LA CONQUISTA DI ESPERIA E QUEI ROTTAMI FUMANTI (16-17 MAGGIO 1944)
Vi passarono davanti migliaia di soldati, a piedi o su automezzi: erano francesi, algerini, marocchini, tunisini di varie specialità
e corpi del Corps Expéditionnaire Français, ma anche tanti ufficiali e soldati americani, dei reparti corazzati e di artiglieria,
aggregati al Corpo d’Armata francese.
Fu il vanto di giornalisti e “photoreporters”, o di singoli ufficiali dotati di una macchina fotografica: quell’ammasso di rottami
lo hanno immortalato in molti.
C’erano carri armati, veicoli da trasporto cingolati, cannoni, camions, automobili e motociclette, avviluppati in un groviglio di
ferraglia contorta, con quel semovente, intatto all’apparenza, con il cannone puntato verso il cielo. Giacevano ammucchiati a poche
centinaia di metri dal paese di Esperia, nelle scarpate delle serpentine che scendono verso la Vallepiana, in località Ponte
Pasquale, sulla strada per Pontecorvo.
Quell’angolo di inferno, rottami e alberi anneriti dal fuoco, era il simbolo più eloquente della disfatta tedesca e per quel motivo
chiunque fosse stato dotato di un apparecchio fotografico, si fermò almeno un istante per carpirne un ricordo.
La storia di quella disgraziata colonna tedesca e dei suoi caduti iniziò nel pomeriggio del 15 maggio 1944, quando dagli
interrogatori dei prigionieri, portati davanti agli interpreti del Deuxième Bureau della 3a divisione di fanteria algerina, emerse
la notizia che nuovi rinforzi sarebbero arrivati nel settore di Esperia. [1]
In quelle ore al comando del C.E.F. veniva elaborato il piano per superare le ultime difese tedesche, manifestatesi al colle della
Bastia, per irrompere al di là di Esperia, che costituiva l’ultimo baluardo naturale della Dora Stellung, prima della piana per
Pontecorvo.
Davanti alla 3a divisione algerina erano schierati i reparti superstiti della 71. Infanterie Division che dall’11 maggio aveva
perso più del 70% dei propri effettivi e materiali, e due battaglioni del Panzergrenadier-Regiment 200, entrati in azione senza
costituire una massa di manovra sufficiente a fermare la progressione francese. [2]
Mentre il Corps de Montagne stava proseguendo rapidamente sugli Aurunci, la 3e Division d’Infanterie Algérienne aveva
trovato nuove resistenze avvicinandosi al “verrou”, il catenaccio, di Esperia. [3]
Il mattino di quel giorno erano stati conquistati i paesi di Ausonia e di Castelnuovo, ed un gruppo blindato era entrato senza
difficoltà a Selvacava, ma nel pomeriggio il 3e Régiment de Tirailleurs Algériens era stato fermato davanti alle località di
Annunziata e Casale, difese dal I battaglione del Panzergrenadier Regiment 200. Il 7e Régiment de Tirailleurs Algériens aveva
iniziato una manovra di avvolgimento delle difese della Dora Stellung, puntando sulle pendici del Monte Fammera e della Bastia,
mentre il generale Juin aveva ordinato di superare quanto più rapidamente possibile la strettoia di Esperia e del Monte d’Oro con
un’azione frontale sull’asse Bastia-Monticelli.
Per l’alba del 16 era quindi previsto l’inizio dell’operazione, che sarebbe stata svolta da tre raggruppamenti: il Groupement de
Linarès, con il 3e R.T.A. ed il II/7e R.T.A. due compagnie di mortai americani e due gruppi da 105, ed il Groupement blindé de
Lambilly, con il 4e Règiment de Spahis Marocains, il 755th Tank Battalion americano e due squadroni di “Tank Destroyers” del 7e
Régiment de Chasseurs d’Afrique, con il compito di agire sull’asse La Bastia-Monticelli, appoggiati dalla fanteria, a sinistra
ed a destra della strada; il Groupement Chappuis, con il I ed il III/7e R.T.A. ed un gruppo da 105, con il compito di superare il
paese di Esperia da sud e da ovest. [4]
I comandi tedeschi non si erano ancora resi conto di quanto stava per abbattersi sui Monti Aurunci e cercavano di resistere sulla
Dora Stellung, benché nel corso della ritirata avessero perso l’intero Füsilier-Bataillon 194 e gran parte dei reggimenti di
fanteria 194 e 211. Con l’impiego di tutte le forze disponibili stavano disperatamente cercando di bloccare i francesi ad Est di
Esperia. La "kampfgruppe" del colonnello Matthes, comprendente quello che restava dei reggimenti di fanteria 211, 194 e 191, riuscì
a sostenersi sulle posizioni della Bastia e del Monte Fammera, subendo però pesanti perdite. Alla loro sinistra, nella zona di
Castelnuovo, era schierato un battaglione del Panzergrenadier-Regiment 200. Più a Nord, la “kampfgruppe” del colonnello Nagel,
con le poche forze superstiti della 44a e 71a divisioni di fanteria, si stava ritirando verso San Giorgio a Liri. [5]
Quanto era stato detto dai prigionieri tedeschi non era stato sottovalutato dal comando francese, ma l’informazione era stata
passata al comando dell’artiglieria della 3a divisione algerina (A.D./3), del colonnello Besançon.
