PER CAPIRE IL MONUMENTO AL LI BTG. BERSAGLIERI AUC MONTELUNGO
Data: 08/05/2010Autore: CLAUDIO VIGNACategorie: CronacheTag: #today, bersaglieri, monte-lungo, monumenti

PER CAPIRE IL MONUMENTO AL LI BTG. BERSAGLIERI AUC MONTELUNGO

Per chi oggi passa per Mignano Montelungo, attraverso la via Casilina, l'unico richiamo con gli avvenimenti che videro protagonista questa località nell’inverno del 1943, è il Sacrario militare e l’antistante Museo militare.
Eppure tutta la zona a nord di quel paese, con il Montelungo, il Monte Rotondo e la piana che lungo il fiume Peccia guarda a Rocca D’Evandro, è stato in quel tempo il settore dove sono avvenuti i combattimenti che hanno determinato lo sfondamento della linea Bernhard; in particolare con quella che gli italiani chiamano la battaglia di Montelungo e gli americani la battaglia di S.Pietro Infine.
Qui per la prima volta, le truppe dell’esercito italiano sono state ammesse a combattere a fianco delle truppe nuove alleate; qui è nata la cobelligeranza che ha consentito, a guerra terminata, la mitigazione dei durissimi effetti di una resa incondizionata; qui l'8 dicembre 1943 le truppe della 5ª Armata comandata dal Gen. Clark, non partecipando all’azione convenuta come previsto nel piano di attacco, lasciarono che i fanti ed i bersaglieri armati di moschetto e fucile '91, equipaggiati con divise estive di cotone e scarponi chiodati, scarsamente informati e non consapevoli di cosa li stesse attendendo, dimostrassero, da soli, la volontà di riscatto di una intera nazione.
Una nazione ormai allo sbando che, per la prima volta dopo la tanto agognata unità del 1861, si ritrovava nuovamente divisa, invasa da occupanti e da liberatori.
Un'Italia che, costretta a firmare "resa senza condizioni", aveva perduto gran parte della sua residua credibilità sia con i vecchi che con i nuovi alleati.
Un'Italia che aveva maldestramente divulgato le determinazioni di armistizio che, nato male, era stato gestito ancora peggio da vertici di comando che, distratti da altre mire, dimenticarono il supremo interesse nazionale!
Un'Italia i cui capi politici e militari, mentre trattavano segretamente con gli anglo- americani, non seppero o non vollero vedere, un invasione in massa da parte dell’ alleato tedesco, per oltre metà del territorio nazionale fin dall'aprile-maggio 1943.
Un'Italia che, davanti a questa situazione, dimenticò di informare e di disporre il rientro delle sue forze armate, per la maggior parte impegnate fuori dal territorio nazionale, di fatto abbandonandole al loro tragico destino.
Un'Italia in cui il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, nei giorni immediatamente successivi alla firma dell’armistizio (3 settembre 1943), ritenne prioritario partire alla volta di Torino per sistemare cose personali abbandonando il comando delle forze armate nel momento più tragico per la Nazione.
Un'Italia in cui lo stesso Re preferì fuggire da Roma costringendo alla fuga anche il più credibile e lungimirante figlio principe Umberto, senza peraltro nemmeno valutare l’opportunità di abdicare a suo favore: perse così la "buona occasione" per far recuperare alla Nazione favore e credibilità da parte dei nuovi alleati.
Un'Italia in cui, alti vertici militari con le loro famiglie, fecero a gomitate per salire sulla corvetta che doveva accompagnare il Re, a Brindisi via Pescara-Ortona, indisturbato forse grazie ad un accordo sottobanco con i tedeschi!
Un'Italia in cui, alti vertici militari della piazza Pugliese, ancora ciecamente fedeli all’invasore, al mattino del 9 settembre 1943, rilevata l'occupazione del porto di Bari da parte di due autocolonne tedesche, decisero di tenere chiusi all’interno delle caserme migliaia di militari, costringendo il gen Bellomo ad organizzare una impari resistenza. Questi fu poi costretto ad attendere l’arrivo da Palese, del LI btg. Bersaglieri A.U.C. che, nel pomeriggio, dopo aver circondato il porto, costrinse alla resa gli occupanti avevano già avviato la demolizione delle banchine e dei moli per rendere inservibile il porto agli Inglesi appena sbarcati a Taranto. Dopo un breve combattimento ed una trattativa secondo le regole militari, i reparti tedeschi furono costretti a lasciare sul campo le armi pesanti: quei soldati tedeschi, comunque armati fino al collo, non più alleati ma non ancora nemici, furono scortati per le vie di Bari dai giovani allievi ufficiali dei bersaglieri armati di schioppo '91 e la sera stessa furono spediti al nord via ferrovia.
Un Italia in cui, la vile congrega degli stessi generali del distretto Pugliese, ben riciclatisi in epoca post-armistiziale, si adoperò subdolamente affinchè nel 1945, lo stesso generale Bellomo per aver prontamente denunciato le loro mancanze, finisse, per altre colpe mai dimostrate, processato e messo al muro da un molto parziale tribunale militare inglese.
Un Italia che già nell’ottobre 1943 si vide costretta a sostituire i due principali capi Militari in quanto criminali di guerra invisi ai nuovi alleati.
Un'Italia che attese oltre un mese per dichiarare guerra alla Germania creando ancora più indecisione e sensazione di inaffidabilità nei nuovi alleati.

