4 PASSI SULLA GUSTAV 2010 (9ª edizione)
4 PASSI SULLA GUSTAV
di Roberto Molle
Il 17 e 18 aprile 2010 l’Associazione onlus Battaglia di Cassino, Centro Studi e Ricerche, ha organizzato la IX edizione di "4 Passi sulla Gustav".
La manifestazione prevedeva, per il primo giorno, lo studio e l'approfondimento degli avvenimenti che hanno interessato la zona a nord del Monastero di
Montecassino, a partire dalla fine del mese di gennaio sino al mese maggio del 1944.
Ci siamo diretti nella zona case D’Onofrio, proprio dove si attestarono le prime aliquote della I Divisione Paracadutisti, in particolare III Battaglione
del 3° Reggimento al comando del Maggiore Rudolf Kratzert ed il I Battaglione MG al comando del Maggiore Werner Schmidt. Tali unità oltre a presidiare le
quote intorno a case D’Onofrio, ripresero la fondamentale quota 593 agli americani; entrambe le posizioni sarebbero state tenute sino alla fine della battaglia, resistendo ai continui attacchi della 34ª e 36ª
Divisione americana prima, alla 4ª Divisione Indiana poi, ed infine al 2° Corpo Polacco.
Ebbene, mentre ci incamminavamo verso questi luoghi, in un gruppo costituito da oltre 80 persone, abbiamo fatto un "tuffo nella storia": gli increduli e
meravigliati partecipanti si sono trovati di fronte ad una munita e perfetta postazione di paracadutisti tedeschi che, come per magia, era stata
"teletrasportata" nel presente dal 1944! Erano gli amici Massimo Castelli e Massimo Lucioli, presidenti rispettivamente delle Associazioni “Reenactors
Italia 1943-45” e “Soldat 39-45”, con altri soci.
Dopo un primo momento di stupore, si è potuto vedere e studiare l’equipaggiamento e le armi di cui i paracadutisti tedeschi erano dotati, con un
approfondimento anche sulle uniformi; erano queste infatti delle unità d’elite e pertanto avevano il meglio che all’epoca poteva essere fornito al soldato tedesco.
Il tutto si è svolto con lo sfondo dell'imponente Abbazia di Montecassino, proprio nei luoghi che videro realmente impegnati questi soldati in sanguinosi
combattimenti.
Dopo la visita alla "casa del Dottore", luogo di primo soccorso dei Polacchi durante la battaglia del 11-18 maggio 1944, abbiamo visitato quota
593 denominata "Il Calvario"; qui i soldati alleati cercarono più volte di espugnare la posizione ai tedeschi, fondamentale per la presa dell’Abbazia.
Gli americani, gli indiani, gli inglesi ed infine i polacchi, si immolarono su queste aspre rocce, con grande coraggio.
Oggi la visibilità è ottima e riusciamo ad avere una vista incredibile su tutto il campo di battaglia.
Un grazie sentito a tutti i figuranti delle due Associazioni citate, per la professionalità, la passione e l'impegno che hanno profuso in questa rappresentazione. Un ringraziamento particolare a Mario Forlino e Antonio Velardo, per la loro disponibilità e pazienza.
Domenica 18, di buon ora, siamo giunti alle falde del Monte Castellone; iniziando poco dopo la salita.
Lungo il percorso abbiamo potuto ammirare il paesaggio delle alture che ci circondavano; nomi che evocano tanti combattimenti: Pizzo Corno, quota 706,
Colle Sant’Angelo, quota 575. Dopo circa un’ora di cammino arriviamo in vetta al Monte Castellone, ci sediamo lungo il versante Est, da dove possiamo
vedere tutta la valle del Rapido e l’Abbazia con tutte le creste circostanti: il ricordo va ai sanguinosi combattimenti che videro gli americani della
34ª e 36ª divisione arrivare sino in vetta e i tedeschi, il 12 febbraio 1944, contrattaccare inutilmente per tentare di riprendere la quota, ostacolati
in questo anche dal "fuoco amico".
Luigi Grimaldi ci mostra delle foto inedite, rinvenute negli archivi americani, che ritraggono la tregua che si tenne il giorno 14, per raccogliere i morti ed i feriti sul campo di battaglia.
Proseguiamo il cammino e con grande meraviglia, incontriamo un numero impressionante di bombe inesplose. Sapevamo della loro presenza, ma non in tale
quantità; ne vediamo di vari calibri e tipologie. Sostiamo per il pranzo in una valletta; appena ripresa la marcia, comincia a piove insistentemente;
un momento di difficoltà ci attende, infatti per prendere il sentiero per Colle Sant’Angelo, siamo costretti a scendere in un canalone con un dislivello
notevole. Non è un momento piacevole, vissuto con l’angoscia della pioggia, con le pietre che rotolano a valle ma, grazie alla collaborazione tra i
partecipanti ed alla buona stella, riusciamo a guadagnare il sentiero e infine a raggiungere, sotto un’acqua torrenziale, il parcheggio del cimitero
Polacco.
Si è trattato certamente di uno dei momenti più difficili di tutte le edizioni del raduno. Degli inconvenienti accaduti, non resta che chiedere scusa ai
partecipanti.
4 PASSI SULLA GUSTAV 2010
di Gabriella Protano
Sabato 17 aprile
Arriviamo un po’ da tutta Italia, qualcuno dalla Francia ed addirittura dalla Nuova Zelanda; alcuni amici dall’Inghilterra non hanno potuto
raggiungerci causa nube vulcano islandese che in questi giorni ha messo in tilt il traffico aereo di mezza Europa.
Ci unisce tutti la passione per la storia, quella che non trovi sui libri di scuola, ma quella che passa attraverso i racconti di veterani e civili
sopravvissuti al calvario di Montecassino, quella che puoi respirare solo camminando per i luoghi che furono della Linea Gustav che, ancora fino al
maggio del 1944, sbarrava agli Alleati la strada per Roma.
Ore 9:00
Roberto Molle ci invita ad organizzarci in cerchio ed ognuno di noi ha così modo di presentarsi, di salutare gli amici conosciuti nelle passate
edizioni, di dare il benvenuto ai nuovi arrivati.
