INGLESI E AMERICANI
I rapporti fra Alexander e il "subordinato" Clark, quando Clark abbandona l'avanzata su Valmontone contro il piano da lui stesso concordato con il Comandante Supremo inglese.
«Quando Alexander comunicò a Clark il proprio desiderio che l'8ª Armata (britannica) partecipasse alla conquista di Roma, Clark prese violentemente cappello. Disse ad Alexander che se egli (Alexander) avesse impartito a lui (Clark) un ordine del genere, si sarebbe rifiutato di obbedire e se l'8ª Armata avesse tentato di marciare su Roma, avrebbe dato ai suoi uomini (della 5ª Armata) istruzione di spararle addosso. Alexander non insistè».
(Da un articolo di Sidney Matthews, riportato da Raleigh Trevelyan, in Roma 1944 pag. 368).
I rapporti tra ufficiali inglesi e americani ad altissimo livello, nella testimonianza del gen. George C. Marshall Capo di S.M. di tutte le forze armata statunitensi.
Finita la guerra Marshall ammise che noi nutrivamo un eccessivo sentimento antibritannico che non avremmo dovuto avere. I nostri erano sempre pronti a ritenere l'Albione "perfida". Ed egli si divertiva a ricordare fino a che punto gli americani sospettassero degli inglesi. "Una volta - raccontava, - gli ufficiali miei subordinati mi mostrarono un piano d'azione britannico. Io non vi trovai nulla da ridire ma essi mi spiegarono quali intenti subdoli si celassero dietro quel piano. Allora io lo respinsi. Il maresciallo dell'Aria Portal (comandante di tutte le forze aeree inglesi n.d.r.) lesse il memorandum di rigetto del piano. poi mi disse che lo aveva stilato lui stesso sulla base di quanto gli era stato precedentemente proposto da noi. Ed era così perchè egli mi mostrò il piano originario che noi avevamo proposto agli inglesi. Gli risposi che avrei fatto tutto il possibile per riparare. Le nostre obiezioni erano scaturite dalle nostre stesse proposte!"».
(Da Forrest Pogue: G.C. Marshall. Ordeal and Hope pag. 264).
Mark Clark, comandante della 5ª Armata americana e Richard McCreery, comandante dell'8ª Armata britannica, intervistati da Brian Harpur, nel 1964. Clark:
Noi, americani, tendiamo ad attaccare su un largo fronte. Per attraversare un fiume attacchiamo su tutta la linea, più o meno contemporaneamente con l'intento di confondere il nemico sul punto preciso in cui intendiamo esercitare il massimo sforzo offensivo, un punto che anche noi non conosciamo, perchè quel punto sarà quello in cui il nemico avrà mostrato di essere più debole. Contro quel punto scagliamo le nostre riserve per l'attacco decisivo. Invece gli inglesi tendono a concentrare i loro attacchi contro un punto o due dello schieramento avversario, dopo una grande preparazione di fuoco con tutti i cannoni e mezzi a loro disposizione. Tutto questo porta a lunghi ritardi, io ebbi grandi dissensi ("serious disagreements") con McCreery, che era anche un buon generale.
McCreery:Non nego di aver sostenuto terribili scontri con Clark riguardo ai metodi di attacco perchè ritenevo che i suoi metodi causassero un numero di perdite umane non necessario. Uno dei principi della guerra è la concentrazione del maggior numero di forze nel punto in cui si vuole colpire il nemico, al momento giusto. Clark, invece, spesso cercava di saggiare la consistenza delle forze avversarie impegnandole su tutta la linea del fronte nel tentativo di trovare il punto debole nemico. Per fare ciò egli buttava via innumerevoli vite umane e diminuiva le proprie possibilità di conservare al momento decisivo un numero di riserve sufficienti per sfruttare le conoscenze acquisite così a caro prezzo. Ci sono altri metodi, meno costosi, per accertarsi delle disposizioni tattiche nemiche senza dover ricorrere alla forza bruta. Mi ripugnava qualsiasi spreco di vite umane e delle proprie risorse. Mi ripugnava. Mi ripugnava.
(Da Brian Harpur: impossible victory p.107).
La «divergenza» delle tattiche anglo-americane nel giudizio dei tedeschi.
Mentre la battaglia (inglese) di Rimini fu un vero esempio di una moderna battaglia di mezzi in grande stile, gli americani negli Appennini toscani cercarono di giungere ad una decisione di forza, impiegando solamente la superiorità numerica del loro materiale umano di prima classe».
(Il Col. Horst Pretzell, Capo Ufficio Operazioni della 10ª Armata tedesca: La battaglia di Rimini, manoscritto.)
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