Un piccolo aereo da ricognizione “Piper Cub”, in dotazione a quel comando e pilotato dal tenente Candas, si levò in volo dal campo
sulle rive del Garigliano poco dopo l’alba del 16, puntando dritto sulla Valle dell’Ausente. Ormai in pieno giorno, l’osservatore
non tardò a comunicare di aver avvistato una colonna motorizzata tedesca che stava procedendo sulla strada che da Monticelli
conduce ad Esperia. Il pilota esaminò la zona e trasmise che la strada dopo pochi chilometri dal punto in cui si trovava la colonna
in quel momento, saliva verso Esperia con una serie di curve a gomito, compressa fra la montagna da una parte e le relative
scarpate dall’altra; aggiunse che la colonna era composta da mezzi corazzati, pezzi anticarro e veicoli di vario genere e tipo. [6]
Il colonnello Besançon ebbe poco tempo per decidere, ma non si lasciò sfuggire l’occasione. Senza neanche riferire al comando della
divisione, perché il generale de Monsabert era già partito a bordo della sua “jeep” ad ispezionare il fronte, ordinò ai comandanti
di numerosi gruppi di tenersi pronti ad aprire il fuoco, trasmettendo le coordinate comunicate dal pilota.
Si trattava di attendere che la colonna si fosse interamente inoltrata sulla salita, in modo che non avrebbe più potuto manovrare
lateralmente, e di distruggere i veicoli di testa e di coda per bloccarla con dei tiri regolati direttamente dal piccolo aereo;
quindi di scatenare una concentrazione massiccia, alla quale avrebbero partecipato oltre ai gruppi d’artiglieria francesi, anche
tre della 13a brigata americana: 84 bocche da fuoco da 105 e da 155 mm.
Il rumore assordante dei colpi in partenza e gli schianti di quelli in arrivo, amplificati dall’eco delle montagne, finirono per
mettere in allarme tutto il settore. Lo stesso generale de Monsabert telefonò direttamente dal comando di un’unità, ma appena
saputo qual’era il motivo, approvò senz’altro. [7]
Il tiro durò non più di cinque minuti, che bastarono per far cadere sugli sfortunati tedeschi più di un migliaio di granate. Dal
“Piper Cub” fu trasmessa la notizia della completa distruzione della colonna. [8]
Mentre si compiva il destino di tanti soldati tedeschi, il Groupement de Linarès aveva attaccato alla Bastia, trovandovi
un’accanita resistenza, fino a doversi impegnare in una lotta casamatta per casamatta. Il II/7e R.T.A. aveva assunto il compito di
rastrellare quel bastione, mentre il 3e R.T.A. proseguiva verso Esperia, dove occupava le quote 183 e 154, da una parte e
dall’altra della strada, a circa tre chilometri e mezzo dal paese. Il Groupement de Lambilly aveva progredito sulla strada, ma era
stato bloccato a circa tre chilometri da Esperia da un tiro contro-carro particolarmente efficace. Il Groupement Chappuis era
riuscito a raggiungere il monte Acquara Pellegrini, mantenendo, sulla sua sinistra, il contatto con il Corps de Montagne. [9]
La situazione che si determinò nella giornata del 16 viene confermata dalle annotazioni contenute nel diario dell’Alto Comando
tedesco:
Dalla zona a 2 km a Sud di Esperia il nemico ha ripetutamente attaccato nelle ore serali ... . Preponderanti forze nemiche, appoggiate da fortissimo fuoco di artiglieria, sono riuscite provenendo da Sud e Sud-Ovest a penetrare nelle nostre posizioni sul Colle La Bastia (4 km Est-Sud-Est di Esperia)... . Diversi attacchi portati lungo la strada a Nord-Ovest di Castelnuovo con forte appoggio di carri contro il gruppo da combattimento von Behr sono stati respinti, ed una penetrazione sull’ala destra è stata ripulita con un immediato contrattacco. Anche il gruppo da combattimento Nagel è stato pesantemente impegnato da preponderanti forze corazzate a 2,5 km a Nord-Est di Esperia.
