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COME L'ESERCITO ITALIANO ARRIVO' SUL FRONTE DI CASSINO
Data: 28-06-2002Autore: MARCO MARZILLICategorie: SpigolatureTag: italia, unità-reparti
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COME L'ESERCITO ITALIANO ARRIVO' SUL FRONTE DI CASSINO

Quando nel dicembre 1943 l'Esercito italiano si schierò con i suoi Reparti sul fronte di Cassino, a fianco degli angloamericani, aveva già combattuto durante 39 mesi su sette fronti.
Subito dopo l'annuncio dell'armistizio, fin dalla notte sul 9 settembre 1943, esso aveva poi dato vita alla Resistenza italiana ed aveva iniziato col cruento sacrificio dei suoi uomini e delle sue Unità il secondo Risorgimento nazionale. Chiamato alla guerra nel giugno 1940 da un potere legittimo, al quale era legato dal sacro vincolo del giuramento, l'Esercito era sceso disciplinatamente in campo ed aveva lottato con tenacia e valore, sovente non potendo opporre alla strapotenza dei mezzi avversari altro che il radicato e disperato sentimento dell'onor militare.

Fino all'8 settembre 1943 aveva combattuto:

  • per 35 mesi in Africa Settentrionale (giugno 1940 - maggio 1943), partecipando con alterna fortuna a sette grandi battaglie, dove intere Unità furono distrutte in combattimento (come, ad esempio, le Divisioni Ariete, Folgore, Pavia e Trieste);
  • per 6 mesi sul fronte greco-albanese (fine ottobre 1940 - aprile 1941), logorandosi in una estenuante lotta che causò la perdita di 102 mila uomini tra morti, feriti, congelati e dispersi;
  • per 18 mesi in Africa Orientale (giugno 1940 - novembre 1941), in un territorio vasto quattro volte l’Italia, strategicamente assediato perché bloccato sulle vie marittime e circondato sulle frontiere terrestri da Stati avversari;
  • per 19 mesi sul fronte russo (giugno 1941 - gennaio 1943), dove furono presenti prima un Corpo d'Armata, poi un'armata (l'8ª) con 220 mila uomini. Schierata sul Don e impegnata in battaglia nella grande offensiva sferrata dall'Esercito sovietico nell'inverno 1942-43, l'Armata venne travolta con altre cinque armate (3 germaniche, 1 rumena e 1 ungherese . Al rientro in Patria, mancavano all'appello 89.799 uomini, tra caduti in combattimento, morti per congelamento o di stenti durante il drammatico ripiegamento, e dispersi.
A tali quattro fronti sono da aggiungere: il fronte alpino occidentale (giugno 1940), quello jugoslavo (aprile 1941) e il fronte dell'Italia meridionale dopo lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943.

Il successivo 25 luglio crollava in Italia il regime fascista che aveva voluto e stipulato l'alleanza militare con la Germania nazista. Questo evento poneva inevitabilmente sul tappeto la validità dell'alleanza e degli stessi rapporti tra le due Nazioni.
Sin dal 26 luglio i tedeschi avevano assunto in Italia un atteggiamento che rivelava l'intenzione di procedere ad atti di forza miranti a ristabilire il decaduto governo e ad impadronirsi dei gangli vitali dell'organizzazione statale, militare e civile italiana. Essi potenziarono subito i contingenti dislocati nella penisola, facendovi accorrere numerose altre unità che vennero poste a presidio dei punti di importanza strategica o che furono inserite tra i reparti italiani. Analoghe predisposizioni furono prese dai tedeschi nei territori stranieri sotto giurisdizione militare italiana, come i Balcani e il sud-est della Francia.
Poi l'ineluttabile armistizio, concluso dall'Italia con gli angloamericani separatamente dalla Germania e annunciato la sera dell'8 settembre 1943.

A quella data il Regio Esercito Italiano disponeva di 60 Divisioni (oltre alle Unità costiere):

  • 28 di esse erano dislocate in Italia, 18 nel centro-settentrione e 10 tra il meridione, la Corsica e la Sardegna;
  • 32 fuori dai confini, in Provenza, Slovenia, Croazia, Dalmazia, Erzegovina, Montenegro, Albania, Grecia, Egeo.
Le Divisioni dislocate in Italia erano quasi tutte incomplete rispetto alla formazione organica; alcune erano frazionate nei loro elementi perché in trasferimento; 10, reduci dal fronte russo, erano ridottissime e quasi prive di efficienza operativa. Disseminate su tutta la penisola e le isole, la loro ubicazione rispondeva all'esigenza di impedire sbarchi alleati.

