1944. LA GUERRA DA CASSINO ALLA LINEA GOTICA
Data: 16/06/2016Autore: ALBERTO TURINETTI DI PRIEROCategorie: La tragedia dei civiliTag: #post giugno 1944, bibliografia, off-topic

1944. LA GUERRA DA CASSINO ALLA LINEA GOTICA

Osservando una carta stradale del 1930, si può rilevare che da Napoli a Roma, passando per la Via Casilina, corrono circa 192 chilometri. A 81 chilometri da Napoli e 111 da Roma sorgeva la città di Cassino, sormontata dalla storica Abbazia: fu il perno di quella che i tedeschi chiamarono la Linea Gustav.
I primi soldati alleati raggiunsero la periferia di Napoli la sera del 30 settembre 1943 ed entrarono in Roma il 4 giugno 1944, otto mesi dopo la liberazione della città partenopea.

Oltrepassato il Volturno nell’ottobre 1943, gli Alleati si trovarono di fronte alle montagne che stringono la cosiddetta stretta di Mignano, attraverso la quale avrebbero potuto passare le poderose forze corazzate in attesa nella pianura campana. Per due mesi, fino al dicembre 1943, i soldati alleati dovettero di volta in volta conquistare un monte, una vetta, una quota senza nome, difesi accanitamente dai tedeschi, arroccati sulla Linea Bernhard. Alla fine di novembre cominciò a piovere: una pioggia insistente, continua, senza requie, un diluvio universale. Strade, mulattiere e sentieri si tasformarono in piste di fango ed il 5 dicembre il Volturno si scatenò in una piena senza precedenti, travolgendo ponti di barche e passerelle. Gli eserciti più meccanizzati del mondo scoprirono improvvisamente quanto fossero preziosi i muli e gli asini, e cominciò una caccia spietata: furono trovati nell’Italia meridionale, in Sicilia, in Sardegna, ma anche nel Libano, in Palestina, a Cipro, in Egitto e in tutto il Nordafrica.
Nel settore adriatico un ottimistico piano elaborato dallo stesso generale Montgomery aveva previsto una veloce avanzata fino a Pescara per poi effettuare una conversione in direzione di Avezzano e scendere dagli Appennini su Roma. Un fiume, il Sangro, ed una città, Ortona: due nomi indimenticabili per i soldati del Commonwealth, dove si infranse ogni speranza davanti alle linee tedesche. Le piogge torrenziali dell’autunno fecero il resto e l’8a Armata britannica si impantanò.
Ai primi di gennaio del 1944, dopo una lunga serie di sanguinosi combattimenti, i soldati americani conquistarono il Monte Trocchio, ultimo ostacolo prima della Valle del Liri. Ai loro occhi si apriva, in parte immersa nella nebbia, la tanto sospirata piana di Cassino, ma pochi chilometri più in là, proprio davanti a loro, si ergeva il massiccio di Montecassino, con la linea delle cime che salivano fino ai 1.669 metri di Monte Cairo; alla loro destra le cime dell’Abruzzo, dove combatteva il Corpo di Spedizione francese; a sinistra, nascoste fra le nubi dense di pioggia, le sagome scure dei monti Aurunci con la vetta del Monte Majo, dove si infranse il tentativo di sfondamento inglese.
Le operazioni sulla Linea Gustav ebbero inizio il 17 gennaio 1944 ed il 22 di quel mese due divisioni britanniche e due americane sbarcarono sulle spiagge di Anzio e Nettuno, nel vano tentativo di aggirare le difese tedesche di Cassino.

Sulle scelte strategiche dei comandi alleati e sulle battaglie che furono combattute nella zona di Cassino esiste un’imponente bibliografia. La distruzione dell’Abbazia di Montecassino, il 15 febbraio 1944, ed il terribile bombardamento che polverizzò quello che ormai rimaneva della città di Cassino, il 15 marzo 1944, sono stati oggetto di moltissimi studi.
Quello che invece resta un terreno quasi inesplorato riguarda le sofferenze patite dai civili italiani, che per mesi sopravvissero o morirono nel vastissimo territorio attraversato dal fronte. Il loro ricordo è legato a pregevoli pubblicazioni, che raramente hanno superato i confini locali. [1]

L’inizio dei lavori della nuova linea difensiva, decisa ai primi di ottobre dai comandi tedeschi, ebbe pesanti conseguenze per la popolazione civile, già vittima dei bombardamenti aerei alleati. La presenza di truppe tedesche nella vasta zona che va dalla Valle del Volturno fino a Frosinone si fece massiccia fin dal settembre 1943. Furono emessi dei bandi di reclutamento di manodopera civile, seguiti dagli ordini di evacuare i centri abitati per un’area di 5 chilometri davanti alla linea Bernhard e di 10 chilometri nelle sue retrovie. [2]
Ad una reazione largamente negativa della popolazione maschile, che temeva di essere adibita a lavori in zone esposte agli attacchi aerei alleati, ma soprattutto di essere trasferita in zone lontane dal proprio paese o in Germania, i tedeschi risposero con vere e proprie razzie. La conseguenza fu che moltissimi si diedero alla macchia, aiutati dalle proprie famiglie.
Davanti all’ordine di sgombero dei centri abitati, che si allargava di giorno in giorno con l’arretramento del fronte, gran parte della popolazione si nascose sulle montagne: in grotte naturali, in casolari isolati, in anfratti, in capanni generalmente destinati al bestiame, nella speranza di una rapida avanzata alleata.
La situazione si fece ben presto difficile: alla paura di essere sorpresi dalle pattuglie tedesche, si aggiunse il pericolo dei bombardamenti aerei o dell’artiglieria degli alleati. [3]
All’arrivo dell’inverno, in condizioni climatiche proibitive, migliaia di civili vivevano in modo del tutto precario. Nel gennaio 1944, quando il fronte si stabilizzò sulla Linea Gustav, molti centri abitati erano stati teatro di combattimenti e risultavano completamente distrutti, diventati ormai bersagli dell’artiglieria tedesca. I civili che avevano cercato di rientrare nelle loro case trovarono solo rovine, senza nessuna possibilità di sostentamento. [4]
In una situazione di assoluta disperazione, il sospirato arrivo degli Alleati fu ovunque salutato con gioia, per quanto potesse permettere l’esperienza appena vissuta, ma a molti civili non fu più permesso di trattenersi nei paesi di origine. Molti furono trasferiti in campi profughi nell’area napoletana o nell’estremo Sud.
L’atteggiamento dei militari alleati nei confronti della popolazione civile, ridotta allo stato di profugo in casa propria, non fu omogeneo. Nella maggior parte dei casi essi aiutarono in tutti modi possibili, talvolta invece si dimostrarono assolutamente indifferenti, ma in qualche caso non mancarono maltrattamenti e incomprensioni.