Nel corso della giornata al comando della 10a Armata pervenne la notizia che
... punte avanzate di un gruppo di forze nemiche hanno raggiunto la zona a 1 km a Nord-Ovest di Monte Revole ... [10]
Nella notte fra il 16 ed il 17, il comando del C.E.F., convinto che malgrado la forte resistenza incontrata, i Tedeschi non
avrebbero potuto continuare a lungo, preparò un’operazione di rottura, denominata "Ernestine", che ebbe inizio alle 5 del mattino
del 17, con l’intervento della 1e Division Motorisée d’Infanterie (France Libre) che doveva investire la parte settentrionale del
Monte d’Oro.
Il Groupement de Linarès, appoggiato dai carri del Groupement blindé de Lambilly, si mosse alle 6,30, raggiungendo il primo
obbiettivo della linea delle quote 331 e 390 e catturando 63 prigionieri. Il Groupement Chappuis progredì da sud, sulle propaggini
del Monte Fammera, impadronendosi delle quote 943, 841, 704 e scendendo verso il castello di Esperia.
Alle 11 del mattino, i reparti del Groupement de Linarès entrarono per primi nel paese, evacuato dagli ultimi difensori tedeschi,
trovandovi una grande distruzione, ma anche un gran numero di armi e di veicoli abbandonati; una cinquantina di soldati tedeschi
vi furono fatti prigionieri. [11]
La fanteria ed i piccoli carri Stuart del 4e R.S.M. riuscirono ad attraversare il paese, non senza fatica e solo dopo aver
provveduto a sgombrare un passaggio, ma, passate le ultime case, appena affacciatisi verso la discesa, ai soldati francesi si offrì
uno spettacolo terribile.
Edouard Roy era allora un giovane sottotenente del 3e R.T.A. e così ha descritto quello che vide:
Lo spettacolo era spaventoso. Sulla strada sconvolta dalle esplosioni, il convoglio sembrava fermo per una
semplice sosta. Senza dubbio, i Tedeschi, presi sotto il tiro, avevano cercato di passare più in fretta: i veicoli si erano serrati
verso la testa della colonna, fermata improvvisamente dai colpi a segno. Avevano finito per rendere il bersaglio più redditizio.
Immobilizzati dal passaggio esiguo e dalla mole dei mezzi, presi nelle maglie sempre più ristrette del tiro d’artiglieria, erano
stati crudelmente tritati sul posto. Erano, almeno così ci sembrò, dei mezzi che non erano ancora stati impiegati in battaglia;
un’impressione di nuovo emanava da tutti i veicoli. Malgrado i molti danni, il fondo della pittura color crema restava pulito; su
di esso spiccavano le chiazze scure e le strisce della mimetizzazione. I carri erano posati solidamente sui cingoli, con i cannoni
puntati davanti a loro.
Una granata era caduta sul cassone di una delle vetture di testa, un camion blindato per il trasporto dei soldati: era pieno di
cadaveri. Morti anche nelle cabine degli altri veicoli e nei carri. Altri morti giacevano attorno al convoglio, altri sul pendio
sotto la strada, sui bordi della strada... [12]
Appena fu possibile aprire un varco attraverso la strada principale del paese, fu fatto intervenire un “bulldozer”, il cui conducente, da solo, malgrado il tiro di disturbo di mortai e cannoni tedeschi, iniziò a buttare letteralmente giù dalla strada tutto quello che gli si parò davanti: semoventi, automezzi, rottami di tutti i generi e cadaveri. Questo brutale, ma prezioso, lavoro provocò persino le proteste dei fanti algerini che stavano comunque avanzando a piedi, perché quello che rotolava per le scarpate finiva sulla strada sottostante con il rischio di colpirli.
Qualche ora dopo lo sgombero, giunse sul luogo Jacques Robichon, allora giovane carrista, diventato nel dopoguerra un noto scrittore e storico, che ha lasciato questa descrizione:
Tra la montagna e la scarpata si stende davanti alla sezione del Genio
uno stravagante conglomerato di forma sinuosa, esattamente come il tracciato della strada: ferraglia contorta, telai calcinati,
cingoli sradicati, munizioni alla rinfusa. E dei cadaveri.
Un intenso odore di morte e di cremazione, d’olio bruciato, plana su un cimitero di mezzi blindati, di anticarro, di camions,
come sopra un fantastico rogo funerario. [13]
Il 17 maggio, nel Diario storico dell’O.K.W. veniva annotato che
Particolarmente svantaggiosi per il tempestivo afflusso delle riserve, anche localmente disponibili, sono stati il continuo fuoco ben diretto da osservatori aerei e la incessante sorveglianza delle vie di rifornimento da parte di cacciabombardieri... .
Sulla situazione nella zona, si osservava che:
Diversi attacchi portati da Esperia con forte appoggio di carri vennero respinti con duri combattimenti subito a Nord-Est del paese… sono stati distrutti due mezzi corazzati. Il nemico che nelle tarde ore del pomeriggio aveva effettuato uno sfondamento sul Monte d’Oro (2 km a Nord-Est di Esperia) venne inchiodato dal fuoco concentrato della nostra artiglieria e con questo sono state evitate ulteriori spinte offensive... . (Più a Nord) Il gruppo da combattimento Nagel è parimenti rimasto per l’intera giornata impegnato in aspri scontri difensivi contro attacchi corazzati di massa appoggiati da forte fuoco d’artiglieria. Grazie ad una resistenza oltremodo accanita, tutti gli attacchi sono stati respinti e sono state inflitte sanguinose perdite al nemico. [14]
Malgrado il linguaggio, la ritirata generale continuò...
Tra i primi ad entrare in Esperia ci furono anche il famoso fotografo americano George Silk, che riprese una serie di eccezionali immagini a colori, ed un giornalista della rivista "LIFE", che inviò al suo giornale un servizio:
Le truppe francesi del generale Juin avevano forzato un passaggio nell’antico borgo di Esperia, situato su una collina, giusto una mezz’ora prima che G. Silk arrivasse nei sobborghi. Dei "tank-destroyers" manovrati dai francesi controllavano le strette vie fra le macerie, mentre dei fanti perquisivano le case in antiche pietre del villaggio, facendo uscire sotto la minaccia di baionette e pistole dozzine di tedeschi che vi si erano nascosti... . Al di là del paese dei veicoli tedeschi danneggiati bloccavano parzialmente la strada. In quel momento un “tank-destroyer” era occupato a tagliarsi un cammino tra la scarpata e i carri demoliti, quando i tedeschi aprirono il fuoco. Ci fu un turbine sopra le teste, poi furono sparati dozzine di colpi di mortaio e scoppiarono tra un gruppo di fanti sopra la strada. Un carro armato fu colpito e una massa di fiamme e fumo si sollevò quando le munizioni che erano dentro il carro esplosero. Gli uomini dell’equipaggio erano scappati e correvano per la strada in cerca di un riparo fra le vecchie e robuste case, Un minuto e mezzo dopo i primi colpi, la strada si era completamente svuotata di tutti gli uomini in grado di correre. Ma uno restò in piedi al primo tornante: a 20 metri dai carri che esplodevano, emergeva una figura magra; era il padre Baudoin, cappellano delle truppe francesi. Quest’uomo, che portava un grande crocefisso d’argento pendente all’estremità di una catenella portata al collo, aiutava i soldati sanguinanti a scendere dalle "jeeps", curando le loro ferite e trascinandoli al riparo dei veicoli intatti... . [15]
PADRE EMILIEN PROSPER BAUDOUIN, IN RICORDO DI UN CAPPELLANO DIMENTICATO
Se la rivista americana LIFE non avesse pubblicato alcune immagini che lo riprendono, se il suo nome non fosse stato eternato in un giornale americano e citato di sfuggita dallo scrittore Pierre Ichac in un suo libro, dell’esistenza di questo personaggio non sapremmo nulla.
18/10/2012 | richieste: 2350 | ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
Spigolature | #maggio 1944, caduti, diadem-op, francia, protagonisti, religione
Lo stesso paese di Esperia presentava uno spettacolo agghiacciante.
