IL BOMBARDAMENTO DELL'AEREOPORTO DI AQUINO - 19 LUGLIO 1943
Che si è in guerra, gli italiani lo sanno dal 10 giugno 1940. Ma cosa sia la guerra lo si
incomincia a capire in modo meno approssimativo quando, giunta all’epilogo quella d’Africa, fatte fuori
Pantelleria e Lampedusa, i primi soldati dell’esercito alleato mettono piede in Sicilia.
È il 10 luglio 1943. Appena dopo, mezza Italia è sotto il tiro dei bombardieri alleati che, attaccando aeroporti,
scali ferroviari, impianti industriali, cercano, insomma, di facilitare la strada alle truppe sbarcate in Sicilia
ma, soprattutto, di rendere difficoltosi al nemico sia i rifornimenti che i collegamenti.
Questa triste e per molti versi inattesa realtà la si tocca con mano il 19 luglio:
alle 11,45 di quel giorno, con un comunicato straordinario in diretta, Radio Londra annuncia al mondo che
"settecento quadrimotori alleati stanno sganciando, in questo preciso istante, le loro bombe sulle opere
ferroviarie di Roma".
Bersaglio di questa azione è lo scalo di San Lorenzo. Ma anche l’omonima basilica viene centrata in pieno.
Tutto il quartiere Prenestino viene raso al suolo. Morti e feriti si contano a centinaia.
Tra i morti, Michele Neroni di Castro dei Volsci, vent’ anni compiuti ad aprile: lavorava come manovale alla
stazione Tuscolana ed al momento del bombardamento stava rientrando a casa, a via del Pigneto.
Muoiono anche i fratelli Alfredo e Costantino Nalli e Mariano Spaziani, tutti e tre di Morolo, che, come ogni
giorno, erano andati a lavorare al magazzino di materiale da costruzione di Nicola Alteri, loro concittadino, al
ponte Casilino.
Le cose vanno decisamente meglio per Mattia Cincerrè di Aquino che ha appena vinto un concorso per aiuto
macchinista e si trova al deposito locomotive dello scalo di San Lorenzo per seguire un corso. Ricorda:
Quando iniziarono a bombardare, tutti incominciarono a correre alla ricerca di un ricovero. Sulle prime avevo un pò di vergogna a correre. Ma poi mi feci coraggio. e mi ritrovai sotto un cumulo di macerie. Cercai di sollevare sta robba ma non ce la feci. Sentii, però, che era leggera. Non so quanto tempo passai lì sotto. Alla fine, però, fu lo scoppio di una bomba a liberarmi. Quando sono uscito fuori ero pieno di scorticature ho visto tutto lo strazio: i binari sollevati dal terreno, i vagoni rovesciati, i morti dentro le vetture.
Verso il crepuscolo arriva Pio XII: dalla sommità di un cumulo di macerie apre le braccia come se volesse
stringersi al petto tutta la gente del quartiere. Quando rientra in Vaticano, la sua veste bianca è macchiata di
sangue.
Nelle prime ore del pomeriggio, altra incursione aerea dei bombardieri alleati sull’aeroporto e sulle case di
Ciampino; nella notte, invece, l’obiettivo è l’aeroporto di Aquino: il "raid" sulla provincia di Frosinone non è
certamente di poco conto - viene anche spezzonato lo stabilimento della Bombrini Parodi Delfino di Ceccano - se il
suo territorio e quello della limitrofa provincia di Littoria vengono subito dichiarati, con regio decreto, in
stato di guerra.
Aquino. La sera di lunedì 19 luglio 1943 è una di quelle che, per il caldo, lasciano il segno.
A parte ciò, si è un pò tutti sconvolti per via del bombardamento su una delle zone di Roma generalmente preferita
da chi dalla provincia di Frosinone si sposta ad abitare nella capitale.
Mia madre, Adele Pelagalli, annota nel suo diario:
Verso sera si aspettano notizie dai treni. Ma non arrivano. Allora si sta ancora più agitati non
sapendo della sorte capitata ai parenti che si trovano là. Si fa tardi ed assaliti dalla stanchezza si pensa di
trovare un pò di riposo. Ma non appena mi butto sul letto vestita, perché ormai non ci si spoglia più, dalla
finestra aperta si vedono dei razzi rossi illuminare a giorno ogni cosa.
