I PARACADUTISTI TEDESCHI
Data: 12-04-2001Autore: LUDWIG SEBASTIAN HEILMANNCategorie: SpigolatureTag: #post war, fallschirmjäger, germania, unità-reparti

Per gentile concessione della Signora Crete Heilmann, estratto da: "Der Deutsche Fallschirmjager", Aprile 1952

I PARACADUTISTI TEDESCHI

Non era stata concessa una sola nottata di riposo ai paracadutisti della 1ª Divisione, quando furono tratti dal settore di Ortona. Un nuovo punto focale si stava sviluppando a Cassino. L'ordine per noi era di tenere Cassino a qualsiasi costo.

Quando, al primo mattino del 15 marzo 1944, il generale Heidrich si recò ad ispezionare il 3° Reggimento paracadutisti, non poteva immaginare che di là, dall'altra parte del fronte, anche il generale Alexander si trovava nella zona della battaglia. Erano quasi le 8 ed io, nel mio posto tattico, informavo il generale Heidrich sulla situazione, allorché ebbe luogo una serie di detonazioni che scosse il ricovero. Dapprima non ci preoccupammo di ciò, ma quando il fatto si ripete, ci guardammo intorno con attenzione. Di nuovo volava via su di noi un'ondata di bombardieri. Il tappeto si stava srotolando al di sopra della città di Cassino ed ora un'ondata seguiva rapidamente l'altra. Gli Inglesi riferirono più tardi che erano cadute sul posto 2500 tonnellate di bombe. Praticamente, doveva essersi estinta ogni forma di vita. E questo supponevano anche i Neozelandesi quando, dopo un supplementare fuoco di preparazione di artiglieria, montarono sulle rovine con l'intento di raggiungere la via Casilina (Strada Statale n.6). Ma il loro tentativo soffocò nel fuoco di sbarramento del Battaglione Foltin.

Il capitano Rennecke, mio aiutante, assunse il comando del II Battaglione; tutte le armi pesanti della Divisione furono impiegate nel campo principale della battaglia. In giornata si pervenne a durissimi combattimenti all'interno ed attorno alle rovine della città. Ma il nemico non passò. Dietro alle macerie tenevano duro comandanti sperimentati di truppe d'assalto, come il comandante di avamposti Neuhoff, che con i suoi uomini non potevano essere sopraffatti con facilità. Mentre a Cassino i combattimenti si erano notevolmente estesi, nel campo principale della battaglia avvenne un mutamento. Le armi pesanti e l'artiglieria sviluppavano gradualmente la loro attività. Fu una grande fortuna che il Comando delle divisioni fosse sul davanti all'inizio dell'attacco. L'intera artiglieria divisionale ricevette subito dei compiti precisi. Questo non era più tanto semplice al sesto anno di guerra. La nostra truppa, che così copiosamente era affluita ai punti cruciali, cominciò direttamente a sentire in maniera piuttosto dura la superiorità materiale dell'avversario.

Qui, a Cassino, mi proposi molto seriamente di vincere la battaglia con l'artiglieria. Sapevo benissimo che i miei pochi uomini, anche con la massima volontà e bravura, non avrebbero potuto vincere da soli. Avevo già mandato verso Cassino i miei comandanti migliori e più sperimentati. Il capitano Rennecke, mio aiutante, svolse benissimo la sua parte. Ma io volevo decidere la battaglia con un combattimento di fuoco e, questa volta, la fortuna mi fu propizia. Senza tener conto di nessuna obiezione, pretesi dall'artiglieria un impiego senza riguardi di munizioni. Volevo avere il fuoco nei supposti punti di concentramento del nemico; i miei ragazzi dovevano soprattutto sapere di avere ancora qualcuno dietro di essi. Cominciò così una lotta sulla superiorità di fuoco, come ben di rado si è mandato ad effetto in questa guerra. La battaglia intorno a Cassino infuriava già da mesi e l'artiglieria avversaria lavorava con precisione sempre maggiore. Ogni bersaglio noto o supposto nel nostro campo principale di battaglia fu preso di mira. La "Gustav di ferro" girava indisturbata da mane a sera sopra le nostre posizioni. Di giorno si doveva sbriciolare tutto; di giorno questo, e di notte un fuoco ininterrotto di interdizione ed imponenti fuochi improvvisi di sorpresa che rendevano quasi impossibile il rifornimento delle truppe. Non era nemmeno possibile raccogliere i feriti. Una volta si dovette emanare l'ordine di andarli a prendere di giorno con i veicoli corazzati provvisti, logicamente, di bandiere con la croce rossa applicata sopra e bene in vista. Purtroppo questa misura di emergenza fu fraintesa dall'altra parte e già durante le operazioni di battaglia, ma ancor di più dopo il crollo, essa costituì motivo per ingiuste accuse. Certamente era difficile da comprendere come la truppa tedesca potesse ricevere ancora dei rifornimenti. Ma notte per notte gli automezzi corazzati sostavano sulla via Casilina fino al posto di rifornimento. Pesantemente caricati, i portatori andavano correndo sulla roccia scoperta, si facevano strada a salti tra un cratere e l'altro e poi arrivavano esausti ma trionfanti davanti ai loro camerati. In questi giorni ci fu una comune generosa rivalità giurata in seno alla 1ª Divisione paracadutisti. Ognuno dava il meglio di se stesso.

