IL MONTE SANTA CROCE, IL PAESE DI SAN BIAGIO SARACINISCO E LA "MANOVRA DI ATINA" NEL GENNAIO 1944
Monte Santa Croce... dove sarà mai? La "montagna lebbrosa", come la chiamavano i francesi, dopo un soggiorno all’aria aperta tra neve, gelo, pioggia, vento ed una miriade di cannonate che si prolungò dal 16 gennaio al 12 marzo 1944.
Tra i tanti paesaggi brutti che la neve cerca invano di mascherare con la sua coltre bianca – scrive un francese che visse quell’epoca – il Croce rivendica un posto a parte: calvo e deserto, in discesa vertiginosa sulla strada di San Biagio, è formato dall’agglomerato di un certo numero di montagne che partecipano alla stessa solitudine, come una maledizione. Esso costituisce il campo di battaglia più sinistro della campagna d’inverno; solo la notte gli conviene per nascondere le sue difformità ed è senza dubbio per questo che in pieno pomeriggio il crepuscolo cade così brutalmente sulle sue creste abbandonate. Il rilievo sale per cime di 755 metri all’est, fino all’ultimo picco che domina il villaggio di San Biagio con i suoi 1.184 metri di altezza all’ovest. Per l’attaccante il monte non può essere preso se non quando si arriva fino all’ultimo pendio che si affaccia con un burrone sopra il gomito della strada di San Biagio. A questo triste susseguirsi di creste pelate dove i tedeschi dispongono di un dedalo di piccoli anfratti scoscesi, minati o contenenti trappole esplosive, che favoriscono i contrattacchi, neanche la primavera riesce a strappare un sorriso: rimpiazzerà il candore della neve con delle chiazze di color giallo-sporco sparse sui suoi fianchi, come delle ferite tra cespugli secchi e tronchi fatti a pezzi, sopravvissuti alle esplosioni delle granate. Il Croce è un muro lebbroso che chiude gelosamente il fascino di Atina." [1]
Oggi non è certamente più così. La vegetazione è rinata rigogliosa, il paesaggio è affascinante, il piccolo borgo di San Biagio Saracinisco, completamente ricostruito, si erge orgoglioso e ordinato a guardia della strada per la valle di Comino ed Atina, ma allora neanche i tedeschi apprezzarono, così come i francesi, né il paesaggio, né la bellezza selvaggia dei luoghi. Il freddo terribile, la neve che ricopriva le tane ridotte a frigoriferi, il continuo martellare delle artiglierie, la minaccia incessante delle bombe di mortaio, il sibilo delle salve dei Nebelwerfer, le rovine del paese, la morte che incombeva con la sua falce anche nei posti considerati più sicuri... .
Come si arrivò dunque alla battaglia del Santa Croce, considerata così importante dai francesi che vi videro la chiave di volta per la loro manovra su Atina e per i tedeschi che, consci del pericolo di perdere una posizione decisiva per la difesa della Linea Gustav, ne rinforzarono il presidio facendovi affluire un intero reggimento?
Il 25 novembre 1943, sotto una pioggia torrenziale, all’aeroporto di Capodichino, a pochi chilometri dal centro di Napoli, era atterrato un aereo
Dakota con a bordo il generale Alphonse Juin, comandante del Corps Expédionnaire Français en Italie. Malgrado la pessima accoglienza
che gli fu attribuita, il generale non si perse d’animo e costituì il proprio comando prima all’Istituto francese della città stessa e poi a
Maddaloni, mentre si completava lo sbarco della prima delle unità ai suoi ordini, la 2e Division d’Infanterie Marocaine, al comando del
generale André Dody, seguita dal 4e Groupememnt de Tabors Marocains.
La 2e D.I.M. fu quasi immediatamente avviata al fronte, dove, alle dipendenze del US VI Army Corps, sostituì la provatissima
US 34th Infantry Division e conseguì una serie di brillanti successi tattici conquistando dal 14 al 28 dicembre 1943 il monte Pantano e la
quota 1.478 della Catenella delle Mainarde, due pilastri delle difese tedesche della Linea Bernhard.
Nello stesso periodo sbarcarono a Napoli la 3e Division d’Infanterie Algérienne, agli ordini del generale Joseph de Goislard de Monsabert, ed
il 3e Groupement de Tabors Marocains; il 3 gennaio 1944, mentre il generale Juin trasferiva il proprio comando a Prata Sannita, il C.E.F.
sostituiva al fronte l’intero US 6th Army Corps, destinato allo sbarco ad Anzio.
L’apporto del C.E.F. aveva permesso al generale Clark di riprendere i piani offensivi verso Roma con l’intenzione di portare i suoi Corpi in un
primo tempo sul Rapido, sul Gari e sul Garigliano, ed in un secondo di attraversare i fiumi per aprire alle forze corazzate la valle del Liri in
un’azione combinata con il previsto sbarco di Anzio.
La missione assegnata al C.E.F. fu quella di raggiungere la trasversale Sant’Elia Fiumerapido-Atina al fine di coprire il fianco destro del
US II Army Corps il cui compito era quello di attaccare direttamente Cassino, mentre il X Corpo britannico doveva spingersi fino al
Garigliano. In un secondo tempo il C.E.F. avrebbe dovuto aggirare le difese di Cassino, attraverso le montagne a nord della valle del Rapido.
Questa - scriverà il generale Carpentier, capo di stato maggiore del C.E.F. - era l’idea che maturò nella testa di Juin qualche giorno dopo, chiedendo di allargare questo aggiramento fino a farne una vera e propria manovra d’ala a livello d’armata: questo era il progetto chiamato "la manovra di Atina" [2]
Le operazioni ebbero inizio il 12 gennaio 1944, quando la 2e D.I.M. attaccò la Costa San Pietro e le pendici settentrionali della Monna Casale, mentre la 3e D.I.A. attaccava direttamente la Monna Casale e, nella stessa serata, conquistò la vetta della Monna Acquafondata e il monte Maio. [3]
12 gennaio 1944
Alle 6,15, inizia il tiro di preparazione dell’artiglieria e la fanteria della 2e D.I.M. attacca immediatamente la Costa San Pietro; alle 6,30,
la 3e D.I.A. si lancia contro la Monna Casale. [4]
Il I./GJR 85 che perde la quota 1.025, presa dal 8e Régiment de Tirailleurs Marocains (colonnello Molle), è costretto ad abbandonare anche
la quota 1.029 sotto la spinta del 5e R.T.M. (colonnello Joppé) e, dopo aspri combattimenti, cade anche la Costa San Pietro.
Alla sera viene dato l’ordine alla 2e D.I.M. di tenere a tutti i costi il possesso della Costa San Pietro e di spingersi in direzione di San
Biagio Saracinisco; il III/8e R.T.M. (maggiore Allard) sostituisce il II/8e R.T.M. (maggiore Delort) sulla Costa San Pietro.
13 gennaio 1944
I tedeschi contrattaccano dal colle Porcazzette e minacciano il III/8e R.T.M. schierato sulla Costa San Pietro, che subisce gravi perdite, ma
mantiene il possesso delle posizioni raggiunte; il 5e R.T.M. occupa il paese di Cardito e lo supera di un chilometro e mezzo lungo l’unica
strada che porta a San Biagio Saracinisco, raggiungendo il colle dell’Arena ed avvicinandosi al monte Santa Croce, mentre la 3e D.I.A. cattura la
Monna Acquafondata ed inizia a scendere nella valle del Rapido, in direzione di Sant’Elia Fiumerapido, raggiunta nel corso della giornata del 15. [5]
Alla sera il fronte tedesco è rotto con la caduta della Monna Acquafondata, ma in 48 ore la 2e D.I.M. ha perso 400 uomini, la 3e D.I.A. più
di 300; altri 75 delle unità aggregate. Sono stati catturati 231 prigionieri tedeschi, 160 alla 2e D.I.M. e 71 dalla 3e D.I.A. [6]
14 gennaio 1944
Le due divisioni hanno come obbiettivi principali San Biagio Saracinisco, Atina (2e D.I.M.), Sant’Elia Fiumerapido e Vallerotonda (3e D.I.A.).
Il 5e R.T.M. raggiunge la quota 1.040 e le pendici di quota 1.129, mentre il 4e R.T.M. (tenente colonnello Thouvenin) progredisce verso il
colle dell’Arena. Verso sera, il nemico sembra stabilire una nuova linea di resistenza a il Gallo, colle dell’Arena, pendici est del monte Santa Croce.
