15 FEBBRAIO 1944, QUELL'APPARIZIONE DAL MONASTERO... NELLE MEMORIE DI UN UFFICIALE MEDICO INGLESE
Tutti coloro che amano la storia delle battaglie di Cassino conoscono e ricordano il libro di Walter Nardini, dal titolo
"Cassino, fino all’ultimo uomo", edito nel lontano 1975.
L’autore raccolse centinaia di testimonianze di reduci provenienti da paesi diversi, ma non poté pubblicarle interamente per evidenti motivi di spazi editoriali.
Le lettere ricevute, manoscritte o dattiloscritte, sono state comunque conservate da Nardini e recentemente affidate al maggiore Valentino Mattei, anche lui
appassionato studioso delle battaglie.
Fra questi documenti vi è una lunga lettera, scritta il 18 agosto 1972 da un ufficiale medico inglese che nel febbraio 1944 venne a trovarsi con la sua unità, il I battaglione del Royal Sussex Regiment, alle falde della quota 593 e fu testimone diretto degli attacchi del suo battaglione alla quota stessa, ma anche del bombardamento dell’Abbazia visto da poche centinaia di metri. [1]
Il maggiore Reilly allegò alla lettera un dattiloscritto con molte notizie sulla propria vita militare, iniziata nel 1940 nella 51st Highland Division.
Nel novembre 1941, promosso capitano, fu assegnato al I battaglione del Royal Sussex Regiment, della 4a divisione di fanteria indiana, che raggiunse in Libia dopo la battaglia di Sidi Omar. [2]
Finita la campagna in Nord Africa, la divisione fu trasferita in Italia e combatté sul Sangro per essere poi trasferita nel settore di Cassino.
Racconta il maggiore Reilly:
Il I battaglione Royal Sussex Regiment si mosse da Orsogna fino a San Michele, a sud di Monte Cassino dove, nella notte fra il 10 e l’11 febbraio marciò per più di sette miglia per una strada fangosa fino al piccolo paese di Caira, accampandosi sulle falde inferiori del monte Castellone, dove fummo oggetto di un bombardamento di cinque ore non solo di cannoni tedeschi ma anche nostri. La prima vittima fu il mio attendente, il soldato Gasson, che fu ucciso a non più di 40 iarde da me.
Nella notte del 12 febbraio, il battaglione salì con una marcia di due ore alla base della quota 593 dove rilevò i soldati americani, trovati in
pessime condizioni fisiche, con alcuni che avevano gli arti congelati.
Il comando del battaglione ed il posto di primo soccorso reggimentale si sistemarono in una casa rovinata e senza il tetto, il comando in una stanza
ed il maggiore Reilly, i suoi barellieri ed il materiale sanitario in un’altra.[3]
I tedeschi erano vicinissimi, sopra di loro sulla quota 593, ma anche in direzione della collina del Monastero, proprio davanti, dalla quale sparavano
con mitragliatrici e mortai.
Il comandante del battaglione, colonnello Glennie, dispose che durante il giorno non ci fossero movimenti di uomini perché i cecchini sparavano dal
monastero, ma ci furono lo stesso dei feriti. Le colonne dei muli arrivavano alle 10 di sera e con il buio era possibile far arrivare i rifornimenti
fino alle prime linee.
Nella notte fra il 15 ed il 16 febbraio, la compagnia C, comandata dal maggiore Ben Dalton, il miglior amico del maggiore Reilly, attaccò la cima
della quota 593, ma subì gravi perdite e dovette ritirarsi.
Nella notte successiva, quella fra il 16 ed il 17 febbario, l’attacco fu ripetuto con tutto il battaglione, ma fu un insuccesso con molte perdite,
10 ufficiali e 130 uomini.
Racconta l’autore:
Il giorno precedente delle Fortezze Volanti, dopo qualche tiro della nostra artiglieria, rilasciarono diverse "block-busters" sul
monastero. [4]
La zona del nostro battaglione fu oscurata da una spessa nube di polvere e fu investita da schegge di roccia delle mura dell’Abbazia. Subimmo 28 perdite
nella prima mezz’ora del bombardamento.
Il colonnello Glennie telefonò al comando di brigata e le bombe che caddero dopo furono di minor calibro e non causarono più vittime.
Due figure sbucarono in quest’area nebbiosa, una ragazza italiana di circa 17 anni ed un bambino di 6. Il piccolo era completamente coperto di sangue, ma quando gli togliemmo gli abiti per esaminare le ferite, vedemmo che non ne aveva. Uno dei miei portaferiti Gurkha che capiva e parlava bene l’italiano, mi informò che erano scappati dalla cappella del monastero dove c’erano stati molti morti fra i civili. La ragazza mi informò, in risposta ad una domanda, che al momento del bombardamento dentro ed attorno al monastero c’erano "tricenti tedeschi" (300 German soldiers). [5]
Qui, afferma il maggiore Reilly, i tedeschi non avevano rispetto per la bandiera della Croce Rossa. I portaferiti Gurkha portavano delle bandiere con la croce rossa attorno al petto ma, malgrado ciò, i cecchini attorno al monastero gli sparavano addosso. In quei giorni molti dei miei portaferiti sono stati uccisi o feriti.