Erano dei puri guerrieri sperimentati, che passavano da un grosso impiego ad un altro.

Con questa comunanza di sforzi il giuoco di destrezza era così pervenuto ad ottenere, almeno temporaneamente, la superiorità di fuoco. L'azione procedeva nel seguente modo: l'ufficiale di collegamento con l'artiglieria al posto tattico del 3° Reggimento paracadutisti portava con grande abilità, e utilizzando tutti i mezzi possibili di informazione, i reparti di artiglieria sempre più avanti sulla linea di fuoco. Si arrivò perfino ad intercalarli con l'artiglieria della Divisione vicina. Gli osservatori dell'artiglieria e delle armi pesanti si trovavano su Monte Cassino ed avevano lì un'eccellente posto di osservazione. Le Compagnie armi pesanti e le batterie della Divisione erano raggruppate insieme e accoppiate l'una con l'altra. Le mitragliatrici pesanti facevano uso di postazioni coperte, il che, in precedenza, era stato alquanto trascurato. Il piano di fuoco si estendeva infine a quasi tutte le armi a disposizione; gli stessi fucilieri e lanciatori di granate a mano avevano il loro preordinato compito d'impiego. Innanzi tutto, però, aveva valore il combattere l'artiglieria nemica, ma per questo ci mancavano i mezzi, un reparto di osservazione e munizioni sufficienti. Qui si doveva approntare un aiuto efficiente. Al Comando, una sezione da 88 si dichiarò pronta: le batterie erano riconosciute idonee per combattere. Anche l'effetto non mancò. Subito dopo l'impiego di questa sezione, il fuoco nemico diminuì sensibilmente. Tuttavia, non riuscimmo ad acchiappare le sue batterie che coprivano così il nostro 71° Reggimento puntatori. Infatti, appena i nostri puntatori avevano sparato, quelle batterie rispondevano con tale rapidità che i serventi avevano appena il tempo di raggiungere i loro ricoveri. Essi avevano tanto collaborato con tutti che noi, ancora per un giorno, possedevamo la superiorità di fuoco. Dall'altra parte non poteva essere eseguito poco più di un movimento che non fosse subito preso da noi, sotto il nostro fuoco. Adesso l'avversario cominciava ad occultarsi.

Più di una volta dopo l'attacco con i bombardieri, Cassino sembrava perduto. Sempre di nuovo si veniva al combattimento vicino all'Hotel Excelsior. Al 22 marzo la situazione pareva senza speranza. Sul pendio di Monte Cassino, un battaglione indiano dominava con il fuoco la Via Casilina e minacciava il Monastero. Il Monastero somigliava ad una fortezza assediata. Un giorno apparvero perfino otto carri nemici presso la Masseria Albaneta, ben alti sulla rupe e a tergo di Cassino. Con ciò, la situazione per il Battaglione Bohmler era molto critica giacché il Monastero veniva tagliato fuori da ogni collegamento. Il I Battaglione si era fermamente annidato nelle rovine del Monastero e assicurava le postazioni in caverna dell'artiglieria e delle armi pesanti. Per quanto il Battaglione non fosse stato fino ad allora seriamente minacciato, fin dal principio si era trovato in una situazione alquanto scabrosa. Come è noto, il Monastero fu occupato quando, mediante un bombardamento alleato, esso fu completamente distrutto. Sotto il cumulo delle macerie giacevano cadaveri di donne e di fanciulli che qui, nel Monastero, avevano cercato rifugio. Un permanente lezzo di putrefazione emanava tutto intorno e mancava totalmente l'acqua.