Solo ora siamo un vero gruppo.
Può cominciare il nostro viaggio nella storia, un cammino che ci condurrà a quota 593 dove concluderemo la giornata rendendo omaggio ai soldati
polacchi che, come inciso sull’obelisco a loro dedicato, donarono le loro anime a Dio, la loro vita al suolo di Italia, il cuore alla Polonia, per
la loro e la nostra libertà.
Il percorso è avventuroso e ci porterà ad imbatterci dapprima in un soldato americano, poi in un manipolo di paracadutisti tedeschi. Dell’uno e degli altri impariamo a conoscere l’equipaggiamento, il vestiario, le armi.
Le nostre guide di oggi, Roberto Molle ed Angelo Turriziani: cominciano i loro interventi. Apprendiamo così delle strategie degli opposti eserciti che in queste “ sacre colline” (Molle ndr) si affrontarono, conosciamo i nomi di coloro che decisero attacchi, ritirate, imboscate, le stravaganze di qualche ufficiale tedesco. Ascoltiamo del Generale Senger che spesso si recava sul campo di battaglia per star vicino ai suoi uomini e poi, in rispettoso silenzio, dell’eroismo dei soldati polacchi, della tregua di due ore del 19 marzo quando Indiani e Tedeschi, fianco a fianco, evacuarono i morti e soccorsero feriti; degli assalti dei Gurka, di Juin e del Corpo di Spedizione Francese, trasferito e messo in posizione sui monti Aurunci, dei Neozelandesi e di Freyberg convinto che fosse necessario il bombardamento del Monastero di Montecassino.
Nello scorgere gli ancora numerosi ripari che i soldati si erano costruiti per sfuggire al fuoco nemico ti rendi poi conto che tutti coloro che combatterono su quelle colline erano accomunati dalla stessa paura di morire, dalla stessa voglia di continuare a vivere, di ricongiungersi con i propri cari e rivedere la propria terra.
Stiamo per fare due importanti incontri.
Si tratta del sig. Mario Forlino ed il sig. Antonio Velardo, miracolosamente scampati al bombardamento del Monastero; l’uno, quel martedì 15 febbraio
1944, entrambe si trovavano proprio all’interno dell’Abbazia, dove vi avevano cercato riparo insieme alle loro famiglia.
Il loro è il dolore, ancora vivo e pungente della popolazione inerme, vittima innocente della guerra; è il dolore di chi ha visto violare la
sacralità e la bellezza di un luogo nel quale la cittadinanza di Cassino aveva creduto di poter trovare riparo e protezione.
E’ il racconto di chi ha visto l’uomo diventare bestia, di chi ha continuato a vivere ma ha visto troppe persone morire, di chi, ancora oggi, se
chiude gli occhi sente il rumore assordante dei bombardieri che si avvicinano.
Una giornata intensa, memorie da conservare e tramandare.
Domenica 18 aprile
Ore 9:00
Il cielo limpido della giornata di ieri ha lasciato il posto alle nubi. Il tempo promette pioggia e di qui a poche ore la promessa sarà mantenuta.
Ci incamminiamo. La nostra meta è quota 771, Monte Castellone.
La salita non presenta troppa difficoltà. Le nostre guide su questi sentieri sono oggi Antonio Cipolletta, Damiano Parravano e Benedetto Vecchio. In
breve tempo siamo in vetta. Il panorama è splendido, meravigliosa la veduta del Monastero, sacro, imponente, maestoso. Domina il paesaggio. Sembra
veramente che stia là ad osservare ogni passo, ad ascoltare ogni fruscìo. Incute rispetto.
Si continua a parlare di quei mesi terribili di guerra. Una delle cose che più mi colpisce è che tanti di noi hanno episodi da raccontare, ora letti sui libri, ora ascoltati da chi quella guerra l’ha veramente vissuta. Ognuno di noi, anche se non del luogo, ha un legame particolare con quegli eventi. Ognuno subisce il fascino di quei racconti.
Il nostro percorso prevedeva il raggiungimento di Colle Sant’ Angelo a quota 601 attraverso la “ cresta del serpente” e poi la discesa verso la
Masseria Albaneta.
Le condizioni del terreno ci costringono a tracciare un altro percorso. Anche questo, però, si presenta a dir poco impervio. Scendiamo lungo un
costone, per il versante che dà su Villa Santa Lucia. A tratti la situazione è veramente critica. Non si vede la valle, non si vede il cielo,
cade una pioggia fitta, solo fusti e fronde cui aggrapparsi nella discesa. Si scivola, rotolano pietre, bisogna fare molta attenzione. Con non
poche difficoltà, stanchi raggiungiamo una mulattiera. La strada per l’Albaneta è ormai libera.
Siamo tutti sporchi di terra, bagnati, purtroppo qualcuno si è fatto anche un po’ male, ormai siamo solo ansiosi di trovare un riparo. Ed il Monastero è lì ad aspettarci.
Anche questa è una giornata da ricordare come ogni singolo partecipante di 4 passi sulla Gustav.
Grazie a tutti ed in particolare:
grazie ad Alberto che ci ha portato dalla sua Puglia un ottimo rosso di Manduria e che mi ha pazientemente sopportato per lunghi tratti del percorso;
grazie a Luigi, piacevole compagno di avventura; aspetto con ansia un altro dei suoi racconti ispirati a questi luoghi e a questi eventi;
grazie all’avv. Angelo Turriziani, ardito ed entusiasta trascinatore; grazie al suo gruppo di amici ed alla loro preziosa riserva di "Caffè Borghetti";
grazie a Kay, pronta a cogliere con l’obiettivo della sua macchina fotografica ogni fiore nato tra le rocce;
grazie ad Eleonora che mi ha prontamente soccorsa nella mia buffa caduta;
grazie al sig. Mindopi che a dispetto dell’età ha affrontato egregiamente l’impervio percorso della domenica;
grazie ad Antonio e Damiano che hanno per noi aperto i sentieri;
grazie a Benedetto perché è un artista;
grazie a Roberto perché è riuscito coinvolgere tutti con passione.
