TERELLE, IL BELVEDERE E L’OTTADUNA, TRA VASTI PANORAMI E RICORDI DI UNA BATTAGLIA: UN’IDEA PER LA RIVALUTAZIONE DEL TERRITORIO.
Era l’alba del 25 gennaio 1944 quando i primi fanti della 11a compagnia del 4° reggimento Tirailleurs tunisino sbucarono dal "Ravin Gandoet" nella piana dell’Ottaduna. Nel buio, sotto la pioggia, nella nebbia, mentre i loro compagni emergevano ancora dal burrone appena scalato, i primi elementi occuparono la vicina quota 681, sorprendendovi gli attoniti difensori tedeschi. Cominciò così quella che è passata alla storia come la battaglia del Belvedere (25 gennaio-3 febbraio 1944), tra le più intense e sanguinose svoltesi attorno alla martoriata città di Cassino.
RAVIN GANDOET: 25 GENNAIO 1944 - 25 NOVEMBRE 2006
“No, Jordy, nessuno saprà mai ciò che abbiamo fatto. Nessuno se lo chiederà mai. Queste cose, vedi, non si possono raccontare: spariscono con noi”.
(Ten. Nicolas al Ten. Raymond Jordy - 01.00 circa del 26 gennaio 1944, quota 681)
05/01/2007 | richieste: 5188 | LIVIO CAVALLARO
Le battaglie, I luoghi | #gennaio 1944, #today, colle-belvedere, francia, ravin-gandoet
Dopo la prima sorpresa, la reazione tedesca fu violenta, decisa e tenace. Ne nacque una serie di combattimenti che per la loro intensità
ricordarono a coloro che vi parteciparono quelli della I guerra mondiale: assalti all’arma bianca, trincee e filo spinato, bombardamenti
d’artiglieria senza tregua per dieci notti e dieci giorni.
Da una parte e dall’altra si sprecarono episodi di valore, ma le vittime della battaglia furono centinaia, non solo i caduti, ma anche i feriti che
venivano portati nelle retrovie con grande fatica, tra sofferenze enormi.
LA BATTAGLIA DEL BELVEDERE (25 GENNAIO-2 FEBBRAIO 1944): DUE DOCUMENTI A CONFRONTO.
Questa breve sintesi è il frutto della comparazione fra due testi ufficiali: il diario storico dell’O.K.W., il comando supremo delle forze armate tedesche, e l’opera del colonnello Georges Boulle, edita nel 1971 a cura del “Service Historique” dell’Esercito Francese.
06/01/2006 | richieste: 7868 | ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
Le battaglie | #gennaio 1944, colle-belvedere, francia
Certamente chi legge i documenti militari relativi ai fatti non può che fermarsi ad un lungo elenco di quote senza nome, ognuna delle quali
rappresenta un’altura per la conquista della quale si sparse tanto sangue.
Carte alla mano, alcune di queste quote hanno un nome, altre sono rimaste un numero, ma non per questo sono prive di importanza o interesse per
chi solo sfiora la storia di quei giorni.
Colle Abate, dove ora sorge un cippo a ricordo dei caduti tedeschi, era la quota 915, l’obbiettivo più lontano, disputato per giorni e probabilmente
mai raggiunto dai francesi; la quota 862, conquistata, persa e riconquistata per sette volte, dove avvenne lo stupefacente episodio fatto del
tenente Bouakkaz, tramandatoci da più di una testimonianza; la quota 701, vicino alla strada che sale da Caira, aspramente contesa per giorni;
la cresta del Belvedere, rifugio dei fanti tunisini ed algerini, sotto l’imperversare dell’artiglieria e dei mortai tedeschi.
Poi il "Ravin Gandoet", che prese il nome dal maggiore francese comandante del III battaglione del 4e Régiment de Tirailleurs Tunisiens: un canalino,
scavato dalle acque per secoli, che si snoda quasi verticale dal paese di Olivella e sbuca a pochi passi dall’Ottaduna, da dove salì, non vista,
nemmeno dal Cifalco, quella compagnia di fanti che sorprese i tedeschi e permise ai francesi di mettere piede sulla cresta del Belvedere.
L’Ottaduna, un nome che a molti non suggerisce nulla e invece tutta la battaglia ruotò attorno a questa piccola conca, parallela alla cresta del
Belvedere e che la divide dal’erta che porta a colle Abate, alla quota 862 ed al paese di Terelle, roccaforti della difesa tedesca; all’Ottaduna si
infransero le ultime speranze tedesche di ricacciare a valle i francesi.
Oggi, la conca ha cambiato fisionomia. Una volta era intensamente coltivata, con i campi divisi tra piccoli proprietari; poi le terrazze, sostenute
da secolari mura di pietre, le "macere". Tutto distrutto nel corso dei combattimenti. Resistono alcune case, alcuni ruderi, un microcosmo tuttora
vivente.
A camminare tra rovi, piante, prati si avverte un silenzio profondo, rotto soltanto dall’abbaiare di qualche cane, dallo stormire delle fronde, ma
si resta incantati dal paesaggio con il monte Cairo che troneggia dall’alto. Se poi si sale sulla cresta del Belvedere, si gode di una vista che
spiega il motivo di questo significativo toponimo. Ai vostri piedi si snoda la valle del Rapido, il piccolo borgo dell’Olivella, ma con la vista
si risale il corso del fiume che scende a rotta di collo dalla sua fonte ai piedi del monte Santa Croce; davanti il mitico ed imponente monte
Cifalco, dal quale durante le giornate di bel tempo i tedeschi potevano osservare ogni movimento, anche di un singolo soldato alleato; più a
sinistra il paesino di Belmonte Castello ed il passo che divide la valle del Rapido dalla Valle di Comino; sullo sfondo le montagne d’Abruzzo
e del Molise con le vette innevate fino alla tarda primavera: insomma una vista grandiosa... .