Acquafondata è un ridente paesino, arroccato sull’alto di una conca attraverso la quale passa la tortuosa strada che sale da Venafro, nella Valle del Volturno, che, superato un colle all’altezza di circa 1.100 metri, scende nella Valle del Rapido, fino al paese di Sant’Elia Fiumerapido e Cassino. Il paese fu raggiunto dalle prime pattuglie della 3a divisione di fanteria algerina il 14 gennaio 1944 e, vista la sua posizione strategica, divenne immediatamente un importante centro logistico per i rifornimenti del settore.
La popolazione che aveva sperimentato l’occupazione tedesca fin dal settembre 1943, i bombardamenti aerei e d’artiglieria alleati, e quindi quelli tedeschi, convisse con molti reparti alleati fino al giugno 1944.
Le memorie di una settantina di superstiti di quel periodo, liberi di raccontare le proprie esperienze, sono state raccolte in un piccolo volume. Il fatto singolare è però che il curatore di questo interessante campionario di vita, in base appunto alle testimonianze raccolte, traccia una sorta di classifica della più o meno gradita presenza di occupanti e liberatori. [5]
Tutti i testimoni, nessuno escluso e qualunque fosse la loro età all’epoca dei fatti narrati, ricordano con spavento la presenza dei soldati tedeschi, accompagnata dal ricordo dello sfollamento forzato, delle razzie di uomini, del furto continuo di bestiame, delle fughe nei rifugi sulla montagna, dei bombardamenti, della fame e delle disperate condizioni di vita.
I più graditi fra i soldati alleati risultano i polacchi che, prima del loro attacco a Montecassino, rilevarono le truppe nordafricane a metà aprile 1944. Gli abitanti ricordano con gratitudine quei soldati per il rispetto dimostrato nei loro confronti e per l’aiuto che diedero; rimasero molto colpiti, dopo le esperienze vissute, del fatto che i soldati chiedevano normalmente il permesso di entrare in un’abitazione privata, anche se al posto della porta d’ingresso vi era solo un telo o una coperta!
I secondi, in questa curiosa classifica, sono gli americani, fra i quali molti erano d’origine italiana. Erano arrivati con i francesi: autisti degli autocarri che portavano i rifornimenti o artiglieri delle batterie piazzate nella conca. Fornivano di tutto: scarpe, coperte, indumenti, cioccolato, razioni alimentari... . Fu un ufficiale italo-americano ad insediarsi come rappresentante del governo alleato e a nominare il nuovo sindaco: un ex cappellano militare, sfollato nel paese, rivelatosi intraprendente e coraggioso.
I terzi classificati sono gli inglesi, in realtà neozelandesi, che sostituirono per non molto tempo i polacchi alla fine di maggio del 1944. A loro si riconosce un’assoluta correttezza formale, ma gli si imputa un’ottusa rigidità mentale, giudicata incompatibile con lo stato di mera sopravvivenza di gran parte della popolazione. Piuttosto che distribuire i resti del rancio, li bruciavano in ottemperanza alle norme igieniche impartite dai comandi: atto inqualificabile agli occhi di chi pativa la fame! Ma quello che fa pendere la bilancia è l’ordine di perquisire le case e di confiscare qualsiasi oggetto di provenienza militare: un addio a tutto quello lasciato dagli americani!
Vengono infine i francesi.
Bene o male con i francesi metropolitani si creò una convivenza passabile, non sempre facile; non così con i nordafricani. Nei tre mesi di permanenza, da metà gennaio a metà aprile 1944, si alternarono molti reparti, in prevalenza “tirailleurs” della 3a divisione di fanteria algerina, ma anche genieri, artiglieri, personale dei servizi, infermieri ed infermiere della Sanità, e persino i temuti “goumiers” marocchini. [6]
Furono mesi di furti continui nelle case, ma soprattutto del prezioso bestiame salvato con mille sotterfugi dalle razzie dei tedeschi: capre e agnelli furono sterminati. Non mancarono casi di stupro o di tentato stupro, sebbene occasionali nella zona, seguiti talvolta da reazioni molto vivaci da parte di gruppi di donne o uomini, accorsi alle grida della malcapitata, ma anche di qualche malcapitato ragazzino. Molti gli atti di violenza, anche gravi, specie se si cercava di difendersi da un sopruso. Se qualcuno poi andava a lamentarsi con i comandi, rischiava ancora di prendersi delle botte, ma spesso si sentiva rispondere che era nulla a confronto del “coup de poignard dans le dos” o dei pretesi e fantomatici mitragliamenti di aerei italiani sulle colonne dei profughi francesi nel giugno 1940. [7]