4 PASSI SULLA GUSTAV 2010
di Giuseppe Mindopi
Sono trascorse appena due settimane dall’aver partecipato alla nona edizione di “4 passi sulla Gustav” che sento la necessità di esprimere le mie personali impressioni, ma credo di interpretare anche quelle di moltissimi altri partecipanti, con i quali, oltre ad avere stabilito un buon rapporto di amicizia, ci si è confrontati nel dare giudizi, impressioni, emozioni, insomma tutti quei sentimenti che accomunano persone che, a distanza di tanti anni, cercano di ripercorrere e conoscere quella storia che ancora oggi lascia molto discutere.
Sono veramente felice nel vedere in quei partecipanti di tutte le età il coinvolgimento, non solo fisico, ma anche intellettuale e stimolante.
L’itinerario di quest’anno, in particolare il primo giorno, è stato caratterizzato da due ricostruzioni storiche, che hanno reso il percorso
più reale.
Mi riferisco alla presenza, presso casa D’Onofrio, di un militare americano della divisione "Texas", completo di tutto il suo equipaggiamento. A
questo punto interviene l’avv. Molle che fa una ampia descrizione di tutto quanto in dotazione compreso l’armamento.
Si riprende il cammino verso la "casa del Dottore", ed ecco improvvisamente nel mezzo del viottolo, che si sta percorrendo, trovare una mina anticarro
Teller e poco più avanti una postazione di paracatudisti tedeschi che ci accolgono con raffiche di mitragliatrice MG. La scena è cosi reale da
sembrare che quei soldati stessero li ancora a difendere l’Abbazia, ben visibile alle loro spalle.
Tutti i partecipanti sono stati attratti da queste ottime sceneggiature, che l’avv.Molle ha reso più reali con una dettagliata descrizione di tutto
l’equipaggiamento e l’armamento.
Io e molti altri partecipanti vogliamo congratularci, innanzitutto con chi ha avuto l’idea, ma soprattutto per la bella “ sceneggiatura”, una bella novità che ha caratterizzato questa nona edizione.
Alle ore 13 circa si raggiunge "la casa del Dottore" ubicata in un pianoro dove un bel prato verde ed un bel sole sembrano volerci dare il benvenuto.La giornata intensa e vivace ancora non è finita, perché alle ore 20 circa ci si ritrova nel ristorante dove, oltre a consumare la cena, si commentano i fatti del giorno legandoli agli eventi storici che hanno interessato la zona.
Il secondo giorno è stato altrettanto emozionante anche se un po’ faticoso. La giornata era piuttosto nuvolosa e nel pomeriggio non è mancata la pioggia che ha reso la discesa verso Masseria Albaneta un po’ difficoltosa.Nota del webmaster
Meglio non toccare oggetti sospetti e avvertire le autorità. Consiglio a tutti di fare MOLTA ATTENZIONE!
Concludo col definire che i due giorni trascorsi in compagnia di veterani e nuovi partecipanti , è stato un grande piacere, insomma incontrare il
“gota“ delle ricerche della battaglia di Cassino è sempre emozionante, in particolare per me che da anni mi dedico allo studio degli eventi che
hanno interessato Cassino ed Anzio. In quegli anni la mia famiglia risiedeva ad Artena che dista 45 km da Anzio e circa 120 km da Cassino. Ad
Artena il convento dei Frati Minori fu adibito ad ospedale militare e risiedendo nei paraggi vedevamo questo triste andirivieni di ambulanze.
All’epoca avevo sette anni e ricordo molto bene quanta sofferenza racchiudessero le mura di quel convento fino a poco tempo prima luogo di
preghiera e di pace.
Prima di terminare ringrazio l’avv.Molle e tutti i membri dell’Associazione per la loro capacità di organizzare un evento che ritengo per noi,
studiosi e non, molto importante, perché ci ha consentito di visitare e ripercorrere quei luoghi che videro il sacrificio di tanti giovani ed il
coinvolgimento di tanta popolazione civile.
Colgo l’occasione per rivolgere un cordiale saluto a tutti i partecipanti, a partire da Angelo, da Benedetto, da Damiano a Paolo da Verona e
cosi via fino a Mauro Lottici, che merita un particolare saluto da parte di noi tutti.
Arrivederci all’anno prossimo.
4 PASSI SULLA GUSTAV 2010
di Stefano Secondo
Sono da sempre appassionato di storia militare e da qualche anno il mio interesse si è focalizzato sulla battaglia di Montecassino.
Più ho approfondito l’argomento, maggiore è diventato il desiderio di visitare i luoghi tanto immaginati alzando la testa dai libri, figuratevi
quindi con quale entusiasmo ho partecipato all'edizione 2010 di “4 passi sulla Gustav”!
Mi sono preso quattro giorni per me e sono partito da Verona (650 km) con l’idea di visitare anche S.Pietro Infine e S.Angelo in Theodice, luoghi che
mi hanno emozionato al massimo.
Ho letto con interesse gli scritti di Roberto, Gabriella e Giuseppe che descrivono con cura la cronaca delle due giornate.
Vorrei quindi anch'io soffermarmi su ciò che mi ha più colpito.
Il primo giorno, la visita alle quote più famose, l’apparizione di figuranti con divise e armamenti perfetti, le spiegazioni dettagliate di persone competenti, lo spirito di amicizia creatosi spontaneamente tra noi e soprattutto l’incontro con due persone non comuni; il sig. Mario Forlino ed il sig. Antonio Velardo.
Il sig. Forlino visse la battaglia come rifugiato civile all’interno dell’Abbazia; ebbene, durante il suo racconto un silenzio carico di rispetto
e commozione era sceso tra noi ed io mi rendevo conto che egli era l’unico tra tutti ad aver visto il Monastero prima della sua distruzione.
Il sig. Velardo mi ha colpito per la sua perfetta conoscenza dei fatti e dei luoghi, per la passione nelle sue descrizioni, ma soprattutto per la
disincantata chiave di lettura del contesto storico di quegli eventi, una interpretazione che mi ha davvero arricchito molto!
Un sentito grazie al sig. M. Forlino ed al sig. A. Velardo.
Nel secondo giorno, durante la salita in bus da Caira, una persona informatissima mi ha descritto con puntualità tutte le azioni militari
avvenute sulle quote circostanti durante gli attacchi combinati (male..) di Americani e Francesi nel gennaio 1944, grazie di cuore.
