”, come recitava la didascalia. In alto, sulla
cima di un colle ormai spoglio di tutto, si ergevano le rovine di un edificio quasi completamente distrutto. Il luogo era Cassino.
Una battaglia atroce, in un posto suggestivo, carico di memorie: un’abbazia con i monaci benedettini, i cimiteri di guerra con il loro tragico
fascino… qualcosa sicuramente rimane, nell’animo di un ragazzo.
Anno 2004. Dopo tanto tempo, quando l’antica passione per gli eventi della seconda guerra mondiale era ormai stata un pò messa da parte, mi capita di
passare davanti allo scaffale di una libreria. Noto un testo appena uscito, con la copertina che riporta un’immagine dove si vede il fumo nero di
esplosioni, un paesaggio sullo sfondo vagamente familiare e, ovviamente, un titolo: “ Montecassino”. I giornali, in quei giorni, parlavano di una
ricorrenza: i sessant’anni di una delle più sanguinose battaglie della campagna d’Italia. Rievocazioni giornalistiche – che poi scoprirò essere più o
meno imprecise - disquisizioni storiche, ecc
Compro il libro, per lo più incentrato sulla distruzione del monastero, lo leggo, ne rimango affascinato e anche un pò immalinconito: le battaglie, il
sangue, gli errori stupidi degli alleati, il tragico calvario dei civili e dei monaci. Un antico interesse si risveglia subito.
Inizio a raccogliere libri, mi documento e infine, dopo essermi “informatizzato”, comincio a navigare in rete. E scopro un sito. “Dal Volturno a Cassino”,
è il suo nome. Ne leggo i testi e rimango sempre più coinvolto emotivamente dalle vicende storiche legate a Cassino. Continuo ad approfondire, acquisto
libri sulla battaglia anche in remote librerie scozzesi e nasce subito un desiderio: partecipare all’edizione 2005 di "4 Passi sulla Gustav", il raduno
che porta la gente a rivivere la battaglia nei luoghi in cui fu combattuta. Il desiderio si realizza: un fine settimana di marzo, con tutta la famiglia – moglie e tre
bambini piccoli – si parte per Cassino. Il viaggio è lungo, per dei bambini piccoli, ma tutto va bene. Arriviamo in albergo, sistemazione e quattro
passi in paese. Ma lo sguardo è sempre rivolto su, in alto, verso il monastero. Forse la storia del suo fascino magnetico è vera. Il più grande dei
miei bambini continua a chiedermi dov’è la "Collina dell’Impiccato", quel nome per noi lugubre, per lui magari rievocante storie di pirati, chissà…
Prima giornata - 19 marzo 2005
L’appuntamento è per il giorno dopo al Cassino War Memorial, il bel museo sulla battaglia, al momento l’unico in città. Il gruppo è consistente, più o
meno quaranta persone. Le presentazioni di rito mi fanno riconoscere nomi e persone conosciute solo virtualmente. Roberto, Marco, Mauro: sono loro gli
organizzatori che ci accompagneranno con competenza e passione lungo i percorsi di guerra. Si parte, quindi, muniti di ottime cartine esplicative.
Qualche timore personale sul disturbo che inevitabilmente tre bambini piccoli potranno arrecare. Speriamo bene. La prima sosta più o meno a metà della
salita, in un punto ottimo con vista sulla valle del Liri; purtroppo, quella foschia che avvolgeva il colle del monastero, intravista dall’albergo, è
ancora lì. Le vicende belliche, descritte con semplicità e chiarezza da Marco e Roberto, si possono solo immaginare. Si continua poi a salire e si
arriva al monastero. Il gruppo si raduna all’interno dell’edificio sacro e parte una visita guidata classica. Ci si muove negli ambienti dell’antico
complesso, il chiostro di San Martino, poi si entra, la cappella di San Benedetto. I bambini mi impediscono di seguire al meglio ma capto il frammento
di una discussione, una frase volante: “no, si sono ritirati, la cosa è diversa”. Qualcuno del gruppo sta discutendo con la guida che, immagino, ha
forse parlato di conquista del monastero o qualcosa del genere. La questione è delicata, ma la realtà è questa: sono stati i paracadutisti tedeschi a
essersi ritirati e non i soldati polacchi ad aver “conquistato” il monastero. Questi ultimi lo hanno semplicemente occupato dopo la ritirata.