Se le cronache dei cittadini di Acquafondata possono costituire un esempio per descrivere alcune delle situazioni che vennero a crearsi lungo il fronte della Linea Gustav, fatti moto più gravi si verificarono nel corso dell’operazione “Diadem”, nel maggio 1944.
Durante il mese di aprile, i comandi alleati misero a punto il piano per un attacco generale, con la partecipazione di ben cinque corpi d’armata, schierati da Montecassino alla costa tirrenica. L’operazione, fissata per la notte tra l’11 ed il 12 maggio 1944, fu preceduta, oltre che da un’offensiva aerea sulle comunicazioni stradali, ferroviarie e marittime dell’intero territorio italiano, da giornalieri attacchi di centinaia di caccia e caccia-bombardieri, che bombardarono e mitragliarono ogni possibile obbiettivo sul fronte e sulle retrovie. I civili, che ancora riuscivano a vivere in paesi e cittadine prossimi al fronte, fuggirono sulle montagne.
Un’ora prima dell’attacco fu effettuato un bombardamento d’artiglieria con l’apporto di circa 1.200 bocche da fuoco, che colpì le linee nemiche e le retrovie del fronte: l’opera di spianamento toccò tutti i paesi più vicini, seminando rovine su rovine.
Nel corso di questa colossale operazione, mentre i polacchi si dissanguavano nel tentativo di raggiungere l’Abbazia di Montecassino, inglesi, indiani e canadesi iniziarono la loro spinta nella Valle del Liri e gli americani avanzarono lungo la costa tirrenica. La punta di lancia fu costituita dal C.E.F., “Corps Expéditionnaire Français en Italie”, con le sue tre divisioni nordafricane, la divisione Francia Libera, composta in gran parte da truppe senegalesi, ed i famosi “goumiers” marocchini, che avanzarono sui monti Aurunci.
La progressione delle truppe alleate si svolse attraverso un territorio sconvolto dai bombardamenti, attraverso un’incredibile immagine di morte e di rovine: Sant’Angelo a Theodice, Sant’Ambrogio sul Garigliano, Sant’Apollinare, San Giorgio a Liri, Piedimonte San Germano, Aquino, Roccasecca, Pontecorvo, lungo la Valle del Liri, fino a Frosinone e oltre; Spigno, Castelforte, Ausonia, Esperia, Monticelli, San Oliva, Pico, sotto i monti Aurunci; Minturno, Santa Maria Infante, Formia, Itri, Fondi, nella fascia tirrenica.
L’elenco sarebbe ancora lungo, ma l’avanzata si svolse attraverso un mare di rovine.

E i civili? All’arrivo delle truppe alleate, uscirono dai nascondigli e cercarono di tornare nei paesi dai loro rifugi, incontrando le colonne alleate immerse nel polverone che salivano verso Roma. Sporchi, gli abiti a brandelli, gli occhi sbarrati dalla stanchezza e dalla paura, cercarono di tornare nelle loro case che non esistevano più. Molti ebbero un primo aiuto dai soldati alleati, ma altri...

Da Esperia, antico e severo paese della Terra di Lavoro, una stretta strada in terra battuta, dopo aver superato un orrido dantesco scavato per secoli nella montagna dal Rio Pòlleca, raggiunge un falsopiano immerso fra le montagne ad una quota di circa 500 metri. Di una bellezza incomparabile, rigogliosa di fiori e di verde, oggi la valle, con i suoi cavalli bradi, è stata inserita in un parco naturale della Regione Lazio.
Nel 1944 la valle del Rio Pòlleca fu considerata da migliaia di persone quanto di meglio si potesse trovare per sfuggire alla guerra che incalzava ed alle razzie dei tedeschi.
Provenienti da Esperia, ma anche da tanti altri paesi e città dei dintorni, migliaia di civili, in prevalenza anziani, donne e bambini, si sistemarono nei “pagliari”, piccole costruzioni, composte da un muretto di pietre a secco, sul quale si poggiavano dei rami ricoperti di foglie e “stramma”, una sorta di saggina che riparava dalle intemperie.
Nella notte fra l’11 ed il 12 maggio 1944 furono svegliati dall’immenso fragore del bombardamento ed il cielo, al di là delle montagne verso il Garigliano, si illuminò a giorno. Capirono immediatamente che stava per succedere qualcosa di grande e che si era arrivati alla fase finale della battaglia. Gli americani, così credevano, sarebbero giunti ben presto.
Nel corso della giornata del 15, dei paesani, avendo visto dei movimenti sulla montagna in direzione di Spigno, affermarono che stavano per arrivare gli americani e si precipitarono a cercare il marito della levatrice che parlava inglese. Si formò un gruppo di circa una ventina di persone, che andò incontro ai soldati. Erano circa le cinque del pomeriggio quando si imbatterono in un centinaio di militari, vestiti nel modo più strano: indossavano una specie di saio da frate con il cappuccio; in testa portavano un elmetto piatto, come quello inglese, al di sopra di un turbante; non portavano scarpe, ma sandali di cuoio. Ne furono molto sorpresi, perché non capivano che razza di soldati americani potessero essere. Incutevano paura, erano sporchi, trasandati, ma anche minacciosi con i fucili puntati e dei coltellacci infilati nei cinturoni, che davano loro un’aria da predoni.
Un graduato chiese se qualcuno parlasse francese, lingua che uno del gruppo per fortuna conosceva, e vennero così a sapere che erano marocchini dell’esercito francese. Chiesero se c’erano ancora dei tedeschi in giro e se ne andarono. [8]
Il 16 maggio, ne arrivarono un migliaio: sempre quelli con il saio, il cappuccio e i sandali, che presero a rastrellare le montagne e la valle. Rubarono tutto con violenza e prepotenza: bestiame, denaro, oggetti preziosi, ma anche biancheria, vasellame, suppellettili. Molte donne furono prese e trascinate con la forza… Tutto ciò accadde dopo mesi di sofferenze e privazioni.

La manovra, che colse senza dubbio di sorpresa i tedeschi, fu compiuta da un corpo speciale, appositamente creato con la 4a divisione da montagna marocchina e con tutti e tre i “Groupements de Tabors Marocains”. Dopo la presa di Spigno da parte degli americani, “goumiers” e “tirailleurs” marocchini scalarono il monte Petrella (1.533 m.), in una zona priva di strade e mulattiere attraverso i monti Aurunci, priva di difese tedesche, spuntando così nella valle del Rio Pòlleca, risalendo sul monte Révole (1.285), per puntare sul monte Faggeto (1.256 m.) e guadagnare la strada Itri-Pico, alle spalle delle difese tedesche. Fu una brillante operazione militare, pagata però a caro prezzo dalla popolazione civile.

La capacità dimostrata dai “goumiers” di muoversi in un territorio selvaggio ad una velocità incredibile sorprese tutti, alleati e nemici.
Strani guerrieri, portati dalle loro montagne dell’Atlante a combattere in Italia.
Un loro ufficiale, Pierre Lyautey, nipote del famoso maresciallo di Francia, così descrive un loro attacco in un libro di memorie, letterariamente affascinante, uscito a Parigi nel 1945:

Ma, ecco vicino al Monte Crispi una buona decina di piccole fattorie. Per la prima volta dopo otto giorni vediamo dei polli, delle capre, degli asinelli. I nostri goumiers ridono come dei bambini al rivedere questa civiltà campestre dopo il deserto del Petrella. Il “boche” è sulla cresta. Un tenente guida all’assalto la sua sezione al grido di: Ya Allah, Ya Allah.
Un gruppo da combattimento si lancia in avanti. Gli uomini emettono grandi urla e caricano baionetta in canna. Con la mano destra impugnano il fucile, con la sinistra spiumano correndo una gallina viva, legata al cinturone. Sguardi di fuoco. Denti bianchi pronti a mordere. Altri portano il fucile a tracolla e impugnano i loro coltelli scintillanti al sole.
La sezione di supporto si lancia a sua volta. Ma gli uomini hanno affidato i loro tascapane e i mortai a delle asine, a degli asinelli che trottano trascinati. Spaventati dal trambusto, degli agnelli seguono al galoppo. Nessuno si prende la pena di sgozzarli. Le mitragliatrici tedesche se ne incaricano. Gli uomini allora se ne impadroniscono, li infilano nella loro “djellaba”.
[9]

Descrizione quanto mai inebriante di un attacco alle linee nemiche, ma quelle dieci “piccole fattorie” erano state saccheggiate. E gli abitanti delle dieci piccole fattorie? L’autore non ne parla, salvo aggiungere, poche pagine dopo, che il comando deve intervenire con severe misure di repressione per far finire il fenomeno del saccheggio indiscriminato.
Strani guerrieri, abituati ad operare in Marocco come forze di polizia e di dissuasione fin dal 1908, portandosi dietro le famiglie, il bestiame e le tende. Quando, nell’ottobre 1943, i comandi francesi avevano deciso di mandarli in Corsica - territorio nazionale francese - il loro comandante, l’allora colonnello Guillaume, scrisse della necessità di farli seguire da un “Bordel Militaire de Campagne”. In una lettera del 17 novembre 1943 si rivolse ai comandi superiori:

Fin dalla fine dei combattimenti, il morale dei goumiers allontanati dal proprio ambiente, ha beneficiato della presenza di donne presso le quali è costume di occupare il tempo libero.
Resta ben inteso che i comandanti delle unità hanno fatto osservare che l’accesso al B.M.C. fosse riservato esclusivamente ai goumiers e che la sua presenza non fosse pretesto a nessuna manifestazione che avesse potuto creare scandalo. In particolare, alle donne autorizzate a circolare è stato posto l’obbligo di uscire velate e di mantenere una tenuta corretta.
In conseguenza, ho l’onore di chiedere di regolarizzare questa situazione, autorizzando i Tabors a conservare il loro B.M.C. quando saranno chiamati su un teatro d’operazione esterno.
L’inconveniente che qualche spirito mal informato può vedervi è infinitamente meno grave del rischio di vedere i goumiers cercare la soddisfazione dei loro istinti naturali nella prostituzione locale, ufficiale e clandestina.
[10]

Quando arrivarono in Italia, nel dicembre del 1943, crearono pur qualche problema, se i primi casi di stupro, verificatisi in paesini sperduti sulle montagne dell’Abruzzo, vennero denunciati al governo militare alleato già l’11 dicembre, il giorno stesso della loro entrata in linea. [11]
Si ripeterono altri casi e i comandi presero la decisione di ricostituire il B.M.C. Fra il gennaio e l’aprile 1944, arrivarono in Italia 171 professioniste marocchine, quelle che Pierre Lyautey ci tramanda come “dames de compagnie des Marocains”, con sede a Venafro.
Un tenente, che probabilmente assistette a qualche caso poco edificante, inviò al proprio comando questo rapporto: “Senza l’arrivo di queste prostitute c’è il rischio dello sviluppo fra i Tirailleurs di tendenze molto forti alla pederastia già frequente in tempi normali, della prostituzione clandestina con rischio di espansione delle malattie veneree e degli stupri, che, in relazione all’arrivo nel paese relativamente recente degli indigeni non sono ancora molto frequenti.” [12]
Alla stessa data di quella lettera, il 1 marzo 1944, il colonnello Kirk Bradlus, Provost Marshal, aveva inidirizzato un rapporto sulla condotta delle truppe indigene al Judge Advocate della 5a Armata, reclamando sanzioni contro soldati nordafricani, colpevoli di otto stupri, quattro tentativi di stupro e 15 casi di furto, nel periodo fra il 6 gennaio ed il 17 febbraio. [13]

