UN GIOVANE CASSINATE A MONTELUNGO: AMEDEO DELLA ROSA
Data: 15-12-2004Autore: VARICategorie: TestimonianzeTag: #dicembre 1943, italia, monte-lungo, veterani-reduci

UN GIOVANE CASSINATE A MONTELUNGO: AMEDEO DELLA ROSA

L’8 settembre 1943 mi sorprese con tre compagni di corso (Canzi, Cecchini, Di Pietro) nella Scuola di Appl.ne di Parma ed ivi ricevemmo il battesimo di fuoco, partecipando al combattimento contro i mezzi corazzati tedeschi che ci assalirono proditoriamente la notte tra l’8 ed il 9 (mentre il pomeriggio precedente erano venuti, con tutti gli Ufficiali della Divisione, in visita di cortesia!), dopo aver letteralmente passati per le armi i colleghi Modugno e Villari i quali inermi, richiamati dalle armi, all’alba del 9 coraggiosamente cercavano di venire in nostro soccorso. Al loro sacrificio, e a perenne ricordo, il Comune di Parma, in una toccante cerimonia, ha voluto dedicare una lapide lo scorso settembre 1993; dopola Medaglia d’Argento già concessa ai suddetti due ufficiali e alla bandiera della Scuola Appl.ne, per la resistenza eroica portata avanti per 6 ore di duri combattimenti, pur consci della macroscopica inferiorità di mezzi e numerica, che costò la vita, tra gli altri, al giovane nostro istruttore capitano Racchi Franco, già orfano di ufficiale caduto nella I Guerra Mondiale, e gravi ferite al capitano Bacchiani, Croce di Ferro di II classe ad El Alamein, poi ricoverato all’Infermeria Presidiaria e la cui presenza ci evitò la deportazione in Germania.

Non appena rimesso in sesto, con abiti civili, procuratici da coraggiosi parmigiani, e relative carte d’identità false da un Canonico del Duomo, operante nella resistenza, io e Di Pietro, con l’obiettivo di raggiungere il Sud, dopo i reiterati proclami del Maresciallo Badoglio lanciati via radio da Brindisi ed invitanti gli Ufficiali ed i militari a raggiungere quelle località libere dall’occupante, evademmo dalla Infermeria Presidiaria a fine Settembre ‘43, per raggiungere Roma in treno.

Alla Stazione di Parma, col treno in partenza, incontratolo per caso, cercammo invano di convincere il nostro compagno di corso e di plotone Di Dio Antonio ad aggregarsi alla nostra avventura. Fu sul punto di convincersi, ma poi rifiutò; destino atroce! Perché pochi mesi dopo, combattendo in Val d’Ossola con il fratello maggiore, nostro anziano del corso “Fede”, contro i nazisti, caddero entrambe eroicamente, coprendo la ritirata della loro Brigata, meritando la Medaglia d’Oro al V.M.

Di Pietro a Firenze mi lasciò per proseguire verso Cerignola ed io giunsi a Roma la mattina seguente, passando indenne, grazie alla famosa carta, tutte le ispezioni della Gestapo ai viaggiatori, avverti­to a non uscire dalla Stazione Termini per i rastrellamenti in corso. Dopo un viaggio avventuroso e non privo di pericoli, cercando sem­pre di passare per le montagne e mai per il piano, da Fondi, in due giorni, raggiunsi Castelforte e poi Sessa, o meglio Tuoro dove si tro­vavano sfollati i miei familiari, attraversando con l'aiuto di generosi amici il posto di blocco della Gestapo alla Centrale di Suio, nasco­sto in un furgoncino 1100 della Sedac, con il concittadino Esperito Prisco, aviere, proveniente da Latina.

Eravamo, intanto, ai primi di Ottobre ‘43 ed a Tuoro rimasi una ventina di giorni, o poco più, con i miei genitori, mia zia e mia sorel­la. Poi, dopo che la città era stata occupata dagli Inglesi, con una Jeep americana ed i Mar.lli Giaquinto e Saponetti, raggiungemmo Napoli e ci presentammo al Comando FF.AA. della Campania, che mi assegnò al Reg, 31° Ftr.