Le 32 Divisioni situate fuori dai confini erano ripartite in piccoli presidi, secondo i piani di occupazione. A contatto con le forze italiane si trovavano 40 Divisioni tedesche e molte unità minori non indivisionate; 17 di esse erano in Italia e 23 fuori dal territorio della penisola. Totalmente meccanizzate, motorizzate o corazzate, queste Divisioni erano tutte in piena efficienza e potentemente armate.
Contrariamente a quelle italiane, le forze tedesche erano riunite in grossi raggruppamenti dovendo assolvere i compiti di manovra ad esse affidati nei vari scacchieri operativi. Tali raggruppamenti e un cospicuo numero di minori unità dislocate ovunque, costituivano nel loro insieme una vera e propria rete di occupazione dentro le cui grandi maglie vennero a trovarsi i Reparti italiani, praticamente circondati.

E’ questa la situazione tattica sul campo in cadde l'annuncio dell'armistizio.

Esso provocò la immediata messa in opera da parte dei tedeschi di un piano di operazioni per la cattura e il disarmo delle Forze Armate Italiane, cosi da metterle fuori causa prima dell'intervento degli angloamericani. L’azione delle unità germaniche fu contemporanea e coordinata in tutte le regioni d'Italia e fuori. Dove erano in forze, i tedeschi agirono subito per paralizzare rapidamente tutti gli organi militari e civili. centri di collegamento, comandi, caserme, porti, aeroporti, polveriere, magazzini, nodi ferroviari e stradali. Dove non erano abbastanza forti, essi mantennero temporaneo contegno conciliante, agendo successivamente con la sorpresa come si fa contro unità nemiche in normali operazioni di guerra.

Nessun tedesco ebbe la minima incertezza sul modo di comportarsi con gli italiani. e se qualcuno aveva avuto inizialmente dei dubbi questi furono chiariti dallo stesso Hitler che il 10 settembre 1943 in un radio-discorso aveva detto:

"Le misure emanate a protezione degli interessi tedeschi di fronte al passo dell'Italia sono molto dure. La sorte dell'Italia dovrá essere una lezione per tutti."

Dalla parte italiana invece l'armistizio provoco un iniziale disorientamento ovunque, sia nei Comandi che nei Reparti, molti dei quali non avendo avuto modo di ascoltare direttamente alla radio il comunicato che ne annunciava la conclusione, non poterono assumere subito l'atteggiamento deciso che si addiceva alla circostanza.

Il comunicato, infatti, nel rendere noto che ogni atto di ostilitá contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo, precisava che:

"ESSE PERO' REAGIRANNO AD EVENTUALI ATTACCHI DA QUALSIASI ALTRA PROVENIENZA."

Ma il disorientamento e l'incertezza ebbero breve durata, perché la reazione dei militari italiani agli attacchi dei tedeschi assunse ben presto notevole consistenza. Essa si estese rapidamente ovunque, ma. ebbe le più concrete manifestazioni:

  • in Sardegna, dove l'allontanamento dei tedeschi dall'isola valse a preservare quelle che furono le uniche riserve sulle quali si poté basare il successivo intervento delle Unità italiane a fianco degli alleati nella guerra di liberazione; in Corsica, ove i combattimenti si accesero la stessa notte sul 9 settembre in seguito ad un colpo di mano dei tedeschi al porto di Bastia, presidiato da soldati e marinai italiani. Dopo violenta e cruenta lotta durata sino all'alba, il porto fu rioccupato dagli italiani. I combattimenti si protrassero poi per quasi un mese in altre località dell'isola con le seguenti perdite complessive da parte italiana: 34 ufficiali morti e 114 feriti; 603 tra sottufficiali, graduati e soldati morti e 2203 feriti;
  • in Liguria, ove le Unità dell'Esercito poste a difesa della Piazza Marittima di La Spezia, consentirono alla squadra navale italiana di lