CRONACHE DI QUEL TRISTE NATALE DEL 1943
Il giorno di Natale del 1943 cadeva di sabato. Il fronte si stava lentamente, ma inesorabilmente avvicinando a quella che tutti avrebbero conosciuto come la
Linea Gustav ed i combattimenti non cessarono né alla vigilia né nel giorno della ricorrenza.
Si moriva anche in quelle ore, da Ortona, sull’Adriatico, al Mar Tirreno.
Proprio ad Ortona dove era in corso una feroce battaglia per il possesso della cittadina, i membri del reggimento canadese Seaforth Highlanders celebrarono il Natale in una chiesa bombardata, Santa Maria di Costantinopoli, a pochi isolati dalla prima linea. Si erano perfettamente organizzati con una tavolata, le tovaglie, le sedie ed un ricco ménu. Durante il pranzo un organista suonò "Silent Night" e tutti cantarono tra il frastuono delle cannonate, ma dovettero tornare in fretta al fronte e per molti quella fu l’ultimo pranzo della vita. [1]
Sulle montagne attorno a Venafro i soldati americani si ricordarono di Natale e della tradizione, ma c’era ben poco da festeggiare. Alcuni, intirizziti dal freddo e raggomitolati in una buca, intonarono con un velo di ironia una canzone in gran voga negli Stati Uniti, dal titolo "I’ll be home for Christmas" (Sarò a casa per Natale): era stata incisa da Bing Crosby, che guadagnò il suo quinto disco d’oro, e diventò un classico della musica natalizia.
Nelle retrovie invece il Natale venne celebrato ovunque dai soldati americani, sostenuti dal possente apparato logistico di cui disponevano.
Un soldato di origine giapponese, in forza al famosissimo 100° battaglione, ricordò quel giorno del 1943 che trovò il suo reparto a riposo non lontano dal Volturno, dopo un lungo periodo al fronte. Raccontò:
Eravamo contenti di esser stati tirati fuori dalla prima linea invernale sulle montagne d’Italia dove il freddo aveva causato congelamenti ai piedi.
Alla vigilia un gruppo si riunì nella tenda del cappellano a cantare le melodie di Natale; altri trovarono un albero sempreverde e lo portarono in mezzo all’accampamento,
ornandolo con stelle di latta fatte con le scatole della cucina; fu persino eretta una grande croce.
Quando si fece buio i cantanti iniziarono a girare fra le tende e giunti all’ultima ne uscì un sergente dall’aria minacciosa, ma poi li invitò ad entrare e c’era una
cioccolata calda per tutti!
Il mattino di Natale, il cappellano officiò il servizio e tutti si commossero al ricordo di casa e dei camerati caduti, ma nessuno pianse: “Il canto e la preghiera
erano nel loro cuore.”
scrisse il nostro soldato nippo-americano. [2]
Non molto lontano, sul monte Sammucro, proprio quel giorno di Natale calò la falce che ghermì un giovane soldato, volontario nella 1st Special Service Force: il mattino si scatenò un violento bombardamento ed una granata uccise Clay Thomas Bailey. Il fratello Jim, allora un bambino, passerà parte della sua vita a ricostruire la vita di Clay, venendo più volte in Italia, salendo più volte sulla vetta del monte e scrivendo un appassionato racconto di memorie. [4]
Schierati al bordo delle Mainarde erano mischiati francesi e marocchini. Il 24 era stata una giornata di duri combattimenti e non c’era stato posto per Natale. Il 25 invece fu un giorno di riflessione per i comandi e si fecero sentire soltanto le opposte artiglierie. C’era spazio per i cappellani e un po’ ovunque venne celebrata la Santa Messa, magari sul sagrato di una chiesa in rovina e persino in compagnia di prigionieri austriaci di fede cattolica, come successe nel paese di Cerasuolo.
Dall’altra parte del fronte, i tedeschi erano nascosti nei loro ricoveri, al freddo anche loro e sotto la minaccia costante dei cannoni alleati. Alcuni fra i più anziani della 305a divisione di fanteria ricordarono il Natale dell’anno precedente, a Stalingrado, quando nel gelo tremendo era arrivata la notizia che ormai erano chiusi in una sacca. Qualcuno si era salvato ed ora, nel buio della notte, pregava per se stesso e per la sua famiglia.Giù nella valle del Volturno, in un piccolo paese disabitato e semi distrutto, erano accantonati i fanti italiani del I Raggruppamento Motorizzato, reduci da Montelungo. Fu una vigilia tristissima, lontani dalle famiglie e quasi abbandonati a se stessi dai comandi, ma, come raccontò Amedeo Della Rosa, un giovane allievo ufficiale originario di Cassino:
Trascorremmo il giorno di Natale a Sesto Campano ed a pranzo ci raggiunse il Principe Umberto, sempre premuroso nei nostri confronti, per portarci il suo augurio ed il suo calore umano. [5]
Quel 25 dicembre, al vertice dei comandi alleati si prese una decisione che cambiò il corso della campagna d’Italia: tra Londra e Washington venne stabilito di effettuare uno sbarco a sud-ovest di Roma, nella convinzione che la mossa avrebbe consentito di aggirare le difese tedesche e di eseguire una rapida marcia verso la capitale italiana, oltre la strettoia di Cassino.