A Napoli rimasi due giorni ma l'inattività, il caos, per quanti vi affluivano da ogni dove, e il senso di rivalsa contro i tedeschi, mi sol­lecitarono ad arruolarmi volontario al 67° Reggimento Raggruppamento Motorizzato, in approntamento ad Atripalda, prima unità ad entrare in linea con la Quinta Armata

Ricordo che di sera, fine Ottobre o primi di Novembre, volle riceverci ad Avellino, al Comando di Raggruppamento, il Com.te Gen. Dapino, alpino Vice Com.te della Iulia. Eravamo io, Camparota, Santorio, Iodice, Perrone dell'85° e Rosati dell'84°, il quale senza tanti pream­boli, richiamandoci al nostro dovere di ufficiali, ci disse che presto saremmo stati chiamati a dimostrare che l’onore delle FF.AA. non era parola vuota di significato e che alto sarebbe stato per noi il rischio della vita, per cui chi non si sentiva di affrontare tale compito, poteva guadagnare la porta alle nostre spalle.

Eravamo tutti dei ventenni, ma quelle parole ci sferzavano e, di certo, non ci intimidivano. Il 67° costituì per me, dal Com.te Bonfigli a tutti gli ufficiali e alla truppa, una seconda famiglia, cementata da un fraterno affetto e dai tanti episodi di cui è costellata la partecipazione alla Guerra di Liberazione con la Quinta Americana, da Montelungo in poi, sino alla fine del Maggio ‘45, con l'arrivo al Po.

Ancora oggi ritrovarsi al Sacrario, nonostante tutto il tempo trascorso, costituisce non solo motivo di rimembranza per i tanti fratelli caduti, ma rituffarsi negli affetti più sinceri, mai sopiti o attenuati, a dispetto dei 50 (ora 60) anni trascorsi!

A soli vent'anni mi trovai a comandare, quale ufficiale più anziano, il 1° Plotone della 6 Compagnia II Btg. 67° Ftr., con alle mie dipendenze due ottimi sergenti Lupi e Meazza, per fortuna ancora viventi, l'uno a Como e 1'altro a Milano, e molti soldati con esperienze di guerra varie tra Albania, Grecia, Russia e Iugoslavia.

A Dugenda, due giorni prima di partire per Mignano, dove ci trasferimmo il 6 Dicembre 1943 (troppo presto per 1'impiego immediato dell'8 Dicembre!), come complementi, furono aggregati e smistati nelle varie Compagnie del Reggimento molti Caporali Maggiori A.U.C. affluiti dalle Puglie, tutti volontari.

Ebbi appena il tempo di abbracciarli e di scambiarci il racconto avventuroso della discesa dal nord, fu destinato il mio carissimo amico compagno di squadra e di plotone, in Accademia, Gian Carlo Gay, con il quale ne avevo combinate di tutti i colori, a volte per il solo gusto di infrangere la rigida disciplina.

Ricordo che una volta, sotto sua ispirazione, eravamo alla fine del corso e consegnati da 10 giorni, guidò la nostra evasione obbligandoci, con grande rischio per le conseguenze, se scoperti, a saltare in 5, uno dopo l’altro, il muro di cinta, alto 3 metri, dell'Accademia, dal lato Montecuccoli, facendo spaventare una vecchietta che passava sul marciapiede di sotto!

Gian Carlo si fece assegnare al Comando Plot. Esploratori del II Btg., ed fu il primo a lanciarsi, con la protezione di una fittissima nebbia che avvolgeva la zona, impedendo la visibilità a pochi metri, verso Q. 343, arrivando fin sotto le postazioni nemiche. Ma, come sovente accade, qui, la nebbia incominciò a diradare, improvvisamente e, pertanto, i nostri, che avanzavano carponi per sorprendere il nemico, furono scoperti e fatti oggetto da colpi di mitra e fucileria. Gian Carlo cadde falciato da una raffica di mitra nel mentre lanciava una bomba a mano, che stringeva nel pugno, e così fu trovato. Con lui caddero il Cap. Magg. granatiere Cheleschi, Del Chicca ed altri Esploratori.

Il diradarsi completo della nebbia favorì la reazione nemica e il loro rabbioso contrattacco obbligò il ritiro, sulle posizioni di partenza di Q. 253, della l e 2 Comp. del 1° Btg., falciate nei loro quadri ufficiali e nei loro organici di effettivi.