Difficile trovare qualche reperto nella piana dell’Ottaduna, troppo facile da raggiungere per i raccoglitori di rottami che l’hanno saccheggiata, ma tutto intorno è facile riconoscere le posizioni dove vissero per mesi migliaia di soldati alleati; risalendo la montagna verso colle Abate ed oltre la quota 862, è invece facile imbattersi nelle postazioni tedesche. In poco tempo e senza grandi fatiche ci si immerge nel campo di battaglia e si può lasciar corso all’immaginazione che vi riporta nel pieno dei combattimenti.
Della battaglia del Belvedere si sono occupati storici famosi, come il francese René Chambe, un generale, ma anche noto scrittore degli anni venti-trenta, che vi dedicò un volume di ricordi, denso di testimonianze di prima mano; il tedesco Böhmler, autore di un famosissimo libro sulla battaglia di Montecassino. Ma anche studiosi come l’inglese John Ellis ed il neozelandese Robin Kay, che ha dedicato numerose pagine agli ultimi combattimenti di Terelle e colle Abate.
Va infatti ricordato che nel marzo 1944 i francesi lasciarono la zona e furono sostituiti dapprima da reparti inglesi e poi neozelandesi. Finita
la grande battaglia, le linee contrapposte continuarono ad esistere ed anzi furono rafforzate in un lavoro quotidiano senza soste. I grandi scontri
tra le opposte fanterie lasciarono il posto ad una classica guerra di posizione, dove durante le ore diurne nessuno osava mettere la testa fuori dal
proprio riparo per il pericolo del colpo di un cecchino o di una sventagliata di mitragliatrice; durante la notte si muovevano le pattuglie, con
vicendevoli agguati spesso mortali, e solo di notte potevano essere portati alle prime linee gli approvvigionamenti, a dorso di mulo o di uomo.
Questa vita sfibrante, tanto detestata dai soldati, sempre esposti al pericolo mortale di un colpo di mortaio o di un colpo di fucile, durò dal
febbraio al maggio 1944, quando finalmente gli ultimi difensori tedeschi lasciarono la zona, dopo lo sfondamento della Linea Gustav sui monti
Aurunci e nella valle del Liri.
I primi soldati neo zelandosi entrarono a Terelle il 26 maggio 1944, ma gli ultimi caduti a colle Abate, Maori del 28° battaglione di fanteria neo
zelandese, risalgono al 27 maggio, ben sedici giorni dopo l’inizio dell’offensiva alleata.
A conclusione di queste poche righe ed a fronte delle notizie che circolano, sorgono due domande: vale la spesa conservare quello che oggi è un
piacevole e suggestivo paesaggio? Vale la spesa salvare il ricordo di un campo di battaglia che vide svilupparsi tanta sofferenza e tante tragedie?
Una cosa è però certa: tutta la zona potrebbe diventare un’attrattiva turistica, sia per l’ambiente naturale, sia per la storia.
Provate ad immaginare un percorso automobilistico, dotato di apposite segnalazioni ed opportunamente valorizzato... .
Si parte da Cassino, seguendo una delle due strade che portano a Caira, entrambe ricche di ricordi storici. Visitato il monumentale cimitero
militare tedesco, si prosegue per Terelle su una buona strada asfaltata, classicamente italiana con tutte le sue curve a gomito. Si prende
rapidamente quota con un vasto panorama verso il monte Castellone, l’abbazia di Montecassino e la valle del Rapido. All’ultima curva a gomito –
oggi non è segnalato un bel niente – si può entrare nella conca dell’Ottaduna, usufruendo di una strada che sebbene stretta, è percorribile con
qualunque tipo di automobile. Arrivati al fondo, vicino a dei ruderi, si può parcheggiare il mezzo, vedere il "Ravin Gandoet" e salire a piedi
sulla cresta del Belvedere, superando una leggera pendenza: di lassù potrete godere del vasto panorama che vi si offre. Tornati indietro, si
riprende la strada per Terelle dove, oltre a far quattro passi per il borgo, si può fare una passeggiata per il famoso e centenario castagneto.
Le vie di ritorno sono due. O prendete la strada per Belmonte Castello, quella che fu costruita dai tedeschi con manodopera italiana, e dall’abitato
di Belmonte seguite la millenaria strada di Sferracavalli rientrando a Cassino, oppure da Terelle tornate verso Caira e dopo circa due chilometri
imboccate la strada per Villa Santa Lucia, scendendo quindi sulla Casilina, a pochi chilometri da Cassino. Entrambe queste strade offrono vasti
panorami: la prima sulla valle del Rapido, tra monte Cairo e monte Cifalco, con le catene montuose di Abruzzo e Molise; la seconda, sulla valle
del Liri, passando, tra l’altro, attraverso le retrovie tedesche di Pizzo Corno e della Masseria Albaneta.
Forse una maggior lungimiranza ed una pur minima conoscenza degli avvenimenti che si svolsero nella zona aiuterebbe un paesino di 480 anime a ridestarsi, scoprendo una vocazione oggi incompresa... con tanto di turisti e trattorie... .
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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