Il successivo arrivo sul monte Castellone ed il percorso fatto in mezzo a resti di postazioni, residuati bellici, vedute sui vari settori più contesi
è stato sempre arrichito da spiegazioni interessanti e da scambi di opinioni, un forum sul campo.
Come saprete, ad un certo punto il nostro percorso è dovuto cambiare a causa della crescita prepotente della vegetazione; abbiamo affrontato una discesa ripida, fangosa e sdrucciolevole, sotto la pioggia e sono contento di avere aiutato alcune persone prive di calzature adatte a scendere senza problemi.
In conclusione, saluto tutti quelli che ho incontrato, l’amico di Cisterna, l’amico di Taranto, l’amico Antonio Cipolletta del quale ho smarrito
l'indirizzo e-mail.
Dulcis in fundo, sarò eternamente riconoscente all’amico Roberto di Roccasecca per avermi ritenuto degno di visionare la sua eccezionale collezione.
Questa è la mia mail: stefano.secondo@yahoo.it; ci vediamo l’anno prossimo.
4 PASSI SULLA GUSTAV 2010
di Luigi Settimi
Sono da poco passate le 19.00 di una domenica speciale, la domenica di 4 Passi sulla Gustav e come tutte le volte rientrando a casa riprendo dallo zaino una piccola scheggia e la ripongo nella libreria, davanti ai libri che parlano della Battaglia di Cassino; la metto in fila insieme alle altre..
Sotto ad ogni scheggia c’è un piccolo foglio di carta con un nome: Montelungo, S. Pietro in Fine, Albaneta, Quota 593, ed ora… Monte Castellone.
Solo voi potete comprendere l’emozione che provo ogni volta che ne aggiungo un’altra; per molti, che non ci conoscono, quell’oggetto potrebbe essere solo un pezzo di ferro arrugginito, per noi invece è il ricordo di 60 anni fa, una testimonianza, una traccia che mantiene viva la memoria, è il luogo dove partono i ricordi, dove le letture dei libri diventano reali, dove le testimonianze di quando la distanza fra la vita e la morte dipendeva da questi pezzi di ferro incandescenti che volavano in aria subito dopo lo scoppio.
Il gesto, un rituale di sempre, da quando ho conosciuto tutti voi e con tutti voi ho iniziato a condividere e ricordare.
Ogni volta il rito avviene dopo due giorni intensi, pieni di emozioni, di ricordi, di storie vissute, i due giorni di 4 Passi sulla Gustav.
Quando saliamo tutti insieme per i sentieri, quando ci fermiamo ad ascoltare e leggere, ma anche nei momenti più fugaci, basta ascoltare le voci, le impressioni, le idee, i ragionamenti, per capire che c’è un unico filo conduttore fra tutti noi, un unico sentimento che si manifesta in mille pensieri e osservazioni, siamo tutti uniti da una stessa voglia: onorare e ricordare!
Resistiamo, nonostante tutto ciò che ci circonda porta a dimenticare e cancellare.
Siamo attenti ad ogni particolare e lo viviamo intensamente mentre intorno abbiamo solo gente distratta.
Soffriamo alla vista di una postazione semisommersa dalla vegetazione o coperta da rovi e spine, soffriamo alla vista di cancelli e filo spinato che ci impediscono di passare e ci emozioniamo quando, come su monte Castellone, troviamo un piccolo barattolo arrugginito forse un pasto di un soldato della Texas.
Uniti su quella vetta abbiamo riletto dentro di noi i racconti dell’attacco, abbiamo visto i due versanti ed eravamo attenti ad ogni dettaglio del terreno, ad ogni collina all’orizzonte.
“Forse hanno attaccato da qui”… “da qui si vedevano le torce umane cadere per i pendii”… sul Castellone c’è stato un silenzio irreale, giunti in vetta pochi parlavano agli altri perché tutti erano intenti con tutti i sensi a conoscere i dettagli del luogo e ricercare le tracce di quella battaglia.
E come ogni anno vorrei trasmettervi anche io tutte le sensazioni che 4 passi sulla Gustav mi ha lasciato, attraverso un racconto immaginario, un racconto che mi è venuto in mente il primo giorno, mentre sdraiato sul prato verde presso la casa del dottore ho guardato il cielo azzurro ed ho immaginato gli occhi di un soldato Polacco, ferito durante l’ultimo attacco.… gli occhi che guardano per la prima volta il cielo, un cielo senza ostacoli, privo di nemici e pericoli.
Vi ringrazio per l’attenzione che mi donate, per i complimenti (immeritati) che mi avete fatto quando mi avete conosciuto nei due giorni trascorsi insieme, spero di essere ancora una volta all’altezza della vostra e mia passione.
La Casa del Dottore
La luce filtrava dalle persiane, bianche linee di chiarore, nel buio davanti a me, definivano i contorni di ciò che mi circondava, ma era una vista fuori fuoco e mi sentivo smarrito.
Dove sono? Mi domandai, non sento più le bombe e le grida…
Provai a concentrarmi su tutti i miei sensi.. la vista c’èra anche se poco nitida, iniziai a muovere lentamente il mio corpo, avevo paura che mancasse qualcosa o che un dolore lancinante mi avvisasse troppo presto di quello che mi era accaduto, mossi la testa un po’ a destra e un po’ a sinistra ed il fruscio della barba mi rassicurò sul mio udito. Cercai di odorare l’ambiente mentre ingoiavo la saliva; sapeva di pulito e disinfettante; mossi le mani e sentii le dita.. mossi i piedi ed avvertii subito il fresco delle lenzuola agli angoli del letto… rimasi per un po’ così .. avevo paura di capire, forse mi addormentai, ero senza forze…. poi sentii una mano scorrere sulla mia fronte ed un cucchiaio entrare nella mia bocca, era l’ultimo senso che mancava… ero vivo! Ce l’avevo fatta.