Dopo Gay, cadde l'altro mio amico e compagno di Accademia Maurizio Camparota, anch'egli orfano di invalido di guerra 1915/1918, il Ten. Branzoni, il S. Ten. Cederle con il tricolore in mano, che impavido lanciò con gesti di sfida contro il nemico, decorato con Medaglia d'Oro al V.M, e il Capitano Corselli gravemente ferito, e tanti altri ancora.

Il giorno 10 Dicembre fui comandato al prelevamento al PAM delle munizioni necessarie presso il Comando di Regg.to, dopo l'avvenuto schieramento in linea del II Btg. In sostituzione del 1°, con la mia Compagnia, la 6a, che nel pomeriggio dell’8 dicembre si schierò sul versante est di Quota 243, declinante verso l’attuale Sacrario e la Casilina.

Guardando su Monte Rotondo ebbi modo di notare che Don Luigi, il nostro Cappellano, stava dando sepoltura ai corpi dei Caduti del giorno 8. Il caso e la mia curiosità, e 1'affetto per quei corpi ora immobili e martoriati, mi obbligarono ad una sosta e dovetti intervenire presso il Cappellano che, confondendo il corpo di Cheleschi con quello di Gay, stava invertendo le salme. Si rivolse a me chiedendomi come potevo suffragare la mia conoscenza dei Caduti. Gli ricordai che con Gay avevo vissuto intensamente gli anni d'Accademia e lo pregai di cercare il portafogli nelle tasche della giubba del povero Gian Carlo; cosa che egli fece, ed allora saltarono fuori le foto dei suoi cari e la bandierina tricolore con il sua testamento spirituale. Vi aveva scritto sopra: "la mia vita per l'Italia e per il Re!"

Oggi questo cimelio eroico spicca con la Med. d'Arg. al V.M. nel Tempio della Gloria dell'Accademia di Modena, dono che fu fatto, in mia presenza, e davanti ad altri colleghi ufficiali generali, convenuti a Mignano prima e Cassino poi, in un raduno da me organizzato, dal collega di Accademia Gen. Corpo d'Armata Carlo Gay, attualmente residente a Caserta.

I giorni 9/10/11 Dicembre trascorsero nelle solite operazioni di studio del nemico, con pattugliamento notturno ed osservazione diurna. Il giorno 12, dopo la ricognizione aerea effettuata con un Piper da S.A.R. Umberto di Savoia, rientrato con la carlinga perforata dalla contraerea tedesca, fu ordinata alla 6 Comp., ed in particolare al mio plotone ed al II plotone, un'uscita in pieno giorno, alle 14.30, per scoprire il nemico ed individuare al meglio le posizioni da questo occupate. Alla testa del mio 1° Plotone, con il 2° comandato dall'amico Gessaga di Como, compimmo un balzo di 40/50 metri in avanti, allo scoperto, ma subito dopo fummo raggiunti dal fuoco di mitragliatrici e mortai che partiva da una quota più bassa della Q. 343, la cosiddetta "quota senza nome" perchè non riportata nelle carte topografiche americane, e quindi essendo allo scoperto, fummo costretti a rientrare nella nostra posizione di partenza, lasciando sul terreno il S. Ten. Gessaga, il Cap, Magg. Vercelloni, che uscì al mio fianco perchè, già reduce dalla Russia, presagiva di cadere e, stando a me vicino, si sentiva più sicuro. II Cap. Magg. AUC Brunello, colpito alle gambe e ad un piede, rimase a lamentarsi per 4 giorni e notti sulla terra di nessuno, costretto dalla sete a bere le sue urine.

Io fui ancora una volta fortunato, riportando ferite di striscio ai due polsi, medicate sul posto dal S. Ten. medico dott. De Santis. Avevamo, intanto scoperto che il nemico era ben attestato sulla Quota senza nome. La 5 Compagnia che s'era mossa sul fronte di sua competenza, lato sinistro verso M. Maggiore e fiume Peccia, ferrosa, perse il Ten. Masi, con alcuni graduati feriti ed ebbe il Coman­dante Cap, Barbaro, ferito ad una spalla in modo molto grave e che oggi, Generale di C. d'A, vive a Firenze, sua città natale.

