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GLI ECCIDI TEDESCHI DI SAN PIETRO INFINE
Data: 05-11-2003Autore: MAURIZIO ZAMBARDICategorie: La tragedia dei civiliTag: #novembre 1943, san-pietro-infine, violenze-saccheggi-eccidi

GLI ECCIDI TEDESCHI DI SAN PIETRO INFINE

Nell’autunno del 1943, mentre la pressione dell’esercito degli Alleati si faceva sempre piú consistente lungo la Winter Line, nel territorio di San Pietro Infine si scatenò l’ira vendicativa dei tedeschi. In località Cerrete[1], in tre giorni consecutivi e precisamente dal 9 all’11 novembre del 1943, i nazisti massacrarono ben 17 civili. Qualche giorno più tardi, nei pressi della chiesetta della Madonna dell’Acqua mitragliarono altre due donne che cercavano qualcosa da mangiare per sé e per i propri figli[2].

Diverse e contraddittorie risultano oggi le motivazioni. Si racconta che una pattuglia delle SS avesse trovato alcuni civili con scarponi e abbigliamento militare di fattura tedesca, presi forse a soldati morti per proteggersi dal freddo, ma si narra anche che alcuni civili fossero stati sorpresi in una zona proibita mentre altri si fossero rifiutati di abbandonare i rifugi dove avevano riparato a causa dei bombardamenti. Un’altra versione vuole che un gruppo di civili si fosse impossessato, da muli abbandonati, delle someggiate di rifornimenti per il fronte. Una variante significativa ritiene infine che la someggiata fosse stata lasciata di proposito incustodita per tendere un agguato. Ad ogni modo, qualunque sia stata la motivazione, la sproporzionata reazione tedesca fu delle più feroci e spietate.
Dalle testimonianze dei sampietresi sopravvissuti si è cercato di ricostruire ciò che avvenne in quei funesti giorni di assurda barbarie.

Il 9 novembre Giuseppe Matera[3], 26 anni, e Antonio Colella[4], 40 anni, furono fatti prigionieri perché sorpresi dai nazisti con scarponi militari tedeschi. Giuseppe fu immediatamente fucilato sotto un grosso olivo in prossimità di una grotta denominata "Dei Gazzerro"[5], al cui interno erano i figli ed altri parenti che assistettero alla fucilazione. Antonio Colella riuscí invece a scappare e dopo un’affannosa corsa, vistasi sbarrata la fuga da un’altra pattuglia tedesca che proveniva dalla direzione opposta, si rifugiò in una grotta delle Cerrete. All’interno vi erano altri civili[6]. I tedeschi riuscirono a trovare il rifugio, si fermarono all’ingresso e ordinarono: «Donne e bambini fuori»; alcuni, tra cui Mariantonia Angelone, uscirono; altre donne non lo fecero, sperando che la loro presenza potesse salvare i propri uomini. I tedeschi non si lasciarono dissuadere e spararono all’interno, uccidendo oltre ad Antonio Colella, da loro ricercato, anche quattro inermi civili e ferendone altri. Oltre al Colella, morirono anche Augusto Fuoco[7], di 56 anni, e la moglie Giuseppa Angelone[8], di 58, che non aveva voluto abbandonare il proprio marito. I loro corpi furono ritrovati più di un mese dopo ancora abbracciati.