Una lacrima scese dagli occhi e bagnò il cuscino, sentivo il fresco sulla guancia… non volevo aprire di nuovo gli occhi, avevo paura, forse non potevo parlare o forse stavo solo sognando, in realtà ero già in paradiso e non lo sapevo, in fondo lo si scopre solo dopo aver lasciato la terra ma il paradiso era per le persone buone ed io avevo ucciso troppi uomini per meritarlo.
Caddi in un sonno profondo e spari e bombe tornarono di nuovo nella mia testa, come le voci dei ragazzi della mia compagnia, erano suoni cupi, immagini sbiadite, non riuscivo a distinguere i particolari, sentivo che mi mancava l’aria e mi svegliai di colpo preso da vampate di calore e sudore. Dov’èrano i miei compagni? Che fine aveva fatto la mia compagnia? Aprii di nuovo gli occhi; ora era tutto più chiaro, più nitido, ero in una sala con diversi letti ed altrettante persone sdraiate sopra, alcuni mi guardavano e sorridevano, altri correvano veloci davanti a me.
Fu a quel punto che una luce accecante illuminò l’ambiente, qualcuno aveva aperto le persiane e dal mio punto riuscivo a vedere il cielo, era di un azzurro bellissimo, senza una nuvola, iniziai a fissarlo, finchè gli occhi non iniziarono a lacrimare.
Arrivò un infermiera dalla parte opposta del cielo, la riconobbi per il cappellino bianco, aveva capelli rossi raccolti, ed una carnagione bianchissima, mi sorrise di nuovo, mentre con una benda asciugava il mio sudore, i suoi occhi erano verdi come i prati a primavera e la pelle del viso piena di lentiggini, era il sorriso più bello che avevo visto da quando ero sbarcato in Italia.
Iniziò a parlarmi nella mia lingua, mi chiese il mio nome, ma non lo ricordavo, mi chiese il cognome ma nonostante gli sforzi non riuscivo a ricordarlo, sorrisi anche io, era l’unico modo che avevo in quel momento per comunicare con lei, si mosse dalla posizione in cui era per sistemare il letto, chiusi gli occhi per un attimo e riconobbi la divisa di un soldato che correva con in braccio un fucile…. Riconobbi la mostrina bianca e rossa
“sono Polacco!” gli dissi,
“sono dell’esercito Polacco!”
“sono un fuciliere dei Carpazi!”
e sorrisi a me stesso, ero in grado di parlare.
Si mise di nuovo a sedere accanto a me, prese la mano, e mi disse:
“lo so, e siamo tutti orgogliosi di voi”…
“dov’è la mia divisa?” continuai,
forse nel rivederla mi sarebbero tornate in mente tante cose, avrei ricollegato quanto mi era accaduto ed i ricordi mi avrebbero portato al punto dove mi trovavo in quel momento.
“La tua divisa nuova non è ancora arrivata, devi pazientare ancora qualche giorno”, fece scorrere la sua mano dalla mia, sistemò una piccola ciocca di capelli che era uscita dal cappellino, si voltò e spari dalla mia vista.
Nel silenzio della sala, rotto solo da qualche colpo di tosse e dai lamenti di altri probabili soldati feriti iniziai a sentirmi solo.
Spesso mi ero sentito solo negli ultimi anni; il viaggio allucinante nei campi di concentramento russi, la perdita di mia madre e dei miei fratelli, le grida di mio padre mentre il treno merci partiva, la perdita dell’identità di uomo e la sola fede in Dio e nella mia patria a fare da barriera tra la voglia di vivere ed il desiderio di morire.
Ricordavo il cielo azzurro dalle sbarre della cella, dalle sbarre del treno che mi portava in Iran, dalle fessure del telone del camion che mi portava nelle caserme degli alleati e ricordavo un cielo azzurro strano, coperto a tratti dal fumo, da persone che mi saltavano sopra senza calpestarmi, da persone che cadevano accanto a me, da mani che si tendevano verso me, da grida che non potevo ascoltare, un cielo che finiva con un muro coperto di sangue nel punto dove incontra l’erba. Non riuscivo a capire dove fosse quel muro, ma di certo ricordavo che mi ero sentito tanto solo davanti a quel muro ed era l’ultima cosa che avevo visto prima di svegliarmi in quell’ospedale.
Ma adesso ero in compagnia, il cielo era di nuovo azzurro, qualcuno mi sorrideva e accarezzava la mia fronte, perché mi sentivo lo stesso solo? ….
I miei compagni! Non sapevo dove fosse la mia compagnia, i miei amici, la mia nuova famiglia, acquisita nel campo di addestramento alleato, non sapevo dove fosse, non sapevo che fine avesse fatto, ero solo e non ricordavo come ero arrivato lì.
Feci uno sforzo e scesi dal letto, la testa mi girava, rimasi un po’ fermo, giusto il tempo per riprendermi e la vista fa attratta dalla persona sdraiata nel letto accanto al mio, era immobile, la testa bendata e tra le pieghe del tessuto il sangue era di un rosso vivo, mi sorrise e mosse leggermente la mano, ricambiai il sorriso, ma quando feci per camminare, verso la fine del letto, di fronte a me riconobbi la divisa, era di un tedesco, un paracadutista, avevo accanto il nemico!
Una vampata di rabbia prese possesso delle mie azioni, ma poi la ragione ebbe il sopravvento sull’odio, mi sedetti di nuovo sul letto tenendo le braccia aperte lungo il materasso per bloccare la schiena che iniziava a darmi dolore e respirai profondamente.
Il Tedesco continuava a sorridere, sembrava un uomo normale, ma in fondo lo era, pensai, la mia rabbia era scoppiata quando avevo visto la sua divisa, i camici bianchi rendono gli uomini finalmente uguali, non sono più soldati. Sorrisi anche io, per pochi secondi e poi chiusi di nuovo il mio cuore, il suono della guerra era ancora troppo forte nella mia mente ed un rumore cupo era fisso nelle mie orecchie, ero a disagio, volevo tenere gli occhi chiusi per ricordare il passato e aperti per capire il presente…
Due infermieri mi rimisero a letto coprendomi di nuovo con il lenzuolo, la giornata fini presto e la notte mi avvolse di nuovo nei miei pensieri……….. il rumore che proveniva dal porto mi fece compagnia tutta la notte, erano suoni cupi e metallici, senza fine, le attività in quel punto dovevano essere frenetiche, la guerra andava avanti, ero io che mi ero fermato.
