CONDUCENTI E MULI ITALIANI SULLA LINEA GUSTAV
IL 5° REPARTO DI SALMERIE DA COMBATTIMENTO "MONTE CASSINO", SOLDATI ESEMPLARI.
Pyle fu uno dei più famosi corrispondenti di guerra americani della II guerra mondiale e cadde, ucciso da un tiratore giapponese, ad Okinawa, nell’aprile 1945. Prima di raggiungere il Pacifico, era stato a lungo in Nord Africa e poi in Europa, seguendo la vita al fronte dei soldati americani.
Uno dei suoi pezzi più conosciuti, che gli valse il premio Pulitzer, apparve il 10 gennaio 1944 sul Washington Daily News; era dedicato alla morte del capitano Henry T. Waskow, comandante di una compagnia del 143° reggimento fanteria della 36a divisione. Questo giovane ufficiale - aveva 25 anni – era molto amato dai suoi uomini e cadde sul Monte Sammucro, il 14 dicembre 1943. (1)Scriveva Pyle:
Quella notte che portarono giù dalla montagna il corpo del capitano Waskow io ero ai piedi della mulattiera.
Quella sera la luna era quasi piena e si poteva vedere da lontano la colonna fin dalla traccia che attraversava la valle. Gli uomini morti
venivano portati giù tutte le sere, assicurati con una corda alle groppe dei muli, I corpi pendevano da un lato e dall’altro dei basti di legno,
le loro teste dondolanti dal lato sinistro del mulo, le loro gambe irrigidite protese goffamente dall’altra parte, muovendosi in su e in giù a
seconda del passo del mulo.
I conducenti italiani erano impauriti dal camminare fra i morti, così quella notte gli americani avevano loro stessi portato giù i muli. Ma anche
gli americani non erano disposti a slegare ed a far scivolare a terra i corpi, tanto che lo dovette fare un ufficiale, che chiese ad altri di
aiutarlo. (2)
Questo cupo linguaggio, al di là del suo valore letterario, portava a conoscenza del lettore americano le pene del tetro fronte italiano, ma anche, e questa era una novità, la presenza fin nelle prime linee degli “Italian mule-skinners”, dei conducenti di mulo italiani.
Oltrepassato il Volturno, nell’ottobre 1943 gli Alleati si erano trovati di fronte alle montagne e dovettero di volta in volta conquistare un monte, una vetta, una quota senza nome, difesi accanitamente dai tedeschi, arroccati nelle loro posizioni. Alla fine di novembre cominciò a piovere: una pioggia insistente, continua, senza requie, un diluvio universale. Strade, mulattiere e sentieri si trasformarono in piste di fango ed il 5 dicembre il Volturno si scatenò in una piena senza precedenti, travolgendo ponti di barche e passerelle. Gli eserciti più meccanizzati del mondo scoprirono improvvisamente quanto fosse indispensabile utilizzare un animale prezioso ed ebbe inizio un’incredibile caccia al mulo. Furono trovati nell’Italia meridionale, in Sicilia, in Sardegna, ma anche nel Libano, in Palestina, a Cipro e in tutto il Nord-Africa.
Recita una pubblicazione ufficiale americana:
Senza i muli la nostra campagna d’inverno in Italia sarebbe stata impossibile. Nelle pianure, i veicoli a motore si impantanavano
el fango; sulle quote più alte, soltanto gli uomini,arrampicandosi a pochi metri per volta con le casse di viveri o un canestro d’acqua sulle loro
spalle, riuscivano a salire. Tra questi due estremi vi erano chilometri di sentieri dove il mulo diventava una necessità esasperante. Agli inizi di
novembre la 45a divisione aveva trentadue animali; alla fine di dicembre il numero eccedeva i 400 con l’aggiunta di una sezione di conducenti
italiani. Si calcolava che fossero necessari almeno 250 muli per il trasporto di rifornimenti per ogni reggimento di fanteria.