Non c’è stato assalto finale con morti, feriti e conquista. I paracadutisti hanno difeso con successo fino all’ultimo l’Abbazia, dimostrando una volta
di più esperienza ed eccezionale spirito di corpo.
La visita continua e, presso la Scala dei Pellegrini vi è un momento toccante (ma ce ne saranno altri in questa due giorni): un signore dai capelli
candidi, Mario, ci dice che lui, il 15 febbraio, era lì, su quelle scale, sotto il bombardamento alleato. Grida, calcinacci, terrore assoluto e infine
i morti. La madre ferita, donne morte che, toccate, cadono di colpo. Le pareti del monastero - racconta Mario - ballavano, letteralmente. Una danza di
morte. Si ascolta con partecipazione, la guida è impaziente perché il tempo scorre, ma del resto è normale: le storie personali, le esperienze vissute,
concrete, catturano l’animo umano. All’uomo interessa l’uomo, più delle nozioni astratte. La rievocazione continua fuori, sulla loggia del Paradiso.
Poi il rompete le righe. Foto di gruppo “istituzionale”, tempo libero, raduno e partenza per il cimitero polacco. Da lì, inizia una parte decisamente
bella e suggestiva, tanto più per chi la vive la prima volta. Si salta la sosta prevista al cimitero polacco, forse per mancanza di tempo e si sale
verso Massa Albaneta.
E’ vero: il campo di battaglia dove tantissimi soldati hanno perso la vita è straordinariamente ristretto per un evento così grande. Attacchi su
attacchi in un’area ristretta che Marco ci dice essere non più grande di un quadrato di tre chilometri di lato. Questa cosa mi ha sempre colpito.
Prima di pranzo tappa presso il relitto dello Sherman polacco. Si parla dell’attacco dei carri neozelandesi, della sorpresa – durata però molto poco -
che l’assalto suscitò nei tedeschi. Grandi e piccini si danno da fare esplorando il carro, con la sua croce fatta con i cingoli. Mi colpisce la storia
del carrista polacco trovato dopo qualche giorno, morto, tra gli sterpi a poca distanza dal carro. Infine, la pausa pranzo. Pastasciutta e vino genuino
circolano, grazie all’infaticabile Roberto; ci si siede, si parla, si fa conoscenza. Vado anche a dare un’occhiata ai resti della masseria, un vecchio
monastero dall’aspetto di fortezza, probabilmente posto a difesa della strada che conduce all’Abbazia. Marco ci parla del vero e proprio arsenale
scoperto scavando nella zona, anche molti anni dopo la guerra. Poi si riparte, diretti verso quota 593: era il punto chiave da conquistare per cui
innumerevoli soldati hanno sparso il loro sangue. La salita è lunga, con scorci stupendi sul monastero. Arrivati quasi in cima, una sorpresa: qualcuno
fa vedere un ordigno perfettamente conservato, trovato dietro un muretto. Una volta riuniti presso il monumento ai soldati polacchi, si parla della
battaglia finale, la quarta, mentre alcuni si addentrano nella boscaglia per visitare i rifugi dei paracadutisti. Si rinvengono proiettili, in mezzo
alle foglie. Prima di ripartire, una bella cerimonia di commemorazione per tutti i caduti: i bambini depongono fiori sul monumento, si sta in silenzio.
Generazioni bruciate salutate da generazioni nuove, che si spera non debbano passare attraverso cose simili, anche se il crudo realismo distrugge
spesso questa speranza. Scendendo, una sosta presso la Casa del Dottore: è da qui che partivano gli attacchi polacchi verso quota 593, ed è qui che i
feriti polacchi venivano curati. Guardiamo verso la quota 593 e la vediamo nella stessa prospettiva dei soldati che attaccavano. La mia bambina
vorrebbe entrare nella casa e la signora lì presente la fa entrare. Poi la discesa, il ritorno al cimitero polacco e la partenza verso il museo,
ultima tappa. I bambini non ci permettono di seguire il resto del gruppo. Appuntamento al giorno dopo, quindi.
Seconda giornata - 20 marzo 2005
La mattina presto, dopo la sveglia, approfitto per una passeggiata in una Cassino deserta; è domenica mattina presto. Con passo sicuro vado a vedere
la grotta da cui il capitano Foltin ha diretto la difesa della città con i suoi uomini. E' seminascosta dietro un palazzo e piena di immondizie e
rottami vari.