L’11 maggio 1944, il giorno dell’inizio dell’attacco generale, il generale Juin indirizzò un vibrante ordine del giorno alle proprie truppe:

Combattenti francesi dell’armata d’Italia, inizia oggi una grande battaglia, la cui sorte può accelerare la vittoria definitiva e la liberazione della nostra patria. La lotta sarà generale, implacabile, e condotta fino all’ultima energia. Chiamati dall’onore di portare i nostri colori, voi vincerete, come avete già vinto, pensando alla Francia martire che vi attende e vi guarda. Avanti!” [14]

E’ appena il caso di accennare che il preteso ordine del giorno, con il quale il generale Juin avrebbe concesso 50 ore da dedicare al saccheggio ed alle violenze carnali, è frutto della fantasia di un giornalista italiano, che ne pubblicò un testo, inventato di sana pianta, negli anni Sessanta. Nessun generale francese avr italiani o tendono a sminuirne la portata, la situazione si era fatta così pesante che il 24 maggio, nel pieno corso dell’offensiva, lo stesso Juin, a seguito delle proteste che piovevano al suo comando, emanò la seguente nota di servizio:

Sono stati commessi degli atti di banditismo. I furti a mano armata e gli stupri hanno turbato le popolazioni del fronte che se ne lagnano amaramente con le autorità alleate.
C’è evidentemente dell’esagerazione, ma dei tali fatti rischiano di gettare discredito su un’armata composta in maggior parte da elementi coloniali.
Quanto severi possano essere i nostri sentimenti verso una nazione che ha attaccato a tradimento la Francia, ciò che importa è di conservare la dignità.
L’esercito francese si è guadagnato il rispetto di tutti sui campi di battaglia d’Italia. Gli è facile aumentare questa reputazione, mantenendo l’attitudine che conviene, in un paese conquistato, nei confronti di una popolazione che prova in questo momento i mali più spaventosi della guerra e la cui situazione è pietosa agli occhi dei nostri Alleati che ne hanno la conduzione amministrativa.
I generali di divisione ed il generale comandante dei Goums prenderanno, senza ritardo, tutte le misure che s’impongono per far cessare tutti gli atti riprovevoli verso la morale e la dignità del vincitore.
[15]

L’unico generale che distribuì il testo ai suoi subordinati fu il generale Dody, comandante della 2a divisione di fanteria marocchina, con questo commento:

I fatti segnalati dal generale d’armata comandante del C.E.F. non devono riprodursi nelle unità di questa divisione. Sono contrari alla disciplina e i comandanti li devono perseguire in maniera esemplare. [16]

Persino il presidente del consiglio italiano, il maresciallo Badoglio, il 24 maggio aveva inviato una lettera di protesta alla commissione alleata di controllo. [17]
Il 26 maggio 1944, il segretario agli Esteri, Renato Prunas Tola, redasse un nuovo appunto per il maresciallo Badoglio nel quale scrisse di essersi intrattenuto lungamente con il rappresentante francese nella commissione di controllo, de Panafieu sulla questione delle atrocità commesse da truppe marocchine sul fronte italiano. Questi spiegò che

... si trattava di truppe che non era mai stato possibile, nonostante ogni sforzo, sottomettere alla necessaria disciplina” e che ne avrebbe parlato con il generale Juin il giorno successivo. Il 3 giugno, Panafieu comunicò a Prunas Tola che “il generale Juin è stato particolarmente dolente di apprendere degli incidenti gravi provocati da parte delle truppe marocchine ai danni di alcune popolazioni civili italiane. Egli tiene a far sapere che ordini severissimi sono stati dati per impedire l’eventuale ripetersi di fatti del genere, e che sanzioni draconiane sono state senz’altro adottate. Parecchie esecuzioni e fucilazioni sono state infatti eseguite, senza neanche sommario giudizio, degli elementi più torbidi o pericolosi. [18]

Sulla maggiore responsabilità dei “goumiers” marocchini resta qualche perplessità: in base alle sentenze emesse dai tribunali di guerra francesi durante la campagna d’Italia, i reati contestati (omicidio, stupro, anche su minori di 15 anni, furto aggravato, furto continuato ecc.) sono infatti a carico di militari, sottufficiali e soldati, di tutte le unità del C.E.F.
Sebbene fosse di generale conoscenza il fatto che i goumiers fossero responsabili di stupri e saccheggi, il generale Guillaume, loro comandante, propose un’inchiesta per determinare l’identità dei veri colpevoli, affermando che i responsabili erano in realtà le truppe dei servizi di retrovia, o forse i tirailleurs, o anche bande di disertori, chiunque salvo i suoi goumiers. Ma pronosticò che tutto sarebbe cambiato con un sostanziale incremento dei quadri francesi che sarebbero stati così capaci di mantenere la più stretta disciplina fra i tabors. In altre parole, come osserva uno storico americano, i goumiers non lo avevano fatto, ma avrebbero potuto farlo! [19]

E’ impossibile calcolare il numero delle vittime delle violenze: certamente non quello di 60.000, indicato da alcune fonti italiane, troppo interessate a speculare su quelle tristi vicende, ma certamente nemmeno di 6 o 7 casi, così come si afferma in alcune fonti francesi!