Ogni rifornimento doveva essere portato sulla montagna con immane fatica. Con l'irruzione del Battaglione indiano, quindi, veniva a mancare ogni collegamento. Fuori dal terreno del Monastero si trovavano sporadici elementi, miseri resti del 4° Reggimento paracadutisti, senza alcun riparo dal fuoco nemico. La situazione era così disperata al giorno 22 che si vedeva chiaramente avvicinarsi la fine. L'avversario, però, dimenticò al momento giusto lo scossone decisivo, per cui un'ardita sortita ed una carica disperata di circa trenta paracadutisti porto il primo alleggerimento alla situazione. Dal 4° Reggimento paracadutisti questi uomini valorosi scesero giù per il pendio e chiusero la breccia attraverso la quale gli Indiani avevano fatto irruzione; a dire il vero non completamente, ma i restanti 200 metri furono coperti con il fuoco. Da quel momento gli ìndiani non ebbero più alcun collegamento con le retrovie. Questo trucco aveva il vantaggio di sistemare i punti di rottura senza subire contrattacchi. La presenza del Battaglione indiano nel suo campo di battaglia principale rese nervoso il Comando Supremo tedesco. Sempre di nuovo veniva la domanda perche il 3° Reggimento paracadutisti non facesse nessun contrattacco. Ma uno sguardo all'interno del terreno sarebbe stato sufficiente per ogni tattico per ravvisare l'impossibilità di una impresa del genere. In primo luogo mancavano gli uomini, e, secondariamente, i pendii erano estremamente difficili da scalare. Anche un incursione fuori dal Monastero appariva completamente inutile dopo che un tentativo era già andato a vuoto. Così rimase inutilizzato il Battaglione indiano che rimase, sì, sul pendio scoperto di Monte Cassino, a prendere dal basso un fuoco efficace. Gli indiani imbottigliati furono per diversi giorni riforniti per via aerea; molti contenitori da lancio poterono anche essere raccolti dalla nostra gente, con tutte le belle cose che contenevano e in special modo cioccolata e sigarette.

La situazione degli Indiani diventò, man mano, sempre più difficile e un giorno essi alzarono la bandiera con la croce rossa. Un ufficiale britannico trattò con un comandante dei paracadutisti e fu convenuto lo scambio reciproco dei feriti. Gli Indiani riportarono indietro i loro uomini e, alla fine dello sgombero, essi erano tutti spariti (sicuramente non tutti erano realmente feriti). Comunque la HKL era di nuovo in nostre mani. Con una particolare tattica di fuoco, il nemico fu sloggiato anche dalla stazione di Cassino.

Gli otto carri armati presso Masseria Albaneta poterono essere distrutti dallo Stato Maggiore del 1° FJR; il tenente Eckel ne distrusse tre con mine "T", un nuovo tipo di mine per combattere efficacemente i carri armati.
L'impiego di questi nuovi mezzi suscitò, allora, l'interesse dell'avversario. Durante la battaglia di Cassino gli Inglesi resero noto questo nelle loro relazioni.

CASSINO, 19 MARZO 1944 - MASSA ALBANETA

Il tentativo degli alleati di prendere il Monastero alle spalle non riesce. La Cavendish Road si rivelerà una strada senza uscita.