.... . I muli erano una novità per molti soldati americani ed all’inizio tutto dovette essere improvvisato, inclusi i conducenti. Ogni divisione
ebbe un provvisorio gruppo di salmerie con personale tratto principalmente, ma non esclusivamente, dalle compagnie dei servizi. (3)
Fu ancora Ernie Pyle ad offrire un’altra testimonianza. Questa volta il suo articolo era di tenore diverso da quello dedicato al capitano Waskow;
era divertente, anche ironico nei confronti di coloro che si erano improvvisati conducenti, ambientato in una zona non lontana da Venafro.
Gli americani avevano subito dovuto prendere atto che i muli italiani erano più piccoli e meno robusti della media di quelli del loro Paese;
caricati di pesi insopportabili, secondo lo standard del "U.S. Army", non riuscivano a procedere in salita... e si dovette provvedere a dimezzare
i carichi.
Per far avanzare un mulo non si poteva dirgli "giddap" come ad un cavallo delle praterie... perché il mulo non capiva!
Scriveva Pyle:
Il metodo italiano di dire "giddap" al mulo per andare avanti è un "brrr" come noi usiamo quando abbiamo freddo. Quando seguo la scia della colonna e sento i conducenti spingere avanti i loro muli con quel "brrr-ing", suona come se tutta la popolazione stesse gelando per il freddo. (4)
Nacque il problema di trovare i ferri per gli zoccoli ed il fatto che quelli per i cavalli non si adattavano ai muli, fu per molti l’ennesima
scoperta!
Inoltre il mulo era un animale e non un mezzo meccanico che, quando si guastava, bastava portarlo in un’officina e cambiarne un pezzo. No, il
mulo era una bestia un po’ ombrosa, difficile da trattare, talvolta piena di pretese e per di più ognuno aveva il suo carattere. Bisognava
curarlo, spazzolarlo, pulirlo, accudirlo, ferrarlo, nutrirlo, dargli da bere e da mangiare, badare al suo riposo ed infine rispettarlo. Tutti i
santi giorni!
Non era certo un caso se il tenente Williams, il responsabile del gruppo di salmerie descritto da Pyle, non riuscisse mai a dormire, lui che nella
vita civile faceva l’impresario di pompe funebri, chiamato nell’esercito in una compagnia controcarro e momentaneamente diventato una "nurse"
di muli. Di qualche conforto gli erano due sottotenenti italiani che portavano "un cappello tirolese con la piuma, cosa che
gli conferiva una certa aria romantica." (5)
Fu quindi con gran sollievo del comando della 5a Armata che "... Dalla fine di dicembre l’arrivo di unità di salmerie francesi
ed italiane dall’Africa e dalla Sardegna permise di rilevare molti fanti dal compito dei rifornimenti." (6)
In effetti una prima richiesta di 250 muli con relativo personale era pervenuta allo Stato Maggiore del Regio Esercito fin dal 5 ottobre 1943,
proveniente dal comando dell’8a Armata britannica; questo reparto, denominato "1° reparto salmerie" prese servizio il 18 di quel mese, composto da
5 ufficiali, 321 sottufficiali e truppa, e 250 muli. Il 2° reparto con 8 ufficiali, 456 sottufficiali e truppa, e 344 muli, entrò in linea il 13
novembre, a disposizione della 5a Armata americana.
A fine ottobre furono costituiti in Sardegna il 3° ed il 4°, con 360 uomini e 300 muli, ai quali seguirono il 5° ed il 6°. (7)
Il 24 dicembre 1943 erano già operanti quattro reparti di salmerie posti agli ordini dell’8a Armata britannica e della 5a Armata americana, per
complessivi 28 ufficiali, 1.572 sottufficiali e militari, e 1.214 quadrupedi. (8)
Mentre nella penisola entravano in azione questi primi reparti, in Sardegna, a Sassari, era in allestimento il 5°.
Esso fu composto da personale proveniente dal 59° e 60° reggimento fanteria e dal 40° reggimento artiglieria della divisione "Calabria", e dal
XXXV gruppo d’artiglieria da 75/13.
Malgrado i diversi reparti d’origine, le differenze di età, i più anziani erano richiamati del 1909, il diverso grado culturale, dal contadino
allo studente di università, nel reparto si creò quasi subito un invidiabile "Esprit de Corps", come dimostreranno i numerosi elogi dei
comandi americani.
