27 MAGGIO 1944, LA STRAGE DI PONTE OLMO, A SORA
Data: 24/05/2014Autore: COSTANTINO JADECOLACategorie: La tragedia dei civiliTag: #maggio 1944, civili, diadem-op, sora, violenze-saccheggi-eccidi

27 MAGGIO 1944, LA STRAGE DI PONTE OLMO, A SORA

A Sora, l’annuale ricorrenza della festa di Santa Restituta, patrona della città, il 27 maggio 1944 coincise con la scoperta di un eccidio che si era consumato la sera prima nella zona di ponte Olmo, non lontano dall’abbazia di San Domenico e in prossimità della statale 82 Valle del Liri, una strada che, specialmente in quei giorni che segnano la disfatta tedesca sul fronte della Gustav, beneficia della dovuta attenzione per essere una via di fuga abbastanza discreta verso l’Abruzzo.

Teatro del delitto è una casetta rurale in prossimità dell’incrocio tra via Ponte Olmo e il canale Mancini ed a subirne le conseguenze sono Giuseppe La Posta (42 anni), la moglie Giulia Gemmiti (43), entrambi occupati in una cartiera di Isola del Liri, e le loro figlie Elena (18) e Maria Grazia (16), quelle che, chi le ha conosciute, ricorda come due gran belle ragazze. I due figli maschi della coppia, Fiorino e Domenico, a quel tempo sono, invece, "sotto le armi".

Su come siano andate le cose è difficile a dirsi. E dunque, tutto è demandato alle supposizioni.

La presenza di soldati tedeschi in zona non costituisce una novità, visto che da queste parti ci si veniva anche per ritemprarsi dalle fatiche sulla linea del fronte. E da tale frequentazione erano derivati buoni rapporti tra i militari e i residenti.

Ricorda Felice D’Orazio, all'epoca dodicenne:

"Io e un mio amico aiutavamo uno dei tedeschi addetto alla cucina - un vero padre di famiglia che a noi ci voleva bene - il quale, con un carretto trainato da un cavallo, tutte le mattine si recava al fiume dalle parti di Carnello a riempire due bidoni d’acqua - all’epoca potabile - per le necessità della cucina. In cambio, ci dava marmellata e altra roba ancora". [1]

Ciò non toglie, tuttavia, che anche in un clima del genere, possano verificarsi "spiacevoli incidenti". Sono all’ordine del giorno specialmente i furti di bestiame compiuti dai tedeschi a danno di chi ha ancora la ventura di possederne qualcuno. Non sembra, però, che all’origine del delitto possa esserci un tentativo di furto del genere anche perché in zona prevale l’opinione di evitare difese impossibili, ovvero di mettersi contro i tedeschi.

Più credibile, invece, potrebbe essere l’ipotesi che gli assassini siano stati attratti dall’avvenenza delle due ragazze ed a comportarsi di conseguenza provocando l’inevitabile reazione dei genitori. Non si esclude, inoltre, che essi potessero essere ubriachi e che la loro intenzione iniziale fosse finalizzata solo al furto di un maiale in una casa poco lontana e che solo successivamente sia stata decisa l’incursione nell’abitazione di Giovanni La Posta.

Tra i soldati che si vedono da queste parti, diversi sono giovani; anzi giovanissimi. Qualcuno li ha visti addirittura piangere. E la cosa è sembrata una stranezza, un controsenso. Poi, però, quando si è venuto a sapere che dentro quelle austere e severe divise c’erano addirittura dei diciassettenni con tutti i limiti propri di quella età, allora si è ben capito il senso di quelle lacrime. Ed anche delle ubriacature. Forse un modo per farsi coraggio anche se dalle imprevedibili conseguenze. Così come l’abitudine di muoversi in gruppo era forse un modo per un vicendevole supporto: il cosiddetto branco di cui oggi talvolta si parla. E nulla esclude che proprio su un branco potrebbe ricadere la responsabilità del delitto di ponte Olmo.

Ma è solo una supposizione. Infatti, su come siano andate le cose resta pur sempre un mistero, tale di certo non è la dura realtà che emerge quando alcuni parenti e vicini di casa si attivano perché quella mattina né Giuseppe né la moglie si sono visti in giro.
A muoversi per primi per verificare quelle "assenze" sono dei parenti: Giovannino La Posta e sua cugina Carlina ai quali si unisce il figlio di questa Basilio Accettola, appena undicenne.

Sono le prime ore del mattino di sabato 27 maggio. L’abitazione è al piano terra per cui è facile poter scrutare all’interno. Per prima cosa lascia stupiti che il letto della coppia sia perfettamente in ordine. Delle due l’una: o è stato rimesso a posto di buon ora, o non è stato utilizzato. Ma non ci si attarda più di tanto a riflettere su quale delle due potrebbe essere l’ipotesi giusta e si procede verso la parte posteriore della casa dove, sull’altro angolo, c’è la piccola cucina, la grossa chiave ancora nella toppa della porta.
A chi la apre, e a chi è con lui, si presenta una scena che dire raccapricciante non è sufficiente per spiegare lo choc che riesce a provocare.
Un terrore che Basilio Accettola ancora si porta dentro:

"Uno spettacolo tremendo. Giovannino comincia a strillà... e naturalmente anche mia madre.
È successo l’ira di Dio. C’era il tavolino in mezzo alla camera e su ci stava un piatto di patate. Zì Giulia steva n’terra co na ferchetta stretta mane; zì Giuseppe steva vicino alla piccola porta che dava nel capannone dietro la casa. Una delle figlie, ma non ricordo chi delle due, era finita nella bocca del camino ed era tutta sporca di cenere. L’altra era in parte sotto il tavolo, la testa poggiata su una piccola gabbia con delle galline dentro… Uno spettacolo immenso. Il sangue. Per terra uno spessore di sangue...".

Scende la sera e ognuno raggiunge la propria abitazione.
Dice Basilio:

"Là ci rimane soltanto zì Raffaele, un fratello di zì Giuseppe, che, da solo, è stato seduto davanti casa su una sedia, senza ’na luce, per tutta la notte. Unico "disturbo" in quel silenzio notturno, confesserà zì Raffaele, strani rumori che provenivano dall’interno dell’abitazione. Quando verranno rimossi i corpi delle povere vittime, si scoprirà che a provocarli erano le galline chiuse nella gabbia, sotto il tavolo, evidentemente agitate perché a digiuno da più giorni".

Intanto, la notizia dell’eccidio corre di bocca in bocca ed è panico. Una famiglia di San Biagio Saracinisco sfollata in zona collega al delitto gli spari sentiti la sera prima: tre colpi in sequenza e poi un quarto una decina di minuti dopo. E destano perplessità anche i lividi ben evidenti sui polsi delle due ragazze. Che il quarto colpo sia stato riservato proprio ad una di loro due dopo un ennesimo tentativo di violenza andato a vuoto? Mistero nel mistero. Le quattro rudimentali bare costruite in fretta e furia, insieme ai corpi delle vittime, accolgono anche il sangue che ricopriva il pavimento e che una donna si preoccupa di raccogliere a mani nude. Poi, deposte su altrettante carrette a mano, ci si avvia verso il cimitero.
È il 28 maggio. Un paio di giorni dopo arrivano gli alleati, i neozelandesi: c’è chi li omaggia portando fiori di campo e chi uova fresche di giornata.

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Note

  1. ^ Testimonianza resa martedì 12 novembre 2013 presso la biblioteca comunale di Sora nell’ambito degli "Incontri di storia, arte, cultura 2013/2014" promossi dal Centro di studi sorani "Vincenzo Patriarca".

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