Rimasero uccisi inoltre anche due uomini che appartenevano al disciolto Esercito Italiano e che si trovavano bloccati a San Pietro Infine, dove passava la linea Reinhard. Uno dei due, di circa 26 anni, si chiamava Vito Mistretta e stava facendo ritorno in Sicilia; dell’altro non si conoscono i dati. Rimasero invece feriti Giuseppe Gatti[9] di 39 anni e la sorella Rosa. Giuseppe fu colpito di striscio da un proiettile che gli provocò un taglio sull’addome e la fuoriuscita degli organi interni, mentre Rosa fu ferita ad una gamba sempre da un proiettile. Rosa si era buttata sul corpo del fratello facendogli da scudo. I tedeschi andarono poi via e i civili scampati rimasero in silenzio per un bel pò. Aspettarono fino a quando si resero conto che avevano campo libero e quindi si diedero alla fuga rifugiandosi nella masseria adiacente. Fiorentino Gatti[10], di 42 anni, constatò che la ferita del fratello Giuseppe era grave e che quindi doveva essere medicato, per cui lo convinse a cercare aiuto in paese. Partirono la mattina successiva. Giuseppe si mise a dorso di un asino insieme alla sua ultima figlioletta Benedetta, di appena otto anni, mentre Fiorentino li precedeva a piedi. Arrivati alle case della Petriera, situate lungo la Strada Annunziata Lunga, a poche centinaia di metri ad est del paese, furono bloccati da alcuni tedeschi che, con i mitra spianati contro, ordinarono loro di seguirli in una grotta situata lì vicino. Gli stessi tedeschi, nel notare la ferita da arma da fuoco, dovettero pensare che i due fossero scampati al mitragliamento del giorno prima e ritenendo che uno di essi poteva essere l’uomo sfuggito, decisero di eliminarli entrambi. Misero dunque la bambina sull’asino, le fecero segno di continuare il cammino e poco dopo si sentirono echeggiare nell’aria dei colpi di mitraglia e poi un’esplosione. Avevano giustiziato i due nella grotta e ne avevano poi causato il crollo facendola saltare con l’esplosivo[11].
Lo stesso giorno – è il 10 novembre – i tedeschi uccisero anche Filomena Cistrone, di Cervaro, 57 anni, che era andata a prendere l’acqua a Gliu Sperine, sempre in località Cerrete. Il marito Pasquale Meo[12], 69 anni, non vedendola ritornare andò a cercarla e la intravide tra la vegetazione riversa a terra dall’altra parte di un fossato. Pasquale non ebbe neppure il tempo di raggiungerla che il tedesco che le aveva sparato uccise anche lui. I due coniugi morirono cosí lungo quel fosso che li separò oltre la morte: un corpo giaceva su una sponda, l’altro dalla parte opposta.
Ma la barbarie tedesca non finí qui. Il giorno successivo altri sette civili furono trucidati dalle spietate squadriglie naziste. Giusta Mignanelli, di 65 anni, il cognato Giuseppe Nardelli[13], di circa 70 anni, e un uomo ultracinquantenne che si trovava ramingo da quelle parti e che da qualche giorno si era fermato con loro, si incamminarono per cercare un rifugio più sicuro nella propria tenuta che si trovava in località La Forcella, alle pendici di Monte Rotondo. I tre erano seguiti a poca distanza da Vittore Nardelli[14], di 42 anni, Angela Colella[15], anch’essa di 42 anni, e i loro figli Vincenzo[16], di 17 e Domenica[17], di 13. Tutti e sette camminavano in fila indiana, quando furono fermati da una pattuglia tedesca che ordinò loro di invertire il cammino e di tornare indietro. Il comando non fu compreso perché probabilmente, oltre a non comprendere il tedesco, i sette erano intimoriti dalle uccisioni dei giorni precedenti. Pertanto annuirono, come se avessero capito, e continuarono lentamente a camminare per allontanarsi, ma non fecero che pochi passi che i tedeschi scaricarono i loro mitra su tutta la fila. I civili caddero falcidiati in prossimità di un fosso di scolo dell’acqua piovana della montagna[18].
L’unica che non rimase uccisa fu Angela Colella, la quale rinvenne dopo qualche minuto di svenimento. Quando si riprese, i tedeschi erano già andati via, tutt’intorno imperava il silenzio, chiamò aiuto ma nessuno le rispose.
Si alzò e vide il marito e il figlio abbracciati nella morte, mentre la figlia Domenica era riversa carponi proprio in mezzo al fosso. Angela era stata ferita al mento e al petto, proprio all’altezza dell’esofago, ma il proiettile era uscito dalla parte opposta, non aveva lacrime perché impietrita dal dolore. Pensò di chiedere soccorso in paese, ma prima spostò il corpo di Domenica, temendo che l’acqua piovana la potesse portare chissà dove, e poi a fatica, indebolita dalla ferita, si recò in paese. Andò dritta a casa di alcuni amici dove sapeva che vi erano nascosti altri sampietresi. Appena giunta, raccontò dell’accaduto ai rifugiati che erano già a conoscenza della strage dei due giorni precedenti. A riferirlo erano stati due soldati italiani allo sbando che indossavano ancora la divisa. I militari stavano tornando al loro paese dopo l’armistizio e si trovarono bloccati proprio dalla linea difensiva tedesca. I due avevano trovato rifugio alle Cerrete e il giorno dell’eccidio si trovavano nascosti proprio nella grotta. Si salvarono dalla morte grazie alla loro scaltrezza ed esperienza: infatti quando videro le sagome dei tedeschi comparire sull’uscio della grotta compresero immediatamente le loro intenzioni e d’istinto si buttarono a terra, sfuggendo così alle mitragliatrici.
I sampietresi cercarono di portare soccorso ad Angelina, ma la mancanza di medicinali e la scarsa igiene in cui erano costretti a vivere fecero infettare la ferita[19]. A ciò si aggiunge il fatto che la donna non poteva mangiare né ingoiare liquidi, per cui pochi giorni dopo morí.

Quando i soldati americani conquistarono definitivamente il paese, riducendolo ad un cumulo di macerie, molti civili decisero di spostarsi dalla Valle della Morte[20], situata ad ovest del paese, o dagli altri ricoveri sparsi su Monte Sambùcaro, per andare in località Cerrete, che faceva ormai parte delle retrovie alleate. Anche Francesco Nardelli e la moglie Michelangela Di Raddo[21], seguiti da altri familiari ed amici, vi si recarono. Durante il tragitto trovarono ai bordi di un fosso ancora i tre corpi insepolti, in stato di avanzata decomposizione, di Vittore Nardelli e dei suoi figli Vincenzo e Domenica. Arrivati alle Cerrete, cercarono di riattare per prima cosa la casa, il terreno ed anche la grotta ma qui trovarono ancora i cadaveri dell’eccidio e non ebbero il coraggio di portarli via. Quando però una cannonata arrivò nei pressi, realizzarono che non la casa ma la grotta era il posto piú sicuro. Si fecero coraggio e portarono all’esterno i corpi. Li adagiarono in un fosso per il letame che si trovava pochi metri più in là, rinviando la loro sepoltura perché le cannonate si facevano sempre piú fitte. Cercarono allora di pulire alla meglio la cavità, grattarono le incrostazioni e la imbiancarono di calce. Francesco e Michelangela ricordano ancora che nell’avvicinarsi ai corpi ne trovarono uno con la testa poggiata su un tronco di legno e che a stento vi riconobbero il cadavere di Antonio Colella, come pure riconobbero, nei due corpi trovati abbracciati, le salme di Augusto Fuoco e della moglie Giuseppa Angelone. In quella straziante giornata il ritrovamento nella grotta di due bottiglioni di vino ancora intatti – e loro non ne assaggiavano da diversi mesi – restituì qualche momento di conforto.
La grotta così ripulita tornò ad essere un rifugio, ma poi arrivarono gli americani e la requisirono per insediarvi un comando, imponendo ai sampietresi di sloggiare. Così quei poveri derelitti dovettero ancora una volta spostarsi, rifugiandosi altrove.
La sorella di Vittore Nardelli, Emilia, nei primi mesi del 1944 andò, insieme ad altri sampietresi tra cui Antonio Carciero[22], a recuperare i resti dei propri congiunti per dare loro sepoltura. Tra copiose lacrime Emilia raccolse quello che era rimasto del fratello e dei suoi figli e mentre li sollevava sul carretto si ferí alla mano con un ferro arrugginito. Quella ferita mal curata le si infettò e solo dopo molto tempo guarí lasciandole però un’invalidità permanente all’arto[23].

Nell’immediato dopoguerra i Carabinieri di Mignano Montelungo ebbero il compito di investigare sugli eccidi.
Furono allora sentite alcune persone tra cui Regina Acciaioli[24], la quale riferí che i tedeschi avevano dei teschi umani disegnati sugli elmetti[25], pertanto facevano parte dei corpi speciali delle SS denominati "Unità dei teschi di morto", il cui compito era di utilizzare la massima spietatezza rispetto a quanto o quanti avessero provocato disturbo o intralcio all’esercito tedesco. Qualcuno ha ipotizzato che fosse la stessa squadra punitiva che compí l’eccidio di Monte Carmignano a Caiazzo, il 13 ottobre 1943.