La finestra era ancora aperta e nel buio del cielo le stelle erano limpide, ma la guerra dov’era?
I giorni passarono in fretta, mi ripresi completamente nel fisico, solo i ricordi erano ancora lontani, a volte mi fermavo nel centro del grande piazzale ed osservavo il cielo azzurro., a volte mi fermavo davanti ad un muro per ore e mi prendevano per pazzo, ma non lo ero, gli ultimi miei ricordi erano fermi davanti ad un muro ed io continuavo a non capire, ma il medico disse che sarebbero tornati presto.
Dai colloqui con l’infermiera, sotto il grande albero nel cortile, avevo saputo tante notizie, belle e brutte; la battaglia era stata vinta anche se a costo di grandi sacrifici; i Polacchi si erano distinti per il valore ma i caduti erano stati tantissimi, io ero stato trovato il giorno successivo al primo attacco, svenuto nei pressi di una collina, che portava a quota 593, forse per causa di uno scoppio e pensato morto da molti miei compagni.
Fui raccolto e portato in un centro di raccolta dei feriti, chiamato la casa del dottore, da lì raggiunsi l’ospedale durante le pause dei combattimenti.
Fermo davanti alla finestra, posta alla fine del grande corridoio dell’ospedale, rimasi da solo a pensare per ore, non avevo fatto amicizia con nessuno, tranne l’infermiera; i miei amici erano a Cassino, la mia famiglia era a Cassino, dovevo tornare lì.
Dovevo tornare a quella casa del dottore dove tutto si era fermato; presi la decisione di chiedere al Dottore un permesso per recarmi a Cassino, forse la vista di quei luoghi mi avrebbe aiutato a trovare la memoria, ma era solo una scusa, io volevo trovare i miei compagni.
Ottenni il permesso ma non sarei andato da solo, l’infermiera mi avrebbe accompagnato.
Il viaggio fu interminabile, fuori dall’ospedale c’èra un mondo in movimento, un mondo che avanzava nella mia stessa direzione, una marea verde, fatta di Jeep, Camion pieni di soldati, Carri Armati ed altri mezzi di trasporto che intasavano ogni angolo della strada; e nel senso opposto le auto con le croci rosse sembravano non finire mai.
Ebbi un primo sussulto alla vista di un cartello stradale con su scritto “Via Casilina” ricordai di aver fatto già quella strada, su un camion insieme ai miei compagni, qualche notte prima dell’attacco. Il viaggio proseguì con infinite soste, il sole era caldo in quel periodo, l’Estate era appena arrivata i profumi erano intensi e li percepivo nell’aria che respiravo dalla Jeep senza tetto. Arrivammo infine nei pressi di un monte stretto e lungo, da lì Cassino era distante solo pochi chilometri, chiesi all’autista il nome del luogo, perché mi sembrava familiare, mi disse “monte Trocchio” per me fu una luce nella memoria, monte Trocchio era la nostra base, lì c’èrano le nostre tende, da li, ricordai, partimmo la notte per andare in battaglia.
Chiesi se c’èrano ancora gli accampamenti alleati, mi disse che li stavano smantellando già da diversi giorni; giungemmo sul luogo e riconobbi alcuni edifici, avevo come l’impressione di uscire dalla nebbia, ogni particolare apriva la vista ad una serie di ricordi e le immagini nella mia mente tornavano ad essere più chiare.
Trovai un albero e mi sedetti ai suoi piedi, l’autista e l’infermiera non capivano, non potevano capire, era l’albero dove ci ritrovammo la sera prima dell’attacco, per pregare Dio; ricordai le parole del cappellano militare; …. le nostre anime erano nelle mani di Dio, i nostri corpi nelle mani della terra Italiana, i nostri cuori nelle mani della nostra Patria. Partimmo da li in silenzio e superammo quel monte sottile che ci divideva dai Tedeschi, sembrava il tendone del palco, nei grandi teatri, pronto ad aprirsi prima dello spettacolo, ma era uno spettacolo che nessuno, di tutti quei ragazzi avrebbe mai voluto vedere, ma ci era stato imposto e fummo costretti ad aprirlo.
Tornai alla Jeep e chiesi di poter andare a Cassino…. O meglio, quello che era rimasto di Cassino, la distruzione era ovunque ed ovunque c’èrano croci piantate in terra con sopra un elmetto, un fucile, un ultimo segno che facesse capire, a chi è rimasto sulla terra, che lì sotto giaceva un soldato. Cassino era un immenso cimitero, i bulldozer avevano liberato le strade, ma lasciato ai lati immensi mucchi di pietre; quelle pietre che un solo un mese prima erano l’identità di un popolo ora erano un impedimento alla via per Roma.
E’ strano tornare sul luogo di una battaglia di quelle dimensioni, chi combatte prosegue ed incalza il nemico conquistando sempre più terreno, i ricordi della battaglia restano dentro di lui, non vengono lasciati a coloro che seguono, che nulla sanno di ciò che è accaduto.
Mentre la Jeep saliva sui tornanti verso l’abbazia, pensai che tutto quanto i soldati avevano vissuto ora era nelle loro menti, ma loro stavano chilometri più avanti, ed i soldati che incontravo, del genio, delle trasmissioni, sapevano solo ciò che gli era stato raccontato, magari in qualche bar di Caserta, tutto questo non doveva essere perduto, non era giusto.
Io stavo ricostruendo i miei ricordi perché non avrei mai potuto vivere senza ricordare quel mese trascorso ai piedi di Montecassino, ero lì perché cercavo la mia memoria ed i miei compagni.
Ci fermammo un attimo nei pressi di una rocca, era semidistrutta, ma da quella posizione ebbi modo di vedere per la prima volta il campo di battaglia come non lo avevo mai visto prima, era un brulicare di persone e di mezzi, era vivo e le persone non erano più rintanate in buche o trincee, la vista spaziava dappertutto ed in particolare sulle file di croci che ogni tanto riempivano grandi spazi di terreno, iniziai ad avere dei brutti presentimenti.