Accertata, in modo inequivocabile, dove si annidava la resistenza tedesca, sia la nostra artiglieria che quella americana ebbero dal giorno 12 obiettivi più precisi e sicuri, mentre precedentemente il loro tiro aveva esercitato azione di disturbo nelle retrovie e vie di collegamento, senza però creare eccessive perdite alla fanteria ben annidata e schierata in linea.

Il Comando del II Corpo d'A.A., sulle informazioni raccolte da detta azione, di concerto con il Comando di Ragg.to, dispose il nuovo piano tattico per quella che doveva essere e fu l'attacco finale per la conquista del Montelungo e delle sue quote ("senza nome", 343 e 351). Il piano prevedeva, sfruttando anche le favorevoli condizioni atmosferiche, con cielo sereno, che la 6 Compagnia. con il 1° Plotone, raggiungesse "quota senza nome", successivamente con la 7 Compagnia Q. 343 ed altre, perlustrandole ed eliminando la presenza nemica; i bersaglieri del 51° Battaglione concorrevano a detta azione da sud, dal ponte secondo Peccia. Al mio Plotone fu affidato il compito di avanzare su "quota senza nome".

Al mio plotone, il 1° della 6a Comp., fu affidato il compito di avanzare su "quota senza nome" e prenderne possesso. Dopo una preparazione di artiglieria italiana e americana di circa un'ora, balzam­mo in avanti e, strisciando carponi sul terreno, ci avvicinammo all'obiettivo mentre rabbiosa si faceva la reazione nemica ed intenso il fuoco dei mortai con le bombe che ci cadevano addosso da ogni dove. A circa 60 metri dalla meta i miei due sergenti Lupi e Meazza mi chiamarono per dirmi che due allogeni Croati del mio plotone, Ciarga e Cacosin, non intendevano proseguire oltre. Mi alzai in piedi e, per evitare quella che poteva essere una reazione a catena molto pericolosa per il successo dell'azione, incurante dei pericolo, mi avvicinai a loro e minacciandoli di far fuoco e di denunciarli successivamente, li obbligai a proseguire con gli altri fanti (i due poi a sera disertarono). Alla testa del 4° Plotone della 6 compagnia era intanto caduto il S.Tenente Barbato di Maddaloni, dell’84° Corso di Modena, poi decorato di Medaglia d’Argento alla memoria.

Assaltammo il caposaldo di "quota senza nome" ma il nemico intanto si era ritirato e notammo come lo stesso fosse ben fortificato con roccia, pezzi di rotaie ancorate a traversine della ferrovia sottostante; rinvenimmo munizioni e materiale vario abbandonato.

Appena sistemato il plotone a difesa, si scaraventò su di noi un tiro di repressione intensissimo con mortai ed armi varie. Un Capitano Maggiore del 3° Plotone della mia compagnia, Pio Castiglioni, colpito dalla frantumazione di una bomba, cadde sui miei due sergenti Lupi e Meazza coprendone i corpi, con le gambe colpite. La destra era spezzata in due tronconi e imponente era la fuoriuscita di sangue; richiamato dalle grida e urla del Castiglioni e dalle implorazioni di soccorso, con l’aiuto del mio attendente e del Sergente Favilla, sollevammo il Castiglioni, liberando Lupi e Meazza e cercammo con due cinture di stringere la coscia all’altezza dell’anca, chiamando ripetutamente al telefono il Maggiore Anselmi, Aiutante Maggiore in prima, supplicando di far giungere in tempo i portaferiti, dei quali non c’era ombra alcuna, ricevendo per tre volte assicurazioni verbali. Viste le sofferenze del Castiglioni, che s’era reso conto dello sfascio dei suoi arti, e poiché egli per suicidarsi aveva tentato, mentre telefonavo, di sfilarmi la pistola dalla fondina, aiutato dai presenti, con le fasce gambiere recuperate e 2 moschetti, costruimmo una specie di barella sulla quale deponemmo il ferito che, affidato poi a 4 militari, fu trasportato giù al Comando, dove furono constatate le gravissime condizioni e trasportato a Presenzano all'ospedale di campo: ma vi giunse, purtroppo, cadavere. Ad evitare l'effetto delle bombe che continuavano a cadere, mi spostai in avanti con i miei fanti, puntando sulla Q. 343 e qui in vetta catturammo 8 tedeschi ed un giovane italiano in camicia nera. Dovendo proseguire verso Q. 351 e non potendo privarmi di uomini preziosi da impiegare nell'azione di rastrellamento (non erano ancora tornati i 4 inviati al Comando con il ferito), ritenni opportuno affidare i prigionieri al Tenente Bersagliere Moizo, nel contempo sopraggiunto dal Peccia, per il loro trasporto al Comando di Regg.to. Il nostro obiettivo fu raggiunto dopo un avvicinamento, tra mille difficoltà, verso l’imbrunire e, vinti dalla sete (il mio Capitano non aveva raccolto il mio invito all'approvvigionamento di acqua potabile ed alla necessità di riempire le borracce individuali), tutti, prima il Capitano Falcone, ci avventurammo a raccogliere in una pozzanghera, creata da una bomba di aereo, l’acqua piovana ivi raccoltasi.