I comandi francesi, in base ai rapporti che pervengono dal 2e Bureau che sottolineano la crisi perdurante della 5. Gebirgsjäger-Division e
l’importanza della caduta della Costa San Pietro malgrado una difesa accanita, maturano l’idea di battere il nemico in velocità. [7]
15 gennaio 1944
Il generale Dody, comandante della 2e D.I.M., ordina che il 4e R.T.M., manovrando alla sua sinistra, appoggi con la sua destra
l’azione del 5e R.T.M. facendo cadere tutti i colli e le piste che scendono verso la strada San Biagio Saracinisco-Atina.
Dody ordina al 5e R.T.M. in contatto a sud con la manovra del 4e R.T.M. e, nella massima misura possibile, a nord con quella del
8e R.T.M.:
“La vostra missione è di far cadere il Santa Croce, a colpi di cannone e di mortaio, di occupare San Biagio, e poi di arrivare il più lontano possibile sulla strada per Atina al fine di impedire le distruzioni.” [8]
Nel corso della giornata, la 2e D.I.M. arriva sulla linea Masseria Geremia, strada di San Biagio, a 2.500 metri dal paese, ma viene bloccata dalla
resistenza tedesca sulle pendici sud-est del Santa Croce.
Il 4e R.T.M. raggiunge le pendici est del colle dell’Arena, ma non riesce a progredire oltre. Nonostante questo, alle 18,30, il generale Dody
ordina al reggimento di sfruttare senza ritardo la debolezza del nemico, superando il Santa Croce da sud facendone così cadere le difese.
16 gennaio 1944
La 3e D.I.A. raggiunge le rive del Rapido al fondo dell’omonima valle, occupa il paese di Sant’Elia, visto che in quel settore il nemico
sembra essersi ormai ritirato sul Cifalco.
Le operazioni della 2a D.I.M. vengono invece sospese. Non solo i tedeschi si irrigidiscono sul colle dell’Arena, ma le terribili condizioni
atmosferiche (neve e gelo), le perdite subite, la stanchezza degli uomini e le difficoltà di approvvigionamento impongono una sosta delle operazioni,
anche in attesa “di un’azione di rottura da sostenere in collegamento con la 5a Armata, con il 2° Corpo americano e nel quadro di una manovra
d’assieme con la 5a Armata”. [9] Il primo tempo della manovra concepita dal generale Clark era stato infatti realizzato: il X Corpo britannico
costeggiava il Garigliano fino al golfo di Gaeta; alla sua destra, il US II Corps si affacciava su Cassino; alla sua sinistra il C.E.F. aveva
raggiunto le rive del Rapido, dalla fonte fino all’altezza di Sant’Elia.
La Linea Gustav era stata raggiunta... .
17 gennaio 1944
Mentre lo stato maggiore del C.E.F. si stabilisce a Venafro, dove rimarrà fino alla fine di marzo, le truppe francesi cercano di ricomporsi,
di riposare e di rimettersi in condizione, mantenendo il contatto con l’avversario. [10]
Nel corso della giornata si profila la manovra della 5a Armata con l’attacco sul Gari, appoggiato a sud dal X Corpo britannico e a nord dal C.E.F..
Il generale Juin fa conoscere le proprie intenzioni con un’istruzione personale e segreta, riservata ai comandi delle due divisioni: attaccare le
posizioni del centro nemico sull’asse colle dell’Arena, monte Carella, monte Bianco, Atina. Questo attacco, se riuscisse, permetterebbe di piegare
verso nord (Picinisco) per far cadere le difese arroccate nella regione di San Biagio; verso sud-ovest (Belmonte), in modo da aggirare il monte
Cifalco dal nord, per assicurare il corridoio Sant’Elia-Atina. L’azione di rottura sarà condotta da tre reggimenti di fanteria (due marocchini ed
uno algerino), agli ordini del comandante della fanteria divisionale della 2e D.I.M., generale Calliès. [11]
L’inizio dell’offensiva del 2° Corpo americano è stato fissato per il 20 e quello del C.E.F. per il 21 gennaio.
Il 18 ed il 19 gennaio [12] trascorrono nell’attesa di nuovi ordini, nella ricerca di informazioni e nella preparazione dell’offensiva, ma, nella
giornata del 20, il 2e Bureau trasmette una serie di informazioni che rischiano di mettere in discussione le decisioni già prese. Viene infatti
segnalato che nell’area del monte Santa Croce i tedeschi hanno fatto affluire i tre battaglioni del Panzer-Grenadier-Regiment 8 (3. Pz. Gr, Division).