Tornai sulla Jeep ed arrivammo all’Abazia, due soldati ci fermarono e l’infermiera fece vedere dei documenti e spiegò la mia situazione, compresero e ci fecero passare, ma da li a poco avremmo dovuto lasciare l’auto e proseguire a piedi.
Mentre mi guardavo intorno, continuando a cercare ricordi, l’autista mi chiamò per vedere una cosa all’interno dell’abazia, raggiunto, ebbi l’emozione più grande della mia vita vissuta fino a quel momento, la bandiera Polacca sventolava sulle rovine di quell’edificio enorme, che avevo sempre visto con timore a molti chilometri di distanza.
Un soldato, in maglietta, completamente sudata, che scendeva dalle rovine verso di me, si fermò alla vista della mia divisa, si pulì dalla polvere fin sopra i pantaloni, sistemò bene l’elmetto e mi fece il saluto, abbassando gli occhi e tornando sui suoi passi velocemente.
Guardai l’infermiera che piangeva e l’autista con gli occhi lucidi.
“mi volete dire che cosa è successo qui?”
“vieni” mi disse l’infermiera prendendomi sottobraccio.
Ed iniziammo a camminare verso una strada bianca alle spalle dell’Abazia, e lei iniziò a raccontarmi dell’attacco Polacco, dei due giorni di combattimenti per la conquista di due quote, una di queste mi era familiare, era la 593, la collina che doveva conquistare la mia compagnia; iniziai a ricordare, mentre i nostri passi si addentravano in un terreno pieno di monconi di alberi bruciati, nero per gli scoppi delle granate.
Man mano che la strada scendeva i ricordi salivano sempre più forti e si affollavano nella mia mente, sentivo dentro di me bollire il sangue, sentivo un legame particolare a quei luoghi, sentivo di esserci stato, forse ero veramente arrivato al punto dove la mia storia si era interrotta, arrivammo ad una piccola strada sterrata che voltava sulla destra. Ma riconobbi la salita alla quota 593, io l’avevo tentata quella salita, mi staccai da lei e proseguii da solo, verso la collina bruciata molti soldati erano intenti a raccogliere oggetti, alcuni sminavano, altri trasportavano piccole casse che poi venivano posizionate ai piedi della collina.
Arrivai alle casse e guardai dentro, c’èrano gli oggetti di un esercito distrutto e la maggior parte erano Polacchi, in altre casse c’èrano resti umani; ossa, con indosso ancora la divisa; una divisa marrone con i colori dei fucilieri dei Carpazi.
Qualcuno, non so chi, mi tirò via, ma volli restare li e controllare tutte le casse, malgrado l’odore fosse a volte insopportabile e le mosche sembravano le uniche ad avere ancora voglia di vivere.
I soldati sulla collina scendevano come in processione, ognuno con un pezzetto, ognuno con un frammento e ricomponevano un mosaico su quella terra bruciata, ma quel mosaico era la mia compagnia, era il mio esercito, era la mia famiglia, era la Polonia.
Una nube passò alta nel cielo ed oscurò il sole, l’ombra sul terreno correva veloce, ed ebbi per un attimo il ricordo dell’attacco, mi fermai su quelle rocce, con le spalle alla quota 593 e guardai la valle davanti a me .. ed i ricordi arrivarono proprio da quella valle, veloci, come la nube davanti al sole, i chiaroscuri correvano su quelle rocce, ed il vento muoveva l’erba che nel frattempo era ricresciuta, eravamo tutti insieme in quella notte, eravamo risaliti dalla Cavendish Road con immensa fatica, ma la voglia di batterci era superiore alla paura di morire, su quella piccola valle, era quasi l’alba, arrivammo tutti insieme, quando si scatenò l’inferno, quando un gigante oscuro ci schiacciò a terra coprendoci di granate e colpi di mortaio, corremmo e ci riparammo dietro ad ogni roccia disponibile, perdendo il contatto fra di noi e rimanendo soli a volte in piccoli gruppi.
La bocca era secca, non riuscivo a deglutire, avevo paura che un colpo arrivasse a me in ogni secondo; correvo, sudavo, le tempie battevano sotto l’elmetto che spesso mi impediva di vedere, arrivai nei pressi di una postazione e sparai, i colpi finirono subito, come le persone davanti a me, rimase solo l’ultimo alito di calore che salì in cielo dalla bocca dell’ultimo caduto… ripresi a respirare più forte, nello scontro mi accorsi di non aver respirato, l’aria mi mancava, qualcuno mi chiamò dalla distanza, non feci in tempo a voltarmi che una nube di fuoco avvolse le voci che provenivano da quel lato, corsi nel lato opposto, lasciandomi dietro le grida; mentre correvo, non capivo, intorno a me c’èrano solo corpi a terra; il cielo mi stava risparmiando, inciampavo fra i sassi ma non cadevo, correvo verso quella collina, perché lì dovevo andare, nel fumo, vidi altri elmetti come il mio correre, altri cadere, c’èrano oggetti in ogni luogo, scoppi in ogni luogo, urla in ogni luogo, lamenti in ogni luogo, ma dovevamo salire su quella collina, questi erano gli ordini, ma eravamo sempre di meno, mi fermai per cercare la strada migliore per continuare a salire, alcuni soldati erano in posizione pronti a far fuoco, ma non lo avrebbero mai fatto, le spandau avevano disegnato sulle loro spalle il ricamo che ogni fante teme. Mi voltai per continuare a salire ed una luce accecante mi avvolse ….. non sentii più nulla, tutto era attutito, tutto era buio e silenzio, il mio corpo fu come sollevato e trasportato, in un attimo comparve il treno merci e le mani di mia madre che salutavano per sparire nella calca, il volto di mio padre, ed i capelli biondi della donna che amavo ma che non sapeva ancora del mio sentimento… caddi a terrà con un colpo forte alla testa e fu il buio, non so per quanto tempo, ma il freddo mi assalì e mi svegliai, la bocca era piena di sangue ed il sapore arrivò fin dentro la gola…… il profumo dell’erba bagnata, fu la prima cosa che sentii, provai a muovermi ma non ce la facevo, provai a voltarmi per chiedere aiuto e ci riuscii; con il volto verso il cielo la difficoltà a respirare era più forte, ma il cielo era sopra di me, era infinito, bellissimo, celeste, rimasi così per non so quanto tempo, avevo sete, avevo fame, ma non riuscivo a parlare, a sentire, ebbi paura di essere paralizzato, la mia guerra era durata davvero poco, il cielo mi stava aspettando ed ero pronto per raggiungerlo quando delle mani mi afferrarono e mi tirarono su; non capivo più nulla, non sentivo le gambe, ero stordito, dei volti mi parlavano, mi toccavano le guance, mi davano degli schiaffi, ma nulla, non recepivo nulla, fu allora che mi presero sotto braccio e mi trascinarono per la valle, verso un sentiero di strada bianca che finiva con una casa dal tetto semi crollato, non era molto distante, riuscivo a vederla ogni tanto, quando tenevo la testa alzata, ma il più delle volte crollavo con la testa verso il suolo e la vista del terreno era desolante, solo morti, morti Polacchi, tutta la valle era seminata di soldati polacchi, il sangue era misto al fango ed all’erba fresca della mattina.