Scriveva un testimone:
Avevamo in comunevun importante fattore morale; tutti, chi per una ragione chi per un’altra, "gradivano l’incarico" – come diceva la circolare ministeriale di costituzione – e forse tutti per una ragione giovanile e virile a cui penso deve attribuirsi la soluzione dei tanti problemi: la sensazione netta della vita inattiva in Sardegna e l’istintivo bisogno di operare per la liberazione della nostra terra.” (9)
Il reparto si imbarcò nel porto di Cagliari il 27 dicembre 1943, sbarcando a Napoli tre giorni dopo, per essere subito avviato a Triflisco,
vicino a Caserta, dove completò l’organico e svolse un breve periodo di addestramento per essere assegnato alla 5a Armata americana, ricevendo,
il 3 gennaio 1944, la bandiera.
Il 6 di quel mese, il 5° reparto salmerie fu trasportato d’urgenza su autocarri nelle vicinanze di Venafro e la sera stessa uomini e muli erano
impegnati in una missione di rifornimento al 1st S.S.F., la famosa unità mista canadese-americana.
Con la denominazione di "5th Pack Mule Group", il 5° salmerie fu assegnato alla 34a divisione di fanteria, con il compito di rifornire le prime
linee del "1st S.S.F." e quindi del 133° reggimento di fanteria, unità entrambe impegnate sulle montagne ad est di Monte Sammucro.
Il materiale necessario era auto-trasportato fino alla località Le Noci, vicino a Venafro, da dove partivano le colonne di muli, che ebbero la
responsabilità di far arrivare ogni notte l’intera quantità di acqua, viveri e munizioni necessaria alle unità impegnate in prima linea.
In seguito fu aperta una strada leggera fino al paese di Radicosa, che divenne la nuova base operativa del reparto italiano, fino a quando tutta
l’area non venne ripulita dalla presenza dei tedeschi.
Il 133° reggimento raggiunse quindi San Vittore del Lazio, dove il 5° salmerie si radunò.
Il 25 gennaio 1944 ebbe inizio la grande operazione tendente a sfondare le difese della Linea Gustav. Alla destra del fronte di attacco si
mossero le unità del C.E.F. verso le pendici di Monte Cairo, mentre alla loro sinistra la 34a divisione di fanteria americana era impegnata nel
tentativo di penetrare nell’abitato di Cassino e di avanzare sulle alture a nord della città.
Nello stesso giorno il generale Juin, comandante del C.E.F., richiese l’intervento di un reggimento americano che sostenesse l’ala sinistra della
3a divisione algerina nei suoi attacchi contro il colle del Belvedere ed il colle Abate. Il comando del II Corpo d’armata americano decise di far
avanzare il 142° reggimento della 36a divisione, ponendolo sotto il comando della 34a.
Tra molte difficoltà, dovute al grande intasamento sulle piste disponibili nella Valle del Rapido ed ai continui interventi dell’artiglieria
tedesca, il 142° giunse nella zona prevista per il suo impiego soltanto il 29, risalendo i tornanti della strada per Terelle ed inoltrandosi
nel bosco dell’Elcineta, sotto il fuoco nemico.
Il 27 gennaio era stato allertato anche il 5° reparto salmerie, che, con una marcia notturna, da San Vittore si portò nell’area di Sant’Elia
Fiumerapido, con il compito di garantire i rifornimenti al 142° reggimento.
La nuova base fu immediatamente avvistata dagli osservatori tedeschi e fu ripetutamente presa di mira dall’artiglieria, ed in quei giorni
morirono gli artiglieri Tommasoni e Camurani, ci furono molti feriti e molte perdite fra i muli. Si rese necessario trasferire la base a
Portella e successivamente a San Michele.