Nello scritto non potevano mancare accenni alle durissime condizioni cui dovettero sottostare i soldati abbarbicati tra le rocce sulla Cresta del
Serpente. Non c’erano solo le cannonate tedesche, alle quali si aggiungevano spesso quelle alleate, le salve di mortaio o le sventagliate di mitragliatrice,
c’era anche un gran freddo.
Neve e pioggia cadevano abbondanti ed i sangar [6] se riparavano dalle schegge nulla potevano contro l’acqua che si infiltrava ovunque.
Malgrado il freddo, l’aria era ammorbata dal fetore dei corpi in decomposizione, uomini o muli, che giacevano un pò ovunque.
Narra Reilly
Vicino al nostro posto di comando c’era una forra con al fondo il corpo gonfio di un tedesco. Una notte, senza nessun preavviso, poco prima dell’arrivo del nostro pasto quotidiano delle 22, quello portato dai muli, una enorme bomba esplose vicino a noi ed il corpo sparì.
Il battaglione ebbe un turno di riposo ed il 5 marzo fu ritirato più indietro verso la Bowl sulla Testa di Serpe dove, malgrado la pioggia persistente, si poteva riposare. [7]
Una notte, verso le 4 del mattino,
sentii gridare ed un colpo di fucile. Vedemmo una delle nostre sentinelle in ginocchio con uno squarcio sulla fronte.
Sei tedeschi comandati da un ufficiale avevano cercato di strisciare nelle nostre linee, ma vennero catturati.
Il 25 marzo 1944, il battaglione ottenne il cambio e si spostò a San Michele in attesa di ricevere nuovi ordini, dopo sei settimane passate sulla Cresta del Serpente ed aver subito la perdita di 22 ufficiali e 300 uomini.
Nella lettera che il maggiore Reilly inviò a Nardini nel 1972 e che accompagnava la nota dattiloscritta, non ci sono grandi novità rispetto al manoscritto.
Più e più volte però l’autore si dice convinto del fatto che i tedeschi fossero all’interno dell’Abbazia prima del bombardamento così come aveva
raccontato quella ragazzina italiana.
Scrisse il maggiore:
Personally I have no doubt in my own mind that German troops were in the Monastery, using it as an excellent observation post.
Un particolare curioso riguarda invece il 1/9 Gurkhas Rifles, probabilmente in risposta ad una domanda di Nardini.
Infatti in un libro sulle divisioni indiane in Italia è scritto che un ufficiale dei paracadutisti tedeschi, catturato a Firenze, ebbe ad affermare
che un plotone di Gurkhas fu preso prigioniero all’interno dell’Abbazia durante l’attacco della notte fra il 17 ed il 18 febbraio 1944. [8]
Il maggiore Reilly così scrive in proposito:
Ora, riguardo alla storia sul plotone del 1/9 Gurkhas che fu respinto dal Monastero: questa è una sciocchezza perché arrivare anche solo a breve distanza dal Monastero dalle loro posizioni era per loro impossibile.
La lettera che abbiamo esaminato risale al 1972 e chissà se il nostro maggiore medico cambiò idea sulla testimonianza di quella ragazza italiana.
Thomas Railly era nato il 29 luglio 1906. Dopo essersi laureato, aveva intrapreso una brillante carriera di chirurgo in un ospedale di Glasgow,
fino a quando non era stato chiamato alle armi.
Oggi, grazie ad una biografia apparsa su Internet per ricordare la sua opera di benefattore, sappiamo che nel 1946 decise di lasciare l’esercito
malgrado l’offerta di una promozione e di un posto di comando.
Sposò un’infermiera irlandese che aveva conosciuto in Libia e si ritirò nel paese di Bonnybridge, in Scozia, dove, fino alla sua morte avvenuta il 14
dicembre 2003, esercitò le funzioni di medico generico, lasciando un profondo ricordo di riconoscenza in tutti coloro che lo conobbero o ricorsero alle sue cure.
Cattolico fervente, si impegnò in molte opere sociali, felice di poter essere utile al prossimo.
Oggi una strada ed un giardino di Bonnybridge portano il suo nome.
* * *
Si ringraziano il dottor Walter Nardini ed il maggiore Valentino Mattei per aver messo a disposizione i documenti citati nel testo.
Note
Bibliografia
Sitografia
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.