Il passaggio del fronte in zone a prevalente attività agricola ebbe, tra le altre conseguenze, quella, gravissima, di interrompere ogni lavoro nelle campagne. L’eredità che lasciava il passaggio della guerra era di ettari di uliveti distrutti dai bombardamenti e dagli incendi, così come nel caso delle vigne e dei boschi, di campi pieni di crateri scavati dalle esplosioni. I tedeschi avevano poi lasciato milioni di mine, anticarro e antiuomo, disseminate ovunque, che insieme agli ordigni di tutti i generi giacenti inesplosi, inibirono qualsiasi lavoro nei campi. Malgrado l’opera di bonifica, iniziata nell’estate 1944 da sminatori italiani, si può affermare che, a seconda delle zone, si persero i raccolti di una o persino due annate agricole.

Subito dopo la liberazione di Roma, l’avanzata alleata proseguì dapprima con relativa facilità, mentre l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale venne calamitata dalle notizie sullo sbarco in Normandia.
I tedeschi si ritirarono rapidamente su una nuova linea difensiva per riorganizzare le proprie truppe, fidando nelle difficoltà logistiche che avrebbero rallentato l’avanzata alleata e provvedendo ad una distruzione radicale di strade e ferrovie.
Dal 20 giugno le armate alleate si trovarono di fronte alla nuova linea di difesa del lago Trasimeno, dal fiume Ombrone alla valle di Norcia, da Chiusi a sud di Ancona, sul fiume Chienti.
Il piano alleato prevedeva lo schieramento della 5a Armata americana lungo le statali 1 e 2, mentre l’8a Armata britannica avrebbe continuato la sua marcia lungo le statali 3 e 4, con il corpo polacco nel settore adriatico.
I combattimenti per superare la linea del Trasimeno durarono dal 20 al 30 giugno, giorno nel quale i tedeschi cominciarono a ritirarsi, ed il 3 luglio gli alleati entrarono in Siena tra le entusiastiche acclamazioni dell’intera cittadinanza. [20]
A nord del Trasimeno i tedeschi adottarono la vecchia tattica di retrocedere attraverso una serie di posizioni secondarie ritardatrici, finché non avessero raggiunto l’Arno, sul quale avrebbero opposto l’ultima resistenza prima di riprendere a retrocedere lentamente sulla Linea Gotica, dove speravano di trattenere gli Alleati durante l’inverno.
Il 5 luglio i tedeschi si fermarono su una nuova linea difensiva, da Cecina e Volterra sul versante tirrenico, fino a pochi chilometri a sud di Ancona, su quello adriatico, riprendendo a ritirarsi combattendo dal 15 luglio. Il 17 Livorno fu conquistata dagli americani ed il 18 Ancona fu raggiunta dal corpo polacco: due obbiettivi strategici che consentirono di trasferire in parte il traffico marittimo dai porti di Napoli, Taranto e Bari, con grandissimo vantaggio per i rifornimenti.

Nel corso del luglio 1944 intervennero però due fattori che ebbero gravi conseguenze sulla campagna d’Italia: ai massimi vertici dei comandi alleati divenne definitiva la decisione di effettuare lo sbarco in Provenza, l’operazione “Anvil” o “Dragoon”, decisa per il 15 agosto, e di conseguenza di bocciare ogni idea di un intervento in Jugoslavia o sulla frontiera italo-jugoslava.
Fin dal 2 luglio fu ritirato dal fronte italiano il VI corpo d’armata americano e dalla metà del mese iniziò il ritiro del corpo di spedizione francese: in totale sette divisioni di fanteria, più i Tabors marocchini; seguirono molti reparti logistici della 5a Armata e, fatto ancora più grave, il 70 per cento delle forze aeree americane impegnate in Italia.

Ai primi di agosto, i tedeschi si ritirarono dietro la linea dell’Arno, tra Pisa, Firenze ed il fiume Metauro sulla costa adriatica, forti dell’arrivo sul fronte italiano di nuove unità di rinforzo.
Sia per razionalizzare il sistema logistico delle due Armate dopo la conquista dei porti di Livorno e di Ancona, sia per migliorare il sistema di comando, il generale Alexander, comandante del 15° gruppo d’armate, decise di procedere al rinnovo dello schieramento delle proprie truppe. Alla 5a Armata americana fu affidato il settore tirrenico, all’8a armata britannica quello adriatico. I complessi spostamenti necessari durarono circa due settimane e la stessa strategia generale fu variata, pensando che ad un attacco di una delle due armate, i tedeschi avrebbero dovuto distogliere truppe dai settori più tranquilli, che sarebbero stati attaccati a loro volta.
Il 25 agosto ebbe inizio l’operazione “Olive”, sulla quale si fondarono molte speranze. Nei primi giorni dell’offensiva fu intaccata la Linea Gotica sul fiume Foglia, sfondata in quel settore dal 3 settembre, ma L’8a Armata trovò un importante ostacolo nelle difese tedesche disposte sulle alture di Coriano, a sud di Rimini. Ne nacque una battaglia che provocò ingenti perdite in uomini e materiali, che terminò il 21 settembre con la conquista della nota cittadina balneare, ridotta ad un cumulo di macerie. Ad aggravare la situazione, come già era successo sul Sangro nell’autunno precedente, cominciò a piovere senza pietà, provocando la paralisi dei rifornimenti. Nel settore tirrenico, la 5a Armata aveva raggiunto Pisa, il 2 settembre, Lucca, il 6, e Pistoia il 12. I tedeschi si ritirarono lentamente sui passi appenninici.
L’offensiva americana riprese il 10 settembre con l’attacco al passo del Giogo, dove le difese tedesche crollarono, e il 21 fu raggiunto il passo della Futa ed il 27 il monte Battaglia, sulla via di Bologna. Anche per gli americani però si crearono tali problemi di natura logistica a causa delle piogge dirotte, che l’offensiva venne sospesa.
I tentativi di sfondare definitivamente la Linea Gotica, furono ripresi dalla 5a Armata il 2 ottobre lungo la strada statale 65, nel tentativo di scendere sulla via Emilia, alle spalle del dispositivo di difesa tedesco di fronte all’8a Armata. Dopo asperrimi combattimenti, il 20 ottobre fu occupato il Monte Grande ed il 23 il Monte Belmonte, a soli 15 chilometri da Bologna, ma il 27 le operazioni vennero sospese, sotto un diluvio universale.
L’8a Armata, superato l’ostacolo di Coirano, avanzò ancora, trovando altrettante linee di difesa tedesche, quanti erano i fiumi e i torrenti da attraversare. Le operazioni continuarono stancamente fino ai primi di dicembre, dopo che i canadesi erano entrati a Ravenna e quando i polacchi raggiunsero la periferia di Faenza.
Nel corso del mese, il fronte, sotto un diluvio di pioggia, si fermò sulle sponde del fiume Senio.