Il 24 ed il 25 dicembre 1943 furono due giorni d’eccezione per i monaci di Montecassino, non per le funzioni religiose, ma per la visita di un personaggio molto
importante. Nel pomeriggio del 24, alle 14 a causa del coprifuoco vigente, si celebrò nella grotta la funzione della notte; alla fine giunse inaspettato il generale von
Senger und Etterlin, comandante del XIV Corpo corazzato, che, fervente cattolico, avrebbe voluto partecipare.
Il generale ritornò il giorno dopo per la Santa Messa ed i monaci gli offrirono la colazione; il padre abate chiese garanzie per la zona di protezione del monastero senza
però ricevere risposta.
Una delle cause della fuga dei civili dai centri abitati fu senz’altro la paura dei bombardamenti aerei alleati che avevano pesantemente colpito la stessa Cassino,
Aquino, Roccasecca, Atina, Pontecorvo e tante altre città, paesi, piccoli agglomerati e persino singole abitazioni.
Il 24 dicembre, a causa del maltempo le operazioni aeree furono ridotte, ma il 25 gli A-36, bimotori da bombardamento della 12th Air Force, effettuarono una serie
di incursioni nell’area di Pontecorvo, colpendo mezzi di trasporto sulle strade ed alcune case del paese.
Tutto intorno all’Abbazia, sulle montagne, per chilometri e chilometri, un’umanità dolente aveva trovato provvisorio rifugio in grotte, capanni, stalle o case
coloniche. Fin da settembre, dopo il primo bombardamento aereo della città di Cassino, era iniziato lo sfollamento che ebbe il suo apice quando i tedeschi ordinarono di
evacuare i paesi che si sarebbero trovati in prossimità del fronte.
Fu un esodo disordinato. Molti furono inviati in cittadine e paesi del centro e nord Italia, ma molti riuscirono a scappare trovando precario rifugio sulle montagne.
Vicino al Monastero, in particolare all’Albaneta ed al Calvario, era un brulicare di povera gente infreddolita ed affamata, respinta dai monaci e costretta all’addiaccio.
Continuamente braccati da soldati tedeschi che cercavano di farli allontanare, si erano aggrappati a quel lembo di terra nella speranza che il luogo non sarebbe stato
toccato dalla guerra.
Il Natale passò come un giorno qualsiasi, tra il freddo pungente ed il tuonare dei cannoni sempre più vicino. Si reputò fortunato chi riuscì a mettere sotto i denti
qualcosa di caldo, per lo più polenta senza sale.
La guerra sarebbe apparsa di lì a pochi giorni, prima con violenti bombardamenti di artiglieria e poi con un vero e proprio assalto dei soldati americani.
I civili cercarono rifugio nell’Abbazia, ma per entrare dovettero minacciare di buttar giù il portone d’ingresso, invadendo poi l’enorme monastero: per molti di loro
fu l’inizio della fine. [6]
Il reverendo E.N. Downing, cappellano del 4th Parachute Battalion britannico, si ritrovò al fronte, vicino a Casoli, e volle celebrare il servizio di mezzanotte. Non potendo radunare troppi soldati perché erano sotto il tiro dell’artiglieria tedesca, decise di celebrarlo presso il comando del battaglione e poi di distribuire la comunione nelle trincee. La cerimonia ebbe inizio a mezzanotte in punto ed il reverendo celebrò una "Midnight Mass" in piena regola, ma in una stalla, con una vera mangiatoia come altare.
Nella valle dell’Ausente, il Santuario di Santa Maria del Piano era occupato da truppe tedesche piuttosto ingombranti, ma i soldati dimostrarono rispetto per le suore.
Il giorno di Natale, raccontò nel suo diario Suor Amabile Ferraironi:
Questa mattina messa pastore tedesco. Ja, ja, venire...
Alle 10 la chiesa che da 2 mesi era deserta, è piena. Gli ufficiali sono in prima fila.
Suonano l’organo, cantano in tedesco; il loro cappellano fa un breve discorso. Molti si accostano alla comunione, disciplinatissimi, a braccia conserte, in punta dei piedi.
Un brivido ci assale quando tutti insieme recitano un Pater Noster e l’Ave Maria.
Più tardi entrano quelli che erano a lavorare.
"Schwester, nicht messa. Oggi molto bere, molto cantare; ieri sera, nicht, noi sentinelle!"
Ma sono tutti tristi. Pensano alle famiglie, lontane. [8]
Malgrado tutto, Natale fu celebrato un po’ ovunque, magari con mezzi di fortuna, magari per pochi minuti, talvolta con una funzione regolare, talaltra solo con un canto o una preghiera, più o meno lontano dal fronte, ma le artiglierie non cessarono mai di sparare.
Note
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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