E’ un segno inequivocabile di come i comandi tedeschi intendano difendere a tutti i costi il settore, ma il generale Juin decide di procedere con
l’attacco programmato, per il 21. [13]
La sera, il 4e Régiment de Tirailleurs Tunisiens (colonnello Roux), appena arrivato in Italia, viene schierato a copertura del fianco destro della
34a divisione americana. [14]
21 gennaio 1944
L’attacco ha inizio alle 6,15 ed entro le 7 il primo obbiettivo, la cresta a sud di monte Santa Croce e a nord-ovest del paese di San Biagio, sono catturate.
Il 7e R.T.A. (colonnello Chappuis) ed il 4e R.T.M. in stretto contatto fra di loro si apprestano ad avanzare verso il prossimo obiettivo,
il monte Carella, ma il comandante dell’operazione, il generale Calliès, ha subordinato la ripresa degli attacchi alla conquista del monte Santa Croce
a cura del reggimento di destra, il 5e R.T.M..
Il II/5e R.T.M. (maggiore Pénicaud), che ha come obiettivo la vetta, incomincia a muoversi verso le 7,15, compagnie dei tenenti Haberger, che
cadrà mortalmente ferito, e de Gouvello in primo scaglione e compagnia Guinard di sostegno. Ha davanti a se il III./Pz.Gr. 8 che rende penosa
l’avanzata con un violento fuoco di mitragliatrici e mortai, resa più difficile oltre che dalla pendenza del terreno ed il dislivello da superare, anche dalla neve.
Il II/8e R.T.M. (maggiore Delort) appoggia il II/5e avanzando sulla strada di San Biagio in direzione di Jaconelli. [15]
A mezzogiorno il II/5e R.T.M. è arrivato a 150 metri dalla vetta, difesa dalla 12a compagnia del III./Pz.Gr. 8, catturando dei prigionieri,
ma, nonostante il primo successo, la resistenza accanita dei granatieri tedeschi blocca l’intera manovra. [16]
Alle 12, 45, il II/5e R.T.M. si lancia all’attacco della vetta, proprio nel momento in cui si scatena un forte bombardamento delle batterie
tedesche che provocano molte perdite, causando il fallimento dell’azione.
Alla fine della giornata il 7e R.T.A. occupa la Masseria Pedicone (quota 1.000), il III/4e R.T.M. (maggiore Courtois) la quota 1.004 e
il colle dell’Arena, il 5e R.T.M. le quote 1.129 e 1.030, e le pendici del Santa Croce, a circa 250 metri dalla vetta ad est. Il 8e R.T.M.
è sulla strada di San Biagio, all’altezza di Jaconelli, mantenendo saldamente il possesso della Costa San Pietro.
Alle 19,10 il generale Juin firma l’ordine per la giornata del 22 con le seguenti indicazioni: la 3e D.I.A. continuerà autonomamente ad
eseguire la propria missione, mentre la 2e D.I.M. dovrà prendere il Santa Croce. Di fatto, i reggimenti impegnati tornano al comando delle
rispettive divisioni.
Nella notte però un nuovo ordine sospende tutto, rinviando l’operazione al 23, ribadendo che il monte Carella dovrà essere preso nonostante la
mancata cattura del Santa Croce da parte della 2e D.I.M. [17]
22 gennaio 1944
Presso il quartier generale del C.E.F. arrivano le notizie del disastro americano sul Rapido (Gari) e dello sbarco ad Anzio, mentre le unità si preparano al nuovo attacco dalle basi indicate.
23 gennaio 1944
Verso le 4,30 i tedeschi scatenano un contrattacco sulle pendici est del Santa Croce che respinge indietro la 6a compagnia (Guinard) del
II/5e R.T.M. per 500 metri prima di essere arrestato verso le 6,30. Durante le fasi concitate del combattimento, vengono catturati i comandanti
delle compagnie 8 e 9 del Pz.Gr. Rgt. 8.