Appagata parzialmente quest'esigenza, ci preparammo a passare la notte disponendo misure di sicurezza. Con l’aiuto del caporale Barlassina, roccioso contadino valtellinese dal carattere non sempre acquiescente e disciplinato, estraemmo da un ricovero fatto di pietre, disposte a mò di pozzetto, il corpo di un tedesco morto, almeno tale ci sembrò. Qui trascorremmo esausti la notte e all'alba fummo svegliati dalle urla del Tenente Nonna, Aiut. Magg. del Btg., venuto a chiamarci perchè c'eravamo spinti troppo avanti in territorio di nessuno. Ci trovavamo infatti sulle pendici nord di Q. 351, dove attualmente sorge la Centrale Enel, zona non ancora rastrellata dalla 34 Div. americana. Infatti il tedesco creduto morto non c'era più, egli era vivo e se l’era filata (meno male!). Accampati su Montelungo sino al 22 Dicembre, la sera del 22, sotto una pioggia battente che ci assillava dal giorno precedente, a piedi, con l’armamento in spalla, con una marcia notturna raggiungemmo la località di Sesto Campano a 24 Km.

All'alba del 23, con soli 6 ufficiali del Btg. e qualche sottufficiale; il resto della truppa arrivò alla spicciolata, tutti stanchissimi, sfiniti, sporchi di fango che era penetrato, con l’acqua, sotto la divisa e nelle scarpe. Il tempo di sistemare le tende e poi spogliatici, giù nelle acque fredde e limacciose di un torrente che scendeva da un canalone, a bagnarci e lavarci, senza ritegno, per il desiderio ed il bisogno impellente di un pò di pulizia dopo 16 giorni di privazioni. Trascorremmo il giorno di Natale a Sesto Campano ed a pranzo ci raggiunse S.A.R. il Principe Umberto, sempre premuroso nei nostri confronti, per portarci il Suo Augurio ed il Suo calore umano, esprimendo il desiderio di fotografarsi in gruppo con noi tutti. Si ricordò, con la Sua prodigiosa memoria, della mia visita con Renato Fuoco, entrambi accademisti, al Comando Gruppo Armata al Castello di Sessa, e fu sempre lieto di incontrarmi poi successivamente come dirò.

Il 27/12 partimmo per il riposo a Dugenta e Melizzano, dove ricevemmo le visite del Generale Berardi, Capo di S.M.E. e di SAR., per rendersi conto del nostro morale e delle nostre esigenze. Qui restammo sino al 27/1/44 per poi raggiungere la zona di Cassino inquadrati col Reggimento della 210 Div. Fant. italiana e il II Corpo A.A., più precisamente al San Michele con la 6 Compagnia e la 5 e 7 dislocate a Cervaro e S. Vittore.

Il 10 Febbraio con una pattuglia di 6 Cap. Magg. AUC, da me comandata, scendemmo giù al vecchio concentramento, per dare il cambio a quella comandata dal S. Tenente Rosati che ci aveva preceduto nella guardia ad un posto di rifornimento viveri e munizioni, sito sulla strada che da Cassino porta a Caira.