Da Roma all’Arno, controllando ancora una cartina del 1930, corrono circa 250 chilometri. Roma era stata liberata il 4 giugno 1944 e gli alleati giunsero all’Arno nei primi giorni di agosto: due mesi, a fronte degli otto fra Napoli e Roma.
Il fatto che la progressione alleata sia stata assai più veloce che nei mesi precedenti e che i tedeschi abbiano lasciato volontariamente larghe fasce di terreno, ha certamente rappresentato un grosso vantaggio per i civili, ma i danni della guerra furono comunque ingenti.
Alcune città, come Ancona e Livorno, subirono pesanti bombardamenti aerei prima della loro liberazione; Rimini, come molti paesi all’intorno, fu letteralmente rasa al suolo non solo dalle incursioni aeree che subì nel settembre 1944, quando divenne immediata retrovia del fronte, ma anche per i combattimenti che si svolsero tra le case.
La tattica tedesca delle linee di resistenza successive risparmiò sicuramente molte rovine ai paesi e cittadine dove non si svolsero combattimenti, ma i tedeschi in ritirata provocarono enormi distruzioni nel tentativo di ritardare l’avanzata alleata. In alcuni paesi dell’Appennino non esitarono a minare e far esplodere i caseggiati di intere vie o strade, pur di interrompere le vie di comunicazione.
L’avanzata alleata fu anche caratterizzata dalla presenza di sempre più numerose ed organizzate formazioni di partigiani italiani, alcune delle quali parteciparono attivamente alla liberazione di città, come nei casi di Firenze e Ravenna, nella conquista di obbiettivi militari come nel caso del Monte Grande, oppure si aggregarono a reparti alleati per tutta la durata della campagna, come le bande della Maiella, che seguirono il corpo polacco fino a Bologna.
Purtroppo l’avanzata alleata corrispose anche a terribili rappresaglie contro civili inermi da parte tedesca. Alla sola 16a divisione corazzata SS “Reichsführer” vanno ascritte più di 2.000 vittime: le stragi più note sono quelle di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto.

Per quanto riguarda le vittime civili italiane è impossibile fornire una cifra esatta, mancando i dati di numerosi comuni sparsi in tutte le regioni interessate dal passaggio del fronte. E’ inoltre talvolta difficile distinguere i motivi della causa di morte: rappresaglie tedesche, bombardamenti o incidenti dovuti a scoppio di mine od ordigni esplosivi.

Ovunque, quando tacquero le armi, si presentò uno spettacolo desolante:

Spazi vuoti al posto di tante belle e antiche case, dal castello a San Francesco, dal vicolo Giovinazzi (S. Lucia) al Paolozzi, alla strada stretta e verso il cimitero. Luoghi e siti scomposti, muri sberciati, travature sporgenti da tetti bucati. E negli orti, negli spiazzi, in campagna: buche enormi piene d’acqua, qua e là copertoni bruciati, scheletri di alberi. Un cannone abbandonato nei campi, un affusto abbandonato nel fango, un carro armato sgangherato ai margini d’una strada. E dovunque, porte sfondate e le facciate delle case con i segni indelebili della mitraglia. E facce che mi sembravano note ma che non riuscivo ad identificare, perché scavate dalle sofferenze del lungo inverno e che si acconciavano a vivere sotto un solaio senza tetto, con cartoni e giornali ai balconi o alle finestre in luogo dei vetri per ripararsi dal freddo e dalle intemperie. [21]