Ogni notte le colonne si muovevano nel buio per raggiungere le posizioni del 142° reggimento, ormai assestate fra la Masseria Manna, a poche
centinaia di metri dal paese di Terelle ed il Monte Castellone. Uno dei punti più critici era proprio l’attraversamento della piana di Cassino,
ridotta ad un mare di fango e sottoposta in ogni momento del giorno e della notte ad improvvisi tiri dell’artiglieria tedesca. Con il passare dei
giorni ed il perdurare dei combattimenti sulle montagne, il servizio assicurato dal 5° salmerie fu richiesto da altri reparti della 34a divisione,
schierati fra l’Abbazia, il Calvario, la Masseria Albaneta ed il monte Castellone.
Le marce notturne furono eseguite in ogni condizione atmosferica, quasi sempre con pioggia o neve, ma soprattutto sotto la costante minaccia
dell’artiglieria tedesca. Nonostante la difficoltà del terreno, era sempre essenziale rispettare i tempi, partendo dalle basi al calare
dell’oscurità e rientrando prima dell’alba per non scoprirsi agli osservatori nemici.
Il 5° fu ritirato dal fronte il 15 febbraio, quando le divisioni americane furono sostituite dalla 4a divisione indiana dell’8a Armata.
Esso tornò sotto il comando della 5a Armata e fu inviato tra Vallecupa e Ceppagna (frazioni di Venafro) per un meritato periodo di riposo e di
riorganizzazione.
Al termine del ciclo operativo, il comando della 34a divisione rilasciò un lusinghiero giudizio sull’operato degli italiani:
Durante l’intero periodo, il "5th Pack Mule Group" ha dimostrato un’eccellente abilità di marcia, disciplina, e
determinazione nell’assolvere i suoi compiti.
Tutti gli incarichi sono stati eseguiti. Quattro membri del gruppo sono stati segnalati dalla 34ª divisione per ricompense al valore. (10)
Fu un periodo molto duro, e non solo per le condizioni nelle quali avevano operato.
Ricorda un ufficiale:
... Quanto avevamo stretto i denti contro l’acqua, il fango, la neve e
soprattutto contro la solitudine, armati della nostra forza morale e del nostro mulo, e come il mulo di tanta pazienza e tenacia per dimostrare
che il passato non aveva infranto la nostra saldezza di nervi, che l’onore del soldato italiano era rimasto intatto.
... Uniti fra noi stessi, soli, forse un po’ troppo, abbiamo sentito non l’amarezza dell’abbandono, bensì l’orgoglio della difficoltà del compito
che ci era affidato, forse uno dei più duri che siano stati affidati al soldato italiano: quello di iniziare la strada del riscatto.” (11)
A Ceppagna fu migliorato l’equipaggiamento ed arrivarono dei complementi per coprire le perdite. Ad aprile, dopo alcuni spostamenti fra le retrovie, il reparto raggiunse la nuova sede di Sessa Aurunca, dove fu aggregato alla 88ª divisione di fanteria americana. (12)
Passò quindi alle dipendenze dell’85a divisione con la quale svolse alcune esercitazioni nella zona di Mondragone, fino al 10 aprile 1944 quando
l’unità americana fu inviata in linea, oltre il Garigliano, assumendo la difesa di un tratto del fronte all’estrema sinistra dello schieramento
della 5a Armata, nella zona fra Minturno e il mare.
Da quel giorno iniziò un regolare servizio di approvvigionamento ai reparti avanzati ed il 5° salmerie subì nuove perdite in uomini e muli a causa
del tiro dell’artiglieria tedesca.
L’11 maggio 1944, con l’inizio dell’operazione "Diadem", il "5th Pack Mule Group" fu diviso in otto colonne, che di volta in volta seguirono l’avanzata dei tre reggimenti di fanteria dell’85a divisione, in un durissimo e pericoloso ciclo operativo, che si concluse a Terracina il 30 maggio. Per venti giorni conducenti e muli andarono su e giù, di giorno e di notte, sotto le cannonate tedesche, dovendo talvolta badare anche alla propria difesa ravvicinata a causa della fluidità e dell’incertezza della linea del fronte. Gli americani furono riconoscenti, a partire dal generale John. B. Coulter, comandante della divisione, che si complimentò per la splendida cooperazione... ed il sacrificio profuso dagli italiani. (13)
Furono segnalati anche casi personali.