Capisco che il momento è brutto e, senza profferire parola, si prende la via del ricovero. Ma non si fa in tempo
ad uscire che la prima bomba scoppia lontano mentre il chiarore dei razzi è impressionante.
La pioggia di bombe comincia alle 23 e 30; il bombardamento, a varie riprese, dura fino alle 2 del mattino del 20
luglio.
Il ricovero è pieno di persone che pregano, si raccomandano e sperano. Vi è anche un tedesco: si trovava di
passaggio ed è entrato dal cancello rimasto aperto.
Una sfollata di Napoli si raccomandava alla Madonna di Pompei con delle espressioni dialettali che a momenti
facevano anche ridere.
Il terrore continua ma non ci fa però disperare; si sente in noi la speranza di sopravvivere.
La grotta, in certi momenti, si sente come scricchiolare ma le preghiere coprono quel tragico rumore. La polvere
si sente in gola. Più forte s’invoca aiuto.
L’aeroporto di Aquino nasce come "campo di fortuna" intorno al 1926 ma è del 20 febbraio 1937
l’inizio dei lavori di costruzione del nuovo impianto che, non ancora ultimato in tutte le sue strutture, verrà
distrutto a partire dal 19 luglio.
Dal primo gennaio 1939 assume la qualifica di "aeroporto armato di III classe" e tre mesi più tardi vi iniziano i
corsi della scuola di pilotaggio, scuola che ufficialmente cessa la propria attività il primo dicembre 1942. In
realtà, però, l’attività didattica dura sino al 17 di quel mese, sino a quando, cioè, l’impianto aeroportuale non
viene "ceduto" all’aviazione tedesca. Di "italiano" resta solo un presidio di una quarantina di uomini; l’arrivo
di soldati tedeschi è, invece, continuo.
La vita, ad Aquino, cambia radicalmente. Già nel mese di marzo 1943 cominciano i primi allarmi: l’aeroporto costituisce,
infatti, una delle due estremità di un ponte aereo che inevitabilmente attracca, dall’altra parte, proprio laddove
la guerra è più calda. Insomma, i voli con l’Africa del nord o con Pantelleria o con Lampedusa, effettuati
essenzialmente con aerei Junkers, sono all’ordine del giorno.
Sebbene lontana, ad Aquino la guerra la si "sente" abbastanza presto. Mia madre, in data 20 dicembre 1942, annota
nel suo diario:
Si deve pensare ad un rifugio, nel caso ce ne fosse bisogno. In paese sono arrivati sfollati da
Napoli e molti operai delle officine di Pomigliano d’Arco che lavorano in aeroporto. Ad Aquino la sera vi è
movimento, i caffe sono affollati. È divenuta una cittadina in cui si sentono parlare varie lingue. I tedeschi
s’intrattengono nei caffè con le loro signorine; a tarda ora, brilli, si avviano al passeggio notturno. Chi può
stare tranquillo? Non si può più vivere perché si ha il timore di avere estranei in casa da un momento all'altro
che possono farti anche del male. Perciò bisogna chiudersi in casa nelle prime ore della sera.
I ragazzi si divertono a dare fastidio alle signorine dei tedeschi ma questi, una sera, sparano in aria. Fuggi,
fuggi generale e il giorno dopo si ordinò il coprifuoco alle 7 di sera. I tedeschi spariscono e finalmente si può
godere un pò di fresco ed aprire le finestre.
Mentre in paese si ripetono gli allarmi - spesso, la notte, vengono dati con il suono delle campane - al "campo"
si lavora giorno e notte. E generalmente dopo la mezzanotte si sente il rumore dei motori degli aerei che portano
i rifornimenti in Tunisia e che ritornano nelle prime ore del pomeriggio del giorno dopo.
Almeno fino a quando tutto ciò ha un senso. Ora, però, che l’invasione della Sicilia procede
senza intoppi, per i comandanti alleati l’aeroporto di Aquino è una spina che conviene estirpare. E lo fanno,
anzi, iniziano a farlo quella calda notte del 19 luglio.
A Piedimonte San Germano, scrive Raffaele Nardoianni2,
si notò un improvviso bagliore che veniva dalla direzione di Aquino. Era un razzo luminoso, il primo razzo che appariva nel nostro cielo ed al quale seguirono moltissimi altri. Piedimonte e la vasta pianura circostante ne vennero illuminati a giorno.