Alle 14.00, le compagnie del II/5e R.T.M., dopo essere riuscite a contenere il contrattacco tedesco con l’appoggio di tutta l’artiglieria
divisionale, rioccupano le posizioni perdute e, tra le 17 e le 18, arrivano in cima al Santa Croce, catturandovi 39 tedeschi, fra cui 2 ufficiali.
La loro posizione però rimane precaria ed il rifornimento diventa aleatorio se non impossibile.
Il 3e R.T.A. (tenente colonnello Gonzalès de Linarès) attacca il Carella, ma senza riuscire ad impadronirsi della vetta.
Il 4e R.T.M. che doveva mettere piede sulle pendici nord-est del Carella viene respinto con forti perdite. La 7a compagnia perde 50 uomini tra
cui tre capi sezione e si ritira nel corso della notte. [18]
Il generale Juin riporta in un suo rapporto che:
“Il 23, al mattino, il generale comandante della 5a Armata veniva a trovarmi presso il mio P.C. La sua intenzione era sempre quella di forzare il passaggio sul Rapido (Gari) in modo da decuplicare le forze corazzate in direzione di Pontecorvo, Frosinone, in vista di legare al più presto il grosso delle forze della 5a Armata con quelle sbarcate ad Anzio. Davanti all’insuccesso del tentativo del 2° Corpo però, aveva deciso di impadronirsi prima del blocco di Cassino e delle alture che lo dominavano da nord-ovest: la 34a divisione americana e la 3a divisione algerina sarebbero state incaricate dell’operazione.” [19]
Anche la giornata del 23 gennaio è però costata cara ai francesi: 156 uomini fuori combattimento, dei quali 30 sono i caduti.
Il diario storico dell’O.K.W. rileva che sul fronte della 5 GJD:
“Preponderanti forze nemiche hanno attaccato per tutto il giorno la linea principale con pesante appoggio di fuoco a 2 Km. a Nord-Ovest di Vallerotonda e sul Monte Santa Croce, ma la maggior parte degli attacchi è stata respinta. Nel pomeriggio il nemico con forze di reggimento, dopo un pesantissimo e tambureggiante fuoco d’artiglieria, è di nuovo riuscito ad effettuare un’irruzione sul Monte Santa Croce. Il punto di rottura è sotto sicurezza per l’intervento delle riserve di zona. Contromisure sono in corso. Il III Battaglione del Pz. Gren. Rgt. 8 (3. Pz. Gren. Div.), qui impegnato, ha perso più del 60 per cento delle proprie forze negli ultimi combattimenti”. [20]24 gennaio 1944
A partire dalle 10,15, dopo un violento tiro di artiglieria e mortai, i tedeschi lanciano dei contrattacchi sulle pendici nord-ovest e ovest del Santa Croce con circa due compagnie, che sono rinnovati fra le 14,30 e le 15,30.Dal diario storico dell’OKW per la giornata del 24 si nota un certo affanno a causa dell’attacco della 2e D.I.M. sul Monte Santa Croce:
“Il nemico” – è scritto - “con l’appoggio di pesanti interventi d’artiglieria, ha condotto ripetuti attacchi contro il Monte Santa Croce, che in parte con corpo a corpo, sono stati tutti respinti. Il nostro contrattacco per ristabilire la zona delle penetrazioni del giorno prima, ha scatenato un attacco nemico che ha avuto un successo solo parziale. La zona dello sfondamento è stata ristretta e chiusa robustamente. Un attacco condotto in soccorso del gruppo accerchiato ha potuto restaurare il collegamento con il grosso di questo gruppo. Solo un plotone avanzato di sette uomini è ancora accerchiato su un’altura”. [21]
Nel corso della giornata pervengono i nuovi ordini dal comando della 5a Armata relativi all’operazione prevista contro Cassino, le quote a nord-ovest di Montecassino ed il Belvedere. Il nuovo attacco contro le posizioni del monte Santa Croce viene sospeso, decretando così la fine della "manovra di Atina" da parte dei francesi.
***
La 2e D.I.M. dovrà limitarsi a contenere il nemico sulle posizioni di monte Mare, colle Porcazzete, colle San Biagio, monte Carella e colle San
Martino, a protezione del fianco destro della 3e D.I.A. [22]
La sola 2e D.I.M. nel mese di gennaio 1944 perse ben 578 caduti (19 ufficiali), 2.339 feriti, 114 dispersi e 900 congelati, per un totale di 3.931
uomini. Le perdite furono parzialmente compensate con l’arrivo di 1.540 complementi dal Nord Africa e 500 uomini recuperati dagli ospedali.