Note

  1. ^ Questa è una stretta valle compresa tra Monte Sambucaro, Monte Rotondo e Monte Cannavinelle, una propaggine di Monte Cesima. L’area, delimitata da un bosco ceduo demaniale, era frequentata ed abitata nei mesi estivi dai sampietresi, che ne coltivavano il terreno molto fertile già prima della guerra.
  2. ^ Vedi mio articolo “San Pietro Infine - Al di là del filo spinato. per non morire di fame” in L’Inchiesta, settimana dal 19 al 25 Novembre 2000, pag. 26.
  3. ^ Giuseppe Matera, nato a San Pietro Infine il 5 giugno 1917 da Giuseppe ed Elisa Verducci.
  4. ^ Antonio Colella, nato a San Pietro Infine il 12 settembre del 1903 da Nicandro e Maria Filippa Forgione.
  5. ^ Chiamata cosí perché posta nel terreno della famiglia Gazzerro. La grotta è ancora esistente e si trova lungo la strada Statale N. 6 bis, anche nota come Variante Annunziata Lunga, realizzata negli anni ’60. La grotta si trova alle spalle di una piazzola di sosta situata sulla sinistra, al chilometro 3.4, andando in direzione di Venafro.
  6. ^ Il rifugio fu scavato proprio in quei giorni da Salvatore Forgione, dal figlio Nicola ed anche dalla famiglia di Giuseppe Gatti. La grotta scendeva in profondità e aveva due uscite laterali di emergenza, di cui una portava proprio in direzione dell’adiacente casa di campagna. Riferito da Francesco Gatti fu Giuseppe, che in quel tempo partecipò allo scavo della grotta. Aveva 16 anni.
  7. ^ Augusto Fuoco, nato a San Pietro Infine il 15 gennaio 1887 da Giuseppe e Maria Carmina Di Fonzo.
  8. ^ Giuseppa Angelone, nata a San Pietro Infine nel 1885 da Nicandro e Angela Mignanelli.
  9. ^ Giuseppe Gatti, nato a San Pietro Infine il 5 febbraio 1904 da Francesco e Angela Masella.
  10. ^ Fiorentino Gatti, nato a San Pietro Infine il 4 maggio 1901 da Francesco e Angela Masella.
  11. ^ Riferito da Francesco Gatti, figlio di Giuseppe.
  12. ^ Pasquale Meo, nato a San Pietro Infine il 15 gennaio 1874 da Domenico ed Eleonora Saravo.
  13. ^ L’anziano uomo si era ferito ad una gamba cadendo da un albero mentre raccoglieva delle foglie per una tisana e per questo motivo non era andato con altri suoi parenti in paese.
  14. ^ Vittore Carmine Nardelli, nato a San Pietro Infine il 6 marzo 1901 da Antonio e Domenica Di Raddo.
  15. ^ Angela Colella, nata a San Pietro Infine il 5 dicembre del 1901 da Cesare Colella e Benedetta Colella.
  16. ^ Vincenzo Antonio Nardelli, nato a San Pietro Infine il 16 febbraio 1926.
  17. ^ Domenica Generosa Nardelli, nata a San Pietro Infine il 15 gennaio 1930.
  18. ^ Riferito da Maria Mignanelli.
  19. ^ Riferito da Benedetto Nardelli ed anche da altri sampietresi.
  20. ^ Vedi mio articolo: “Valle della morte” pubblicato sul mensile L’altra voce, n. 8, settembre 1998, pag. 41.
  21. ^ Francesco Nardelli aveva all’epoca 22 anni ed era da poco tornato dal fronte, Michelangela aveva invece 18 anni. (Intervista videoregistrata del 30 dicembre 1994).
  22. ^ Intervista del dicembre 1992.
  23. ^ Riferito dal figlio Antonio Zenga.
  24. ^ Regina era figlia di Alessandra Acciaioli e all’epoca dell’eccidio aveva 16 anni. La madre conviveva con Antonio Colella.
  25. ^ Le testimonianze raccolte dai Carabinieri sono state rintracciate di recente da Pietro Gargano, scrittore e giornalista de “Il Mattino” di Napoli.

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