Torno in albergo, raduno la famiglia e partiamo. Arrivati al museo, Roberto ci avverte che il programma è cambiato: a causa di un rally automobilistico,
la strada per Caira è stata chiusa, dunque niente Colle Abate. Quindi, si va sul Monte Cifalco, dove gli alpini tedeschi avevano approntato una serie
di punti di osservazione in un luogo altamente strategico. Il trasferimento in macchina è su un percorso in parte accidentato: si sale, sempre più su,
fino ad arrivare in quota. Ancora una volta, la foschia la fa da padrona: peccato, non si vede quasi nulla del paesaggio. Quassù, sul Cifalco, sventola
ancora orgogliosa la bandiera tedesca. Una cima invitta, che evidentemente i tedeschi considerano come luogo simbolo della loro resistenza. Il
gruppo si divide, esplorando i ricoveri approntati dagli alpini germanici della quinta Divisione da montagna. Roberto ci segnala la presenza, in una
postazione, di un’iscrizione con il nome del militare che ha contribuito a costruirla o che comunque è stato lì nel duro inverno del 1943-44. Illumino
con la torcia le lettere, mi pare di leggere il nome “Gunther Haas”.
Poi si sale ancora. Altri fortini, infine la sosta per il pranzo, su un pianoro. Qualcuno ha portato un metal detector. Subito i bambini – e non solo
loro - fanno capannello. Si sente un bip, forse c’è qualcosa. Si scava e si trovano delle schegge di proiettili d’artiglieria. I più esperti sorridono,
più o meno divertiti: hanno visto ben altro. Per i bambini è comunque un divertimento. Dopo pranzo la discesa, di nuovo in auto e poi giù a valle,
per l’ultima tappa sulle rive del Gari. Una sosta a Sant’Elia per un caffé è tuttavia d’obbligo. Entrando al bar, si notano all’ingresso due
nordafricani seduti, che parlano animatamente. Il pensiero va subito ai goumiers marocchini, con un accostamento forse un pò scontato. Stesse facce,
stessi volti sessant’anni dopo, in una zona che del resto vide protagonista il Corpo di Spedizione Francese del generale Juin.
Dopo la pausa caffé si riprende la macchina e via fino alle sponde del Gari. La sosta è presso la Campana della Pace, non lontano dai punti in cui la
divisione “Texas” tentò di attraversare il fiume, tentativo finito tragicamente nel sangue. “Bloody River”, il fiume insanguinato, è il titolo di un
saggio sul drammatico epilogo dell’avventata azione del generale Clark. Il fiume non è largo ma le sue acque sono infide e le munitissime posizioni
tedesche sull’altra sponda fecero il resto, ci racconta Roberto. La parola “tragedia” ritorna subito dopo, quando ci fermiamo ad Antridonati. Nella
piazzetta di questa piccola frazione ci viene incontro un uomo alto, che porta benissimo i suoi anni. E’ Severino. E’ lui a raccontarci, tra il rumore
di bambini che giocano contenti e le voci di mamme che li richiamano, il dramma che si trovò a vivere, quando lui, giovane ragazzo, dovette raccogliere
i corpi di altri ragazzi poco più grandi, falciati dal fuoco nemico: gli stessi ai quali poco prima la sua famiglia aveva offerto del vino. Nonostante
conoscessi già la sua storia, l’emozione è stata forte. Una figura d’altri tempi, dignitosa e testimone di un modo di vivere che rimarrà - forse –
solo nei ricordi.
La giornata è quasi finita e lentamente ci spostiamo verso un'altra tappa, quella finale. In una zona poco lontano da Sant’Angelo, durante scavi, sono
venute alla luce delle grotte, dei ricoveri usati dai tedeschi attestati sulle posizioni a guardia del fiume Gari. Ci si avvicina, si guarda all’interno
delle grotte, si commenta la svastica ancora visibile su una parete all’interno di una di esse. Dai bambini un richiamo, pare che abbiano trovato
qualcosa. Il metal detector suona. Scavando nella terra umida, emerge uno strano oggetto, difficile da classificare lì per lì. Sicuramente, data anche
l’usura, si tratta di un reperto della guerra. Alla fine, si ritorna al punto di partenza, il Cassino War Memorial.
E’ il momento di salutarsi: un drink, qualche parola, una stretta mano e poi via, verso casa. La strada è lunga, ma le cose viste credo rimarranno per
un pò nei pensieri, insieme alla gratitudine per chi ha offerto la possibilità di vederle.
Paolo Gasbarri
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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