I tedeschi persero circa 500 prigionieri, ma il numero dei caduti e dei feriti rimarrà sconosciuto. [23]
L’attenzione dei comandi alleati si spostò su Cassino e sulle montagne a nord-ovest di Montecassino, mentre sul resto del fronte, dalla costa
tirrenica a Cassino e da Terelle a monte Mare, la grande battaglia assunse le caratteristiche della guerra di posizione, così simile a quanto era
accaduto durante la I guerra mondiale.
Sulle pendici del monte Santa Croce il III battaglione (maggiore Rognon) del 4e Régiment de Tirailleurs Marocains aveva sostituito il II/5e R.T.M., mentre il Pz. Gren. Regiment 8 era stato sostituito dai cacciatori del GJR 85. [24]
“Il freddo era molto vivo – racconta un testimone – e la neve aveva ricoperto la montagna con
un immenso mantello bianco. Il suolo si presentava bagnato e noi sguazzavamo nel fango liquido su un terreno dove le granate avevano scavato una
gran quantità di crateri. Non c’erano ripari: gli uomini lavoravano tutto il giorno, chi trasportando delle pietre, chi tagliando degli alberi.
Ben presto fummo tutti protetti dalla neve, dal freddo e dalle schegge.”
Non c’erano però solo le condizioni climatiche a render difficile la vita, ma anche l’atteggiamento aggressivo dimostrato ovunque dai
tedeschi: “Le perdite continuano ad essere alte: mortaiate, granate, razzi e l’attività di quelli di fronte che cercano
continuamente il punto debole per venire a sorprendere i nostri.”
Pattuglie notturne, falsi allarmi che scatenavano spesso il fuoco di ambo le parti, agguati e il filo spinato, steso ovunque ad evitare sorprese... .
“Da quando siamo qui – continua il testimone – il nostro tenente si è fatto i capelli bianchi.
Quasi tutti i giorni dobbiamo evacuare 4 o 5 uomini per congelamento ai piedi; tutte le mattine facciamo togliere le scarpe ed esigo che si massaggino i
piedi con la neve tra grandi lamentele... . Migliaia di colpi trasformano il Croce in un paesaggio lunare...” [25]
Così ovunque per tutta la linea del fronte apparentemente tranquillo, come raccontano i reduci inglesi del monte Ornito, gli americani bloccati sulle quote a nord di Montecassino ed i fanti tedeschi dal colle Abate al San Martino.
Il generale Juin aveva protestato con il generale Clark perché il fronte tenuto dalle due divisioni del C.E.F. si era esteso in modo
abnorme, da Castel San Vincenzo al Belvedere, e poi fino al monte Castellone. Il comandante della 5a Armata aveva deciso di inviare di rinforzo il
I Raggruppamento Motorizzato italiano (generale Umberto Utili) che, dal 5 febbario 1944, aveva iniziato a schierarsi sul fianco destro della
2e D.I.M. dal comando della quale dipendeva.
Gli Italiani furono i benvenuti, magari dopo qualche momento di reciproco imbarazzo, perché consentirono se non altro al comando del C.E.F. di
far ruotare i battaglioni ed organizzare turni di riposo più che mai necessari.
Si arrivò così al 26 marzo, quando la 2e D.I.M., con gran giubilo dei suoi uomini e dopo ben 105 giorni ininterrotti di fronte, lasciò le
proprie posizioni alla 5a divisione di fanteria polacca, che assunse la difesa dei settori "San Biagio" e "Mare" fino al 15 aprile 1944 quando ad
essa subentrò la 6a brigata della 2a divisione neozelandese.
Il 19 maggio 1944, il giorno dopo la caduta di Montecassino, al comando del generale Umberto Utili – nel frattempo il I Raggruppamento, notevolmente
rinforzato, aveva assunto la denominazione di Corpo Italiano di Liberazione – giunse l’istruzione di assumere la difesa di un tratto del settore
della 2a divisione neozelandese, fino alla strada S. Biagio-Atina con l’inclusione della Costa San Pietro, dove si dislocò il 184° reggimento
paracadutisti ed il fronte finalmente si mosse.