Note

  1. ^ G. Chianese, “Quando uscimmo dai rifugi”, il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943-1944), Caroni, Roma 2004; G. Gribaudi, Guerra Totale, tra bombe alleate e violenze naziste, Napoli e il fronte meridionale 1940-1944, Bollati Boringhieri, Torino 2005; per quanto riguarda la guerra ed il dopoguerra nel Frusinate cfr. Costantino Jadecola, Linea Gustav, Centro di Studi Sorani “V. Patriarca”, Sora, 1994; Mal’aria, Il secondo dopoguerra in provincia di Frosinone, Centro di Studi Sorani “V. Patriarca”, Sora, 1998; sulla storia della guerra in Abruzzo si segnala l’opera di Giovanni Artese, La guerra in Abruzzo e Molise, 1943-1944, 3 Vol., Edigrafital, Teramo, 1998.
  2. ^ Tommaso Baris, Tra due fuochi, Esperienza e memoria della guerra lungo la Linea Gustav, Laterza, Bari 2003.
  3. ^ I casi di uccisioni di civili, isolati o in gruppi, da parte di soldati tedeschi furono numerosi. Si citano, ad esempio, oltre al noto episodio di Caiazzo, la terribile strage di Pietransieri, paese della Valle del Sangro, avvenuto il 21 novembre 1943 con 114 vittime, delle quali 31 bambini o quella di Collelungo, località a ridosso della Catenella delle Mainarde, sulla quale grava ancora oggi il mistero sugli autori, dove il 12 dicembre 1943 vennero uccisi 46 civili fra i quali una bambina di quattro mesi, fuggiti dal paese di Vallerotonda.
  4. ^ Si possono citare, a mero titolo di esempio, i paesi di San Pietro Infine, Cervaro e San Vittore del Lazio, posti lungo la Via Casilina, in prossimità della stretta di Mignano, o i paesi di Lagone, Conca Casale e Cardito, lungo le strade che dalla Valle del Volturno portano a quella del Rapido: tutti interamente distrutti.
  5. ^ Luigi Manfellotto, Acquafondata nell’ultimo conflitto mondiale, Cassino 2003.
  6. ^ La 3a divisione di fanteria algerina era composta dal 3° e 7° reggimento Tirailleurs Algériens, dal 4° reggimento Tirailleurs Tunisiens, dal 3° reggimento Spahis Algériens e dal 67° reggimento Artillerie d’Afrique. Con la divisione era sbarcato in Italia il 3° Groupement de Tabors Marocains.
  7. ^ La storia, del tutto inventata, dei mitragliamenti degli aerei italiani è una costante nelle accuse mosse al nostro paese, che emerge di tanto in tanto ancora oggi su qualche giornale o rivista francese. Cfr. S. Salvini, Le Mythe de l’aviation italienne en France sur les routes de l’exode en juin 1940, Paris 1997.
  8. ^ Testimonianza del dottor Luigi Marolda, Esperia, 26 aprile 2005. La conca di Pòlleca è indicata nell’ordine segreto d’operazioni del 26 aprile 1944 del generale Juin, comandante del C.E.F., come “place d’armes” per le operazioni della 4a divisione da montagna marocchina. Cfr. Alphonse-Pierre Juin, La campagne d’Italie, Ed. Victor 1962.
  9. ^ Pierre Lyautey, La campagne d’Italie 1944, Souvenirs d’un goumier, Plon, Paris 1945, pag. 61. La djellaba è il mantello tipico di questi guerrieri.
  10. ^ Lettera n. 3527 bis/CGM del 17 novembre 1943, in Paul Gaujac, Les Goums dans les Abruzzes, in Militaria, n. 219, ottobre 2003. Nella lettera si raccomandava che l’effettivo fosse di 15-20 donne per Tabor e che il B.M.C. fosse unito ad un café maure, dotato di stuoie, teiere, fonografo con dischi arabi ecc.
  11. ^ Jran-Christophe Notin, La campagne d’Italie, Les victoires oubliées de la France, Perrin, 2002, pag. 178.
  12. ^ Rapporto del tenente T., 2 marzo 1944, in Jean-Cristophe Notin, La campagne d’Italie, Cit., pag. 308.
  13. ^ Jean-Cristophe Notin, La campagne d’Italie, Cit., pag 308.
  14. ^ Jean-Cristophe Notin, La campagne d’Italie, Cit., pag 352.
  15. ^ Nota di Servizio n. 5684 CEF/1 del 24 maggio 1944, in Paul Gaujac, Le Corps Expéditionnaire Français en Italie, Histoire et Collections, Paris, 2004, pag. 43 e in Jean-Cristophe Notin, Cit., pag 408.
  16. ^ Nota di servizio n. 3782 del 29.5.1944, in Paul Gaujac, Le Corps Expéditionnaire Français en Italie, Cit., pag. 43.
  17. ^ Lettera del 24 maggio 1944, citata in Tommaso Baris, Cit., nota 19, pag. 207. Il 30 giugno 1944 il Papa Pio XII durante un’udienza privata si lagnò del comportamento dei marocchini con lo stesso generale De Gaulle, che rimase inorridito. Se ne lamentò con il generale Guillaume, comandante dei Tabors, definendo i suoi uomini dei “sauvages”, pretendendo, senza peraltro riuscirci, che fossero rinviati in Marocco. Cfr. Auguste Guillaume, Homme de Guerre, France-Empire, Paris, 1977.
  18. ^ Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, decima serie: 1943-1948, Vol. I, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1992., pag. 285.
  19. ^ Cfr. Auguste Guillaume, Homme de Guerre, France-Empire, Paris, 1977; Edward L. Bimberg, The Moroccan Goums, Tribal Warriors in a Modern War, Greenwood Press, 1999.
  20. ^ Con una sapiente operazione di immagine, i francesi fecero entrare per primo in Siena un battaglione del 4° reggimento tirailleurs tunisiens, unità irreprensibile, seguito dagli altri reparti della 3a divisione di fanteria algerina, suscitando non poche proteste nei comandi delle unità marocchine. Dal 17 al 20 giugno 1944, un corpo speciale francese, composto in maggioranza da soldati senegalesi e nordafricani, aveva conquistato l’isola d’Elba.
  21. ^ Mario Izzi De Vincolis, Ai margini della Linea Gustav, in Fernando Riccardi, Il martirologio di Roccasecca, Amministrazione comunale di Roccasecca (Frosinone), 2004.

Tratto da Eric Gobetti, a cura di, 1943-1945, La lunga Liberazione, Franco Angeli Ed., Milano 2007.

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