Questo è il contesto che precedette la battaglia di Montelungo; queste sono le vere motivazioni per cui all’Italia, ed al suo rinascente esercito, venne concessa una sola possibilità di riscatto; si doveva dimostrare di avere ancora un minimo di credibilità.
Queste erano le ragioni per cui ci era stato offerto un solo biglietto, di sola andata, a prezzo molto caro; prendere o lasciare.

Questo era il peso fisico e morale, che quei giovani fanti e bersaglieri, avevano sulle spalle la mattina dell'8 dicembre 1943 mentre salivano le spigolose rocce di Montelungo o mentre cercavano di oltrepassare il rilevato della ferrovia sulla piana del Peccia, In quei tragici tre mesi seguenti l'annuncio dell’armistizio, quei giovani allievi ufficiali dei bersaglieri non avevano ceduto come molti altri “al tutti a casa” nonostante gli attacchi dell’allora giovane studente Antonio Maccanico che ad Avellino, dalle pagine di “Irpinia libera”, li accusava di essersi fatti intruppare in compagnie di ventura al soldo della Monarchia; per fortuna quei giovani, seguiti da validi ed illuminati ufficiali, avevano anteposto l'interesse della nazione occupata alle proprie idee ed alle personali convinzioni.
Al loro arrivo al fronte, la sera del 6 dicembre, erano osservati e attesi; nascosti in ottimi ripari sul monte e in buche lungo la ferrovia, i Panzer Granadier tedeschi di Bari; con cecchini, con grappoli di bombe a mano con il manico di legno per consentire lanci a maggiore distanza, ma soprattutto con micidiali gruppi di mitragliatrici MG 42 dalla grande capacità di fuoco, altrimenti detta “la voce di Hitler”.
I nostri erano armati con il moschetto '91 con caricatore a 5 colpi e qualche bomba a mano SRCM, dal grande effetto morale a causa dello scarso contenuto in polvere nera: 27 grammi.
L’esercito italiano in quel tempo disponeva di una buona arma: il mortaio da 81 mm ottimo per aprirsi la strada prima di un attacco frontale: praticamente assente a Montelungo!!

Come andò quell'8 dicembre 1943 lo sappiamo: i Fanti del 67° Legnano, giunti in vetta, dovettero ripiegare in quanto non assistiti dall'avanzata dei reparti USA sul lato destro di Montelungo e sul lato sinistro, come preordinato nel piano di attacco.
Solo dopo una settimana gli americani, convinti dell'ardimento risorgimentale di quei giovani combattenti, decisero di non essere più spettatori: intervennero coordinatamente sia sul fianco sinistro di Monte Maggiore, sia sul fianco destro di Monte Rotondo, consentendo così agli Italiani di conquistare e conservare la quota 343 di Montelungo.

Il Sacrario di Montelungo oggi raccoglie i caduti militari italiani di quella ed altre battaglie della campagna 1943 e 1944; ma agli occhi del passante, oltre alla pietà per quei giovani, non offre quelle informazioni storiche che consentono di capire la sacralità che deriva da quanto avvenuto in quei luoghi.
In molte località teatro della 1° guerra mondiale, a margine dei cartelli segnaletici di alcune città che hanno subito gravi umiliazioni belliche, campeggia spesso la scritta “Città martire”; passando il Piave o l’Isonzo, si potrà leggere l’Indicazione “Fiume sacro alla Patria”; andando sul Carso sulla quota 85 sopra Monfalcone dove tra i tanti, morì Enrico Toti o sul Monte Grappa o sull’Ortigara, succede di imbattersi in qualche cartello “Luogo Sacro alla Patria”; tutte indicazioni che invitano il passante a riflettere o a interrogarsi sui luoghi che sta attraversando.