Nella notte fra il 21 ed il 22 maggio 1944, i paracadutisti italiani rilevarono il 5th Parachute Battalion ad est della strada Venafro-San
Biagio-Atina, che divenne il limite di settore fra Italiani e Neozelandesi. [26]
L’avanzata iniziò nel pomeriggio del 27, quando le prime pattuglie della 6a brigata neozelandese si inoltrarono sulla strada per San Biagio senza
incontrare opposizione, ma trovandovi una mole di demolizioni e di mine che non avrebbe permesso il transito delle colonne di carri ed automezzi
del 20th Armoured Regiment.
Alla sera una pattuglia neozelandese raggiunse le prime case di San Biagio Saracinisco, ma non poté che rilevare la quantità di distruzioni operate dai tedeschi.
Verso le 21 di quel 27 maggio, la 41a compagnia del XIV battaglione del 184° reggimento paracadutisti, dopo aver raggiunto il colle Porcazzete, scese
per la valle Monacesca ed entrò in San Biagio Saracinisco. [27]
La strada per Atina appariva ostruita in una tale quantità di punti diversi che i comandi neozelandesi giudicarono impossibile poter proseguire ed
il generale Freyberg suggerì, nel caso in cui non fosse stato possibile riattarla in poco tempo, che la 6a brigata avrebbe potuto tornare indietro
per la strada di Acquafondata ed usare la strada di Sant’Elia Fioumerapido. L’idea venne scartata perché i genieri stimarono che la strada sarebbe
stata aperta in un tempo minore a quello necessario a trasferire l’intera brigata. [28]
La guerra era passata anche attraverso quel piccolo borgo di montagna, lasciando ovunque i suoi segni. Il paese appariva totalmente distrutto a causa dei tanti bombardamenti subiti, ma anche e soprattutto per le demolizioni che i tedeschi avevano messo in opera prima di ritirarsi definitivamente. Persino il paesaggio appariva sconvolto, come se un gigantesco rastrello avesse arato le montagne. Gli abitanti erano stati evacuati forzatamente fin dal autunno 1943, in parte trasportati nella provincia di Cremona. Chi si era salvato dalla razzia tedesca, aveva vissuto per mesi, nascosto in qualche anfratto; i più fortunati erano riusciti a passare il fronte... .
I protagonisti di tanti e così sanguinosi scontri torneranno ad incontrarsi sei mesi dopo sulle Alpi. Infatti nel settembre 1944 saranno i Tirailleurs marocchini del 4e R.T.M. a liberare definitivamente la cittadina di Briançon, costringendo i loro antagonisti, i cacciatori del GJR 85, a ritirarsi al colle del Monginevro e sulla cresta di confine italo-francese.
Scheda
Il 12 gennaio 1944, nella regione di Cardito, fu catturato un sottufficiale tedesco con il piano di distruzione di un tratto di 12 chilometri della
strada Colli-Atina, datato 25 novembre 1943. Il documento riproduce un tratto di 5 chilometri con 17 distruzioni preparate, caricate con 20
tonnellate di esplosivo, ripartite in 155 fornelli.
Le distruzioni dei gruppi 1,2,3 e 4 erano state fatte saltare il 4 dicembre 1943; le distruzioni da 5 a 9 incluso erano rimaste intatte a causa
della cattura del sottufficiale e dei genieri addetti all’operazione; le distruzioni 10, 11 e 12, rimaste nelle mani dei tedeschi, furono
probabilmente fatte saltare il 15 gennaio 1944. (Le Génie dans la campagne d’Italie, Corps Expéditionnaire Français, Commandement du Génie, 1944.)
Ringraziamenti
Si ringraziano di cuore il Dottor Vinicio Cicchiello e Damiano Parravano per le fotografie odierne della zona.
Note
Bibliografia
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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LA BATTAGLIA DELLE MAINARDE - I COMBATTIMENTI SUL FRONTE ITALIANO NELL'INVERNO 1943-44
Il Comandante delle forze tedesche, il generale Ringel, assume la responsabilita' del settore delle Mainarde il 22 dicembre 1943 e dispone dell'85° e 100° reggimento di fanteria, un reggimento di artiglieria da montagna, vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode" costituito dal 576° reggimento gia' della 305ª divisione e del III° battaglione indipendente cacciatori alpini.
07/02/2003 | richieste: 7845 | FRANCESCO ARCESE
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