Lungo il muro che costeggiava la casa c’èrano tanti corpi stesi l’uno accanto all’altro, coperti da teli verde scuro, c’èra ancora qualche posto dove la pietà si era ricordata dell’uomo, fui adagiato con le spalle su questo muretto e vedevo la porta d’ingresso della casa di fronte a me, non riuscivo a tenere la testa alzata, forse la debolezza, la disidratazione, ma avevo gli occhi fissi a quella porta, era la casa del dottore, la riconobbi per gli uomini che entravano ed uscivano in continuazione, avevano le croci rosse sugli elmetti, i camici bianchi intrisi di sangue, l’attività era frenetica, e per tanti che entravano di corsa con feriti gravi, altri ne uscivano lentamente trasportando soldati che avevano finito di soffrire e si aggiungevano alla fila di teli verdi che ormai mi aveva raggiunto; sembrava che la morte, dopo avermi risparmiato, voleva raggiungermi dalla collina fino alla casa del dottore, una lenta colata di uomini inermi, strappati alla vita che si fermava ai miei piedi.
A distogliere lo sguardo da quella vista fu un medico che usci dalla porta della casa del dottore con un grande fascio di bende insanguinate, si avvicino al muretto e le gettò in un angolo, non ebbi la sensazione che fossero bende intrise di sangue, ebbi la sensazione che quelli fossero i colori della mia bandiera, della mia patria, che non riuscivano più a sventolare nel cielo.
Tornarono a prendermi, mi sollevarono di nuovo, un medico uscì dalla casa, mi parlò, io non capii, e dal suo cenno della testa compresi che la mia battaglia era finita, mi portarono dell’acqua , mi tolsero l’elmetto e bagnarono la testa e l’acqua iniziò a scendere per il collo fino alla schiena. Fui spostato da quel muretto, la colata di uomini ormai aveva raggiunto la mia posizione, e fui appoggiato per qualche minuto a ridosso della porta d’ingresso della casa del dottore, non riuscii a vedere all’interno, tutto era scuro e offuscato nella mia mente, ma riuscii a sentire l’odore inconfondibile del sangue rappreso, quell’ambiente ne era saturo. Dalla collina continuavo a vedere dei bagliori, la battaglia continuava, o forse era ripresa, ed io non ero là, ero uno straccio, un peso che stavano appoggiando dove c’èra spazio, di certo non ero venuto lì per quello. Davanti a me continuavano a correre dei soldati in pieno assetto, erano belli e fieri, tutti andavano verso la collina, poi finirono e rimase solo il prato verde e la lunga linea di teli verdi, tra i quali, spuntavano i soli papaveri rossi, tra un corpo e l’altro, ne trovavi a volte uno, a volte un mazzetto, qualcuno era piegato sotto ad uno scarpone, qualche altro sotto ad una mano rivolta verso l’alto …………………………………..
Riaprii gli occhi, ora stavo bene, mi alzai dalla roccia alla base della collina 593, l’infermiera era accanto a me.
“ora ricordo tutto” gli dissi e mi incamminai verso la casa del dottore, era la stessa strada che avevo fatto ricurvo, sotto braccio a due infermieri, arrivai nei pressi del muretto, ora c’èra solo l’erba, giunsi alla porta d’ingresso, tutto era vuoto, non si sentiva più nessun odore, anche la macchia di sangue alla base del muro era ormai del tutto svanita, restava solo un’ombra marrone, la valle era ancora segnata dagli scoppi delle granate, ma l’erba stava coprendo tutto, sentii che era venuto il momento di tornare a casa, ma non avevo più famiglia, l’ultima era finita su questa valle e su quella collina, dovevo ricominciare a vivere partendo da lì.
Aprii con difficoltà la finestra del grande salone dell’abazia, era una giornata assolata di Aprile, la finestra dava proprio nel lato che guarda verso quota 593.
La vegetazione era cresciuta di nuovo, sulla quota avevano eretto una stele di marmo bianco, con la frase simile a quella che ci aveva detto il cappellano militare prima dell’attacco. A parte gli alberi non era cambiato molto, solo il cimitero Polacco era stato aggiunto, fu una grande emozione vederlo e leggere molti nomi conosciuti, ma la mia vista cercava, da quella finestra, la casa del dottore, chissà se aveva resistito a tutti quegli anni, alla fine la vidi, era ancora li, tutto era rimasto intatto, c’èra un gruppo di persone sdraiate sul prato che parlava, pensai che stessero raccontando della battaglia, mi faceva piacere pensare che a distanza di tanti anni non fosse solo un cimitero la testimonianza del nostro sacrificio. “Sì!” pensai, quelle persone stanno parlando di noi, ne ero sicuro.
“Caro andiamo, riparte il pulmann”
Era l’infermiera, diventata mia moglie, che mi richiamava al dovere, la mia famiglia era rinata dalla casa del dottore, avevo promesso di portare i miei nipoti dove il nonno e la nonna si erano conosciuti; quando saranno grandi spero torneranno qui come quei ragazzi che continuavo ad intravedere dalla tende bianche del finestrone dell’abazia, che avevo richiuso.
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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