Gli americani erano ostinati a tenere questo posto senza considerare che, poichè il nemico dominava le alture sovrastanti, ciò consentiva la facile osservazione del movimento sottostante, l'indirizzare il tiro dell'artiglieria ed il controllo dell'effetto dello stesso che, nel nostro caso, fu addirittura per loro devastante, perchè in 3 giorni di permanenza non ci fu lasciato tempo e spazio alcuno, giorno e notte, e così caddero, vicino alla Jeep sulla quale stavano caricando i loro bagagli per il rientro al riposo, il Tenente Johnson ed i 2 caporali che erano con lui, centrati in pieno dai colpi dei mortai da 105.

Per tale azione su segnalazione del Comando II Corpo di A.A., il Gen. Cortese Com.te 210 Div. Fant, ci indirizzò un encomio solenne sul campo, mentre io al rientro in Compagnia proposi il Serg. Favilla, per il suo eroico comportamento e sprezzo del pericolo, con il Cap. Magg. Peruzzi, per una decorazione che tenesse conto dell'impegno e del comportamento di questi due valenti miei collaboratori. Il Tenente Spaziante Armando, Com.te della Comp. da poche settimane, avendo sostituito Falcone ammalato di cardiopatia, propose il primo per la medaglia di bronzo ed il secondo per la croce di guerra al V.M.

Nei giorni successivi a S.Michele ci fu la visita del Principe Umberto ai nostri reparti, accolto da festosa accoglienza dai numerosi cassinati, di sfollati e rifugiati nella frazione e nelle case vicine. S'intrattenne con me e con gli altri ufficiali assicurandomi, inoltre, che al rientro, passando per Sessa, avrebbe provveduto a rassicurare i miei genitori della mia incolumità, cosa che fece per mezzo del Gen. Tommaselli che recatosi a casa, si presentò a mio padre e lo tranquillizzò sulle mie condizioni di salute. Per inciso, a testimonianza del Suo impegno e del Suo coraggio, Egli ci espresse il vivo desiderio di farsi accompagnare giù dove ardeva la battaglia, ma riuscimmo a dissuaderlo coll'accompagnatore italo-americano per il pericolo e l'intralcio che ne sarebbe derivato alle normali operazioni, e poi mancava la sicurezza e la tranquillità a S. Michele, per i ripetuti tiri di artiglieria e di razzi e le visite degli Stukas. Immaginavamo quanto fuoco avrebbe attirato la presenza di un gruppo di uomini allo scoperto sulla strada Filieri o quella per Caira!

Sei giorni dopo, sotto le macerie della sua casupola, ritrovammo il piccolo Agostino Giallonardi, poi mascotte del Reggimento, orfano ed abbandonato dalla morte della madre, affamato, sporco e lacero, tremante per il freddo, perchè vestito da due mesi e più d'una camiciola che gli copriva a stento il sedere. Lo ritrovò, riuscendo piano piano a conquistarne la fiducia, il Cap. Magg. Gremes che lo portò in Compagnia. Fu rifocillato, perchè il cibo se lo procurava rubacchiando ai tedeschi ed agli americani, o rovistando nei loro rifiuti, pulito e vestito alla meglio e poi trasferito con il cappellano Don Luigi al Comando di Reggimento, dove rimase sino alla fine della guerra.

Il 15/2/44 assistemmo impotenti, con l’amico S. Ten. Branco ed altri ufficiali, dagli uliveti di S. Michele, nei quali eravamo accampati, al bombardamento incessante, con ondate ripetute di fortezze volanti dalle 8 del mattino sino al pomeriggio, dell'Abbazia di Montecassino, faro e culla della nostra civiltà, inutile distruzione, volute dal Gen. Freyberg.

Rimanemmo sino al 10/12 Marzo a S. Michele, per poi raggiungere prima Francolise e poi Carinola, dove a Casanova il Vescovo Mons. Gaetano De Cicco, con il precetto pasquale impartì la Cresima ad ufficiali e soldati, con una cerimonia molto commovente. Io stesso fui cresimato dal collega Mario De Giglio, dell'84° Corso di Modena e subalterno nella mia compagnia, che era già stato in Convitto a Sessa.

Poi la nostra avventura con la fanteria della Quinta Armata Americana proseguì sul fronte del Garigliano, base S. Maria La Piana, per preparare l'offensiva di Maggio per la conquista di Roma.

Amedeo della Rosa

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