A Mignano Montelungo tutto questo non si osserva; anzi in molti di quei luoghi spesso regna l'abbandono ed il degrado.
Ma la storia ci dice che in fatto di caduti militari italiani, Redipuglia sta alla guerra 1915-1918 come Mignano Montelungo sta alla guerra di liberazione 1943-1945.
Perchè di guerra di liberazione si trattò; liberazione di un territorio nazionale occupato, attraverso azioni di guerra coordinate eseguite da truppe di eserciti regolari.
Con buona pace di chi ancora oggi confonde o vuole confondere il termine “Liberazione” con quello altrettanto nobile, ma dal diverso significato di “Resistenza”.

Questa è stata la principale motivazione che ha portato nello scorso dicembre l’associazione reduci del "LI Btg Bersaglieri AUC Montelungo 1943", ad affrontare il problema: Che fare per rendere decorosi e visitabili i luoghi della nostra memoria?
Alcuni anni orsono eravamo riusciti nell’intento di restituire alla sua dignità il sito alle pendici di Montelungo, ove era stato collocato nella primavera del 1944, il primo cimitero di guerra per i caduti del 67° fanteria; il luogo ormai totalmente degradato, nascondeva ancora i resti dell'altare e del muro di contenimento ed alcuni cartelli informavano che l'area era destinata ad addestramento cani.Non ci era sembrato decoroso, ne tollerabile!
Abbiamo per fortuna trovato l'interessamento del Comune di Mignano, ed in tempi rapidi e con poca spesa, si è proceduto al disboscamento ed alla pulizia del luogo.
Ricordo che proprio in quell'area abbiamo organizzato qualche anno fa un incontro nell'ambito della 4 Passi sulla Gustav durante il quale Leone Orioli tenne un commovente ricordo di quei giorni del 1943.

Oggi nello stesso solco, abbiamo ritenuto di intervenire sulla spianata sul fiume Peccia proprio nel luogo in cui, i bersaglieri del LI battaglione A.U.C., sono stati fermati dalle mitragliatrici tedesche mentre tentavano di oltrepassare il rilevato della ferrovia per raggiungere il colle S. Giacomo: dovevano difendere, sul fianco sinistro di Montelungo, l’azione dei fanti del 67°diretti verso la quota 343.
In quel luogo caddero 23 bersaglieri ed altri 37 rimasero feriti.
Ci è parso doveroso garantire ai posteri la memoria di quel luogo, di quei fatti e di quei Caduti.
Ci siamo autofinanziati, abbiamo cercato e trovato le giuste collaborazioni: il Comune di Mignano, la sez. di Mignano della A.N.B., amici e persone sensibili che in pochi mesi, in quest'Italia ancora difficile, hanno consentito di elevare un monumento a beneficio della storia e del passante.
Dal 25 aprile 2010, 65° anniversario della Liberazione, i reduci del LI btg Bersaglieri A.U.C. Montelungo 1943 con gli acciacchi di oggi, ma con lo spirito di allora, a nome dei caduti e dei sopravissuti hanno voluto tramandare la loro memoria lasciando sulla pietra di Montelungo, il seguente ammonimento:

NEL PIU’ TETRO AUTUNNO DELLA PATRIA
I GIOVANI BERSAGLIERI DEL 51° A.U.C.
D’ANIMO SALDO E LIMPIDO IDEALE,
INDICARONO AI PIU’ LA VIA DEL RISCATTO.

A BARI IL 9 SETTEMBRE
ED IN SEGUITO TUTTA LA PUGLIA
DIEDERO SPERANZA
AD UN POPOLO SCONFITTO,
ED IMPOSERO RISPETTO
AL TEDESCO INVASORE.

IN QUESTO LUOGO, NELLA GELIDA ALBA
DELL’8 DICEMBRE 1943,
IL 51° BTG. BERSAGLIERI A.U.C.
SI IMMOLO’,
PER RITROVARE LA PATRIA PERDUTA

EBBE COSI’ INIZIO
IL SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA.

Claudio Vigna è figlio del Sergente Maggiore Antonio Vigna – appartenente al LI Btg. Bersaglieri Montelungo 1943

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