Don Giovanni Battista Colafrancesco, che era in seminario, ad Aquino, ebbe l’impressione che quei razzi fossero "come dei lampioni alla veneziana"; da Montecassino, "dalla loggia del Paradiso e dall’Osservatorio", riferisce don Angelo Pantoni3,"si vede benissimo il bombardamento dell’aeroporto di Aquino, centrato con grande precisione."
Chi abita sulle alture circostanti, a Roccasecca, a Colle San Magno, a Castrocielo, a Piedimonte
San Germano, a Villa Santa Lucia, oppure ad Esperia, sul versante opposto, è come se si trovasse sugli spalti di
un’arena.
Ma il terrificante bagliore rossastro valica anche i monti: a Sant’Elia Fiumerapido, ad esempio, è testimone, tra
gli altri, dell’allucinante spettacolo il prof. Giovanni Petrucci; ad Isola Liri lo è, invece, Vincenzina Pinelli4 la quale,
dopo aver scritto che quella stessa sera
con l’unico autobus di linea, arrivano da Roma alcuni profughi terrorizzati in cerca di rifugio presso i parenti, dopo essere scampati al violento bombardamento alleato, effettuato sullo scalo merci del quartiere S.Lorenzo,
aggiunge:
A turbare ulteriormente quella giornata, sull’aeroporto di Aquino rischiarato da una miriade di
palloni frenati luminosi, si abbatte a sera inoltrata il primo bombardamento della zona.
La popolazione di Isola si riversa immediatamente nelle strade ed è un fuggi fuggi generale attraverso un buio
straordinariamente fitto. Qualcuno incespica negli orli dei marciapiedi e dei fossi; i bambini insonnoliti
frignano irrequieti e molte persone, in preda all’agitazione, non hanno chiuso nemmeno la porta di casa.
Insomma, scrive Nardoianni,
l‘aeroporto era divenuto un gran braciere, le cui fiamme, in tutta la loro vastità, illuminavano sinistramente la valle.
E così va avanti sino a quando, annota mia madre nel suo diario,
finalmente cessa il rumore e qualcuno si reca fuori e vede la catastrofe: tutti i vetri frantumati, i fili elettrici per terra, porte aperte. Tutto uno sfacelo.
È stata una notte d’inferno. Ma lo scheletrico linguaggio ufficiale liquida il tutto in poche righe:
Il 19.7.1943 alle ore 23,30 aerei isolati sorvolarono Frosinone e la provincia, lanciarono
razzi illuminanti, bombe dirompenti e spezzoni su varie località. In particolare spezzonarono lo stabilimento
Bomprini Parodi Delfino di Ceccano, lanciarono manzfestini di propaganda su Colleferro, bombardarono e
mitragliarono l’aeroporto di Aquino. Le attrezzature dell’aeroporto subirono danni rilevanti. Segnalati 2 morti
e 5 feriti.
Il 20.7.1943, alle ore 02,00, alcuni aerei sorvolarono il territorio della provincia di Frosinone e Cassino
lanciando numerosi spezzoni incendiari sull‘abitato di quest’ultima località, bombe di piccolo calibro e spezzoni
su alcuni centri rurali della provincia di Frosinone e dirompenti sull‘aeroporto di Aquino che subì danni
rilevanti. Segnalati 2 morti e 18 feriti.
Alle prime ore del mattino successivo quell’allucinante notte di fuoco, il passeggero di un
elegante cabriolet fermo sul ciglio della strada scruta in lontananza, verso l’aeroporto, e cerca di capire quello
che è accaduto. Intanto, Antonio Della Posta e Giorgio Loreto, l’uno di Colfelice, 1’altro di Roccasecca, pedalano
con andatura sostenuta lungo la Casilina diretti all’aeroporto di Aquino, dove prestano servizio militare.
Della Posta mi ha raccontato:
Alcune centinaia di metri dopo il bivio di Aquino, da una macchina scoperta, ferma sul ciglio
della strada, il distinto signore che ne era alla guida - con lui non c’erano altre persone, se ricordo bene
- chiese se a causa del bombardamento erano morti soldati italiani. Io e Giorgio rispondemmo che non lo sapevamo e
che i soldati italiani erano, comunque, pochi; probabilmente, al contrario, dovevano essere morti molti soldati
tedeschi. Ma il signore rispose dicendo che a lui interessava soprattutto della sorte dei soldati italiani. Ci
ringraziò, ci salutò e ripartì ad andatura abbastanza lenta.