06/11/2001 | richieste: 8229 | MAURO LOTTICI
I luoghi | #marzo 1944, masseria-albaneta, tank

In questa seconda battaglia di Cassino, gli Alleati avevano tentato di sfondare mediante un attacco concentrato su fronte ristretto. Con la distruzione della città si erano procurati un ostacolo anticarro e colpivano inoltre su di una truppa che non era affatto demoralizzata. Si doveva attendere da ciò che il prossimo assalto si sarebbe effettuato su un fronte più vasto. Di conseguenza si voleva snidare il 3° Reggimento paracadutisti ed insediarsi più lontano, a destra, sul fronte fino a quel momento tranquillo. Ma prima si diedero un paio di giorni di riposo in una valle dietro Roccasecca. Il III Battaglione doveva, malgrado la scarsa intensità della battaglia, essere lasciato ad un nuovo schieramento. Così, dunque, dopo alcuni giorni, un piccolo drappello andò ancora una volta fuori. Nel Monastero e nella città vi erano, ora, il 3° e il 4° Reggimento paracadutisti; alla nostra sinistra si trovavano gli Alpini.

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Nel frattempo, trascinammo tanto vettovagliamento e tante munizioni in su, sulla catena di alture che dal massiccio di Albeneta porta dall'altra parte di Monte Cassino, quanto ci fu possible. Sull'alto della cresta, i paracadutisti si misero in mezzo ai macigni ed ebbero almeno la tranquillità dall'artiglieria nemica. Non interamente al sicuro era il furiere Heilmann al massiccio di Albaneta, poiché proprio dirimpetto c'erano i Polacchi molto vicini. Malgrado ciò, in proporzione, su questo fronte si era relativamente tranquilli. La notte dell' 11 maggio, l'artiglieria alleata cominciò a martellare il posto tattico in modo tale che ci venne meno la vista e l'udito. Erano esattamente le 23:30. Lì per lì, io pensai soltanto ad uno sbarramento di fuoco, ma arrivarono le ore 24, arrivò l'una, e l'inferno di fuoco non cessava minimamente. Un regolare fuoco di fila permaneva sul settore, e noi ci aspettavamo un attacco notturno. Da molto tempo tutte le comunicazioni erano interrotte, ma come per miracolo venne un messaggero e riferì che sul davanti era tutto tranquillo e che il fuoco era soltanto sul campo principale della battaglia. Alle 8 il fuoco cessò; soltanto sei cacciabombardieri incrociavano ancora su di noi. Un comandante di Compagnia degli alpini mi comunicò che il nemico aveva fatto irruzione e stava avanzando sul mio posto tattico. Poco dopo Rohrbach, che stava sulla cima al di sopra di me, mi mandò circa venti prigionieri polacchi che avevano fatto irruzione su di lui. Ora gli avvenimenti si capovolgevano. I cacciabombardieri spuntavano l'uno dopo l'altro e gettavano il loro carico di bombe esclusivamente sul mio posto tattico. I prigionieri polacchi mi si affollavano intorno in cerca di protezione. I loro camerati assalitori incappavano parimente nel proprio fuoco. Verso le 10 subimmo un attacco, ma Rohrbach, che vigilava dalla cima, mandò a vuoto l'impresa dall'altura con una truppa d'assalto. L'attacco polacco falli, l'HKL rimase in nostre mani malgrado un'accanita battaglia all'ala destra. Ora eravamo minacciati al fianco sinistro, dove si era formato il cedimento presso gli Alpini. Sotto, nella pianura, imperversava la battaglia. Il nemico tralasciò Cassino e procedette con i suoi carri armati nella pianura. Ci sembrò di risuscitare, ci sembrò perfino possibile una ritirata sopra il pendio di Monte Cairo; quando venne l'ordine di sospensione, vedevano ancora i Polacchi penetrare nel Monastero. Poi osammo la ritirata sulla Via Casilina.

Di notte corremmo dietro agli Inglesi che avanzavano, li attaccammo alle spalle verso l'alba, per collocarci davanti ad essi. La 1ª Divisione paracadutisti si staccò allora, non più metodicamente ma certo in tempo opportuno. La Divisione aveva, nella terza battaglia di Cassino, tenuto ancora il suo settore ma, nel complesso di quanto era accaduto, i Paracadutisti potevano mutar poco le sorti della battaglia.

Ma si deve fermamente attestare come, sia i singoli che la totalità di questo Corpo sceltissimo, avevano dimostrato una capacità tale di sacrificio che brilla da sola nella storia della guerra.
Unico è anche l'ideale degli uomini di questa Divisione, quando essi offrirono il loro più grande sacrificio.

Magg. Gen. Ludwig Sebastian Heilmann

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