Da lontano, visto dal basso, sembrava intatto: infatti le facciate delle sue robuste case in pietra avevano in gran parte resistito
ai bombardamenti aerei e di artiglieria. Ma appena ci si inoltrava, si poteva vedere come quelle stesse case fossero sfondate,
crollate all’interno in mucchi scomposti di pietre, mattoni, travi, mobili sfasciati, che avevano seppellito chi vi aveva cercato
rifugio. [16]
Le strade erano ingombre di macerie, di carri armati e automezzi, alcuni intatti, altri bruciati, di cannoni, di
carriaggi; ma anche di cadaveri di soldati tedeschi, di cavalli e muli morti. Proprio all’inizio dell’abitato, sulla strada,
giacevano i corpi di alcuni soldati tedeschi, schiacciati dai cingoli dei carri. Ovunque, nel paese, sulle alture tutto intorno,
sulla strada per Ausonia, su quella per Monticelli, c’erano decine di corpi insepolti. [17]
Gli ultimi difensori tedeschi si erano trovati in trappola, dovendo lasciare tutto il materiale rotabile a causa della strada
bloccata dai resti della colonna.
Su tutto, il polverone causato dal passaggio dei carri e dalle esplosioni e un tanfo insopportabile.
La temperatura di quei giorni di maggio era già alta e le squadre di recupero non sapevano più come fare. Si adoperarono porte ed
infissi delle case, si buttò un po’ di benzina e i cadaveri, insieme ai resti di cavalli e muli, furono bruciati... .
In questo tremendo panorama giunse ad Esperia un ospite di riguardo, probabilmente nel corso della giornata del 18 maggio, ed anche
a lui furono fatti vedere i resti della colonna tedesca.
Il generale Charles de Gaulle, da non molto presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Algeri, era giunto
inaspettatamente a Napoli, il mattino del 17. Buon politico, aveva colto l’attimo favorevole di una vittoria ormai scontata per
affermare la supremazia del suo nuovo governo, anche presso i propri generali e quelli alleati in Italia.
Chi decise di portarlo fino ad Esperia? Forse lo chiese lo stesso de Gaulle o forse fu il generale Juin, ma quel gesto sembrò a
taluni quasi una sfida fra le parti.
De Gaulle vestiva l’elegante divisa da generale del 1940, in stridente contrasto non solo con il caldo di quella giornata afosa, ma
anche con le uniformi disinibite e americaneggianti dei generali del C.E.F.; portava orgogliosamente il piccolo distintivo smaltato
delle Forces Françaises Libres, a quell’epoca non proprio "amatissime" fra gli alti ufficiali di quella che era stata
l’Armée d’Afrique...
Fu fatto salire su una “jeep” scoperta, la sua bella divisa alla mercé del polverone, trasportato fino ad Esperia alla massima
velocità consentita. Giunto in paese, nel tanfo terribile dei corpi in decomposizione che stavano bruciando, il piccolo corteo
proseguì fin oltre le case in direzione di Monticelli. Il generale de Gaulle riuscì a vedere i resti della colonna tedesca, il
fumo delle esplosioni, laggiù nella piana, verso San Oliva, ma qualcuno giudicò opportuno lasciare quel posto. Gli autisti delle
“jeeps” fecero appena in tempo a manovrare e ad oltrepassare le prime case del paese che una salva d’artiglieria tedesca si abbatté
giusto sul punto appena abbandonato!
Delle tantissime immagini scattate in quei giorni, almeno di una, forse la più nota, conosciamo la storia.
Era giovedì, 18 maggio 1944, giorno dell’Ascensione.
La 15ª compagnia someggiata marocchina iniziava a scendere per i tornanti, in direzione di Monticelli. Alla testa dei conducenti
“il maresciallo-capo Desroux considerò con occhio disincantato il fotografo accovacciato al fondo della scarpata” e gli
gridò di riprendere i morti tedeschi, ancora sparsi sul terreno.
Ma ad Albert Plécy, allora giovane "reporter" al seguito del C.E.F., diventato nel dopoguerra un famoso scrittore e fotografo, non
interessava. Desiderava una certa immagine della vittoria, con il contrappunto di quella compagnia someggiata che passava con
indifferenza, lassù sulla strada.
Senza cambiare posizione, Plécy, alzò l’obbiettivo fino alla fila di uomini e di bestie che sfilava di fianco al semovente con il
cannone puntato al cielo. [18]
Il giorno dopo, a pochi chilometri di distanza, tra Monticelli e San Oliva, una granata tedesca si abbatteva tra un gruppo di ufficiali francesi, uccidendo il tenente colonnello Charles de Chambilly, comandante del 4e Spahis marocains. Stava trattando le consegne ad alcuni ufficiali del 3e Spahis algériens, che avrebbe dato il cambio al suo reggimento.
Nel 1946, nel tentativo di asportare le munizioni ancora contenute nei carri, morirono due ragazzini di Esperia, Benito Gatti e Romualdo Pelle, entrambi di 13 anni. [19]
Note
Bibliografia
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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