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ARMANDO BALESTRINO - BATTAGLIONE "BAFILE"
Prologo
L’8 settembre 1943 il sottotenente del Genio Navale Armando Balestrino, mio padre, era imbarcato sulla corazzata “Giulio Cesare” ancorata nel porto di
Pola. Era il suo primo imbarco. Allievo dell’Accademia Navale di Livorno (Corso “Comandante Giobbe”), aveva completato il periodo di Aspirante alla
fine del 1942, era quindi stato nominato sottotenente e imbarcato, appunto, sul “Giulio Cesare”.
L’8 settembre passò a Pola senza sconvolgimenti visibili. Solo al pomeriggio del giorno dopo, 9 settembre, la corazzata “Giulio Cesare” uscì dal porto
assieme ad altre navi minori, in risposta ad ordini segreti. Rotta e destinazione erano in buste sigillate, da aprirsi solo in alto mare. Se il
Comandante conosceva la destinazione e lo scopo della missione, non li divulgò a nessuno.
Un sottomarino tedesco attendeva la corazzata all’uscita dal porto con l’intenzione di silurarla. La torpediniera “Sagittario” lo scorse, e intuite
le sue intenzioni gli si lanciò contro per speronarlo. L’unità tedesca fu disturbata nel lancio, così che il siluro mancò il bersaglio e andò a
esplodere contro la scogliera. Il “Giulio Cesare” con le navi minori si allontanò in mare aperto.
Il posto di papà era in sala macchine e qui si trovava, in turno di guardia, nella notte fra il 9 e il 10 settembre 1943. Durante quello che sembrava
un turno tranquillo, arrivò un sottocapo macchinista proveniente dai ponti superiori portando nientemeno che la notizia di un ammutinamento. Il
comandante e gli ufficiali superiori erano stati disarmati e radunati nel quadrato ufficiali, guardati a vista da marinai armati. Allarme e
preoccupazione seguirono la grave notizia. Papà non poteva abbandonare la sala macchine, di cui era in quel momento il responsabile. Si limitò
quindi a mandare di tanto in tanto in coperta un sottocapo fidato, per aggiornarlo sulla situazione. Dalle notizie che frammentariamente arrivavano
si capì che l’ordine ricevuto dal “Giulio Cesare” era di consegnarsi agli Inglesi in obbedienza alle condizioni dell’armistizio. Alcuni ufficiali si
erano ammutinati per opporsi a quest’ordine. Poco dopo papà fu chiamato all’interfono dal guardiamarina Tentoni, suo amico e compagno di Accademia, uno
dei capi dell’ammutinamento. Papà e Tentoni erano amici, fra l’altro Tentoni era il capitano della squadra di calcio in cui papà, appassionato
calciatore, giocava come ala destra. Tentoni gli chiese di non abbandonare la sala macchine e di continuare a garantire il funzionamento dei motori.
Durante la conversazione fece appello alla loro amicizia e gli chiese di fidarsi di lui. Papà rimase al suo posto anche ben oltre il termine del suo
turno. Molti anni dopo, nel raccontare la vicenda, sottolineava l’incertezza e la difficoltà di prendere una decisione nella situazione che si era
creata. Sia gli ammutinati che il comandante agivano per motivi onorevoli, e non era immediatamente chiaro, anche in base all’estrema scarsità delle
informazioni allora disponibili, quale fosse la via da seguire. Come in seguito in altre situazioni, egli si ispirò nella decisione al senso di
responsabilità, rimanendo al suo posto e garantendo comunque ciò che le sue responsabilità gli richiedevano, cioè il buon funzionamento dei motori
di cui era responsabile.
Il seguito della vicenda permise al “Giulio Cesare” di raggiungere Taranto come inizialmente ordinatogli. Il comandante riuscì a instaurare un dialogo
con gli ammutinati, li informò delle condizioni esatte dell’armistizio e li convinse della corrispondenza della sua condotta con il dovere e l’onore
militare. A tutt’altro livello anche l’ammiraglio Bergamini, che aveva anch’egli obbedito agli stessi ordini al comando della squadra navale di La
Spezia, aveva dovuto essere convinto dall’autorità di De Courten avvallata nientemeno che dal Grande Ammiraglio ed eroe di guerra Thaon di Revel. Sul
“Giulio Cesare”, il comandante ottenne di essere reintegrato nel comando e di poter condurre la nave alla destinazione ordinata. Secondo papà, il
comandante promise di non fare parola dell’accaduto, così da non esporre a conseguenze gli ammutinati [
Nota -
Questo particolare è confermato da F. Botti nell’articolo “L’8 settembre 1943 sulla corazzata Giulio Cesare” (Storia Militare, n. 3 del dicembre 1993,
pag. 7-14)]. In realtà una volta a Taranto Tentoni e gli
altri capi dell’ammutinamento furono denunciati, processati e condannati. Nel narrare questi avvenimenti, papà considerò sempre la denuncia come un
venir meno del comandante alla parola data. Va detto che, secondo opinioni competenti, la Marina trattò con benevolenza gli ammutinati, condannandoli
a pene lievi e reintegrandoli in seguito in servizio o nel cursus honorum [
Nota - (Botti, op. cit.)].
Durante la navigazione in Adriatico, una formazione di
Stukas raggiunse la nave. Papà era convinto che gli
Stukas ritenessero la nave disarmata, perché
durante la lunga sosta a Pola le munizioni erano state sbarcate per motivi di sicurezza. Al contrario, la mattina della partenza si era fatto in tempo
a imbarcare fra l’altro anche le munizioni delle armi antiaeree. Fu grazie a queste che il guardiamarina Tentoni poté recarsi in coperta all’arrivo dei
bombardieri e organizzare il fuoco contraereo. Gli attaccanti sembrarono sorpresi da questa reazione, forse inattesa. La contraerea li portò a
scomporre la formazione di attacco e le bombe furono sganciate senza precisione. In sala macchine, sotto la linea di galleggiamento, papà udiva le
bombe esplodere in profondità, a dritta e a manca dello scafo. Temeva il peggio, ma mantenne il sangue freddo. Scrutava le pareti per cogliere i primi
segni dell’acqua che entrando avrebbe affondato la corazzata, e cercava di immaginare quale punto del ridotto corazzato avrebbe ceduto per primo. Come
spiegò più di cinquant’anni dopo a me e a suo nipote Alberto che lo ascoltavamo, sapeva bene che nell’affondamento di una nave da guerra non ci sono
vie di scampo per chi è sotto coperta. La tragedia dell’altra corazzata Roma, che si era consumata il giorno prima in simili circostanze, sta a
dimostrarlo.
Le vicende del “Giulio Cesare” e in particolare l’ammutinamento sottolineano il dramma in cui gli Italiani alle armi si trovarono dopo l’8 settembre. In
massima parte (con la notevole eccezione della Decima MAS) la Marina rimase fedele al Re e onorò le condizioni armistiziali. Per parte loro, i Tedeschi
tentarono come si è visto con determinazione di affondare il “Giulio Cesare” così come il giorno prima avevano affondato la Roma.
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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