Il tenente Maiocchi fu alle dipendenze del II battaglione del 338° reggimento fanteria... . In una occasione tra Fondi e Terracina, il tenente Maiocchi ed i suoi uomini fecero una marcia di 20 ore su terreno quasi impossibile, trasportando munizioni e razioni. Dopo solo cinque ore di riposo egli era al posto di carico del battaglione pronto a ripartire... . (14)
Il sottotenente Marco Tangerini fu assegnato a questo battaglione prima del D-Day… In due occasioni condusse la colonna di muli sotto il fuoco… Colgo l’occasione per esprimere a lui e ai suoi uomini l’apprezzamento di ogni uomo di questo battaglione per l’eccellente capacità con la quale assolsero il loro compito. (15)
Sono lieto di comunicarvi che i servizi del tenente Palladino e dei suoi uomini… sono stati molto soddisfacenti. Questo gruppo è stato sottoposto a lunghi periodi di servizio insieme ai nostri uomini ed ha dimostrato una grande volontà di cooperare alla causa comune. I servizi resi da questo gruppo hanno contribuito largamente alla riuscita delle recenti operazioni.” (16)
Dopo un periodo di riposo, il reparto passò alle dirette dipendenze della 210a divisione, risalendo l’Italia, ma dal 13 settembre operò di nuovo con il 339° reggimento di fanteria dell’85a divisione americana.
Il ricordo del periodo trascorso all’ombra dell’Abbazia rimase indelebile nella memoria di ufficiali ed artiglieri. Nell’estate del 1944, il
reparto assunse il nome di "5° reparto salmerie da combattimento Monte Cassino". A rendere persino visibile la sua partecipazione alle operazioni
sulla Linea Gustav, fu adottato un particolare distintivo: uno scudetto di stoffa, bordato di azzurro, con la sagoma stilizzata di Monte Cassino
e di Monte Cairo di colore rosso su sfondo bianco, da portarsi sul petto della giubba, come una decorazione!
Fieri dei loro cappelli alpini, con nappina e piuma (17), gli artiglieri presero a sfilare cantando l’inno, composto da un gruppo di loro
Del Quinto Salmerie
Noi siamo i someggià,
di tutti è il più bello
avanza passa e và;
Tra i monti e valli andiam
Siam baldi artiglieri,
la penna al sole noi portiam
bandiera cara al mio cuor,
sali, sali, sali mio muletto va
che in cima l’Alleato ad attendere ti sta,
munizioni e viveri egli aspetta là
per vincere il nemico della nostra libertà,
Cassino sui tuoi monti,
il nostro sangue già
spargemmo per la vita
che ancor risorgerà.
O Patria il nome tuo invochiam
Fidenti nel destin;
o tricolore caro ai nostri cuor
risplenderai al sol.
Nel dicembre 1944 giunse in Italia la "10th Mountain Division", unica unità dell’esercito americano ad essere equipaggiata ed addestrata per la
guerra in montagna. E quale reparto italiano avrebbe potuto essere assegnato a questa unità composta da "supermen" e "supermules", provenienti
questi ultimi oltre che dagli Stati Uniti anche dalla Francia, se non il 5° reparto salmerie da combattimento "Monte Cassino"?
Dal 10 gennaio 1945, conducenti americani e conducenti italiani, muli americani e muli italiani patirono insieme il lungo inverno sulla Linea
Gotica, attraversarono insieme la pianura padana e s’inoltrarono nella Valle dell’Adige.
La fine della guerra colse il 5° Salmerie in marcia sulla via di Trento.
Esso fu sciolto nel luglio 1945, concorrendo con 200 uomini alla formazione della 4a compagnia Guardie, stanziata a Bolzano.
Il 31 maggio 1945, a guerra ormai ultimata, gli americani avevano assegnato al reparto l’uso del distintivo della 5a Armata per la disciplina, lo
spirito di corpo, la cura nella manutenzione degli equipaggiamenti, che – è scritto nel documento di concessione – avevano eguagliato lo
"standard" della 5a Armata. (18)
Note:
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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