Come la macchina si era appena allontanata e noi avevamo ripreso a pedalare, quasi contestualmente, sia io che
Giorgio solo allora ci rendemmo conto che quel signore era Umberto di Savoia.
Che il distinto signore del cabriolet fosse proprio il principe ereditario - che, peraltro, in quel tempo aveva il suo quartier generale ad Anagni, dove sarebbe rimasto fino all’ 8 settembre - è confermato dalla visita che appena dopo egli compie ad Aquino per rendersi cotito dei danni provocati dal bombardamento in paese. Racconta don Innocenzo Quagliozzi5:
Il mattino seguente al bombardamento, prestissimo, mentre eravamo nell’androne della mia casa a commentare il fatto, apparve all‘improvviso Umberto di Savoia che era accompagnato da alcuni militari. Il Principe, che era giunto a piedi dopo aver parcheggiato la macchina in una piazzetta poco lontana, era venuto per accertarsi dei danni; si intrattenne brevemente a parlare con noi pronunciando parole di incoraggiamento, fece la prima rampa delle scale e poi ridiscese per andar via senza inoltrarsi ulteriormente nel paese.
Tuttavia, quello della notte tra il 19 e 20 luglio non è l’unico bombardamento ad avere come
bersaglio l’aeroporto di Aquino. Infatti, non c’è nemmeno il tempo di riprendere fiato che il 23 luglio, intorno
a mezzogiorno, una nuvola di bombardieri alleati oscura, stavolta, il cielo di Aquino. Dapprima volteggiano
ripetutamente, provocando un rumore assordante; poi iniziano a bombardare; che siano venuti ad ultimare il lavoro
iniziato tre giorni prima non ci vuol molto a capirlo.
Il bombardamento effettuato nella notte tra il 19 ed il 20 luglio è stato sicuramente un buon lavoro ma non un
lavoro perfetto. Gli alleati devono aver saputo che non tutti gli aerei, molti dei quali sono nascosti insieme
alle munizioni e ad altro materiale bellico tra la vegetazione della campagna circostante l’impianto aeroportuale,
sono stati distrutti, per cui quel volteggiare dei bombardieri prima dell’attacco ha tutto il senso di una
minuziosa ricerca dell’obiettivo. Che, infatti, non ha come bersaglio il solo aeroporto ma è, invece, molto "vago"
seppure circoscritto. Di questo bombardamento il linguaggio ufficiale "parla" così:
Il 23.7.1943, alle ore 12,10 una formazione di cinquanta quadrimotori provenienti dal mare, all’altezza di Gaeta, sorvolò l’aeroporto di Aquino sganciando bombe dirompenti sull’aeroporto, in prossimità di San Giovanni Incarico e Ventotene. L’aeroporto subì vari danni e furono distrutti trenta apparecchi al suolo.
Per la ferrovia Roma-Cassino-Napoli, che sfiora l’aeroporto, altri danni si aggiungono ai precedenti mentre, scrive Raffaele Nardoianni6,
scene di terrore si ebbero specialmente nella campagna che era divenuta un vero inferno, avvolta tutta di nerissimo fumo e di polvere puzzolente.
La testimonianza di Nardoianni è completata dall’elenco dei suoi "compaesani" - Nardoianni è di
Piedimonte San Germano - che, oltre ad alcuni rimasti solo feriti, in questa circostanza trovano la morte*.
Don Angelo Pantoni7, dal canto suo, annota:
.Dicono che hanno mitragliato presso Piedimonte dei contadini che trebbiavano nonché un autocarro tedesco e altre case isolate (una trentina di morti).
Anche le informazioni "ufficiali" su questo bombardamento rientrano nella generalità dei casi. Del resto, in quei giorni accadono avvenimenti ben più importanti della distruzione di un piccolo aeroporto di provincia cui dedica attenzione, quanto basta, il bollettino n. 1155 emesso il 25 luglio dal quartier generale delle Forze Armate:
A seguito delle incursioni aeree dei giorni scorsi sono state accertate vittime tra la popolazione civile (.): ad Aquino (Frosinone), 4 morti e 10 feriti per lo scoppio ritardato di bombe.
Costantino Jadecola
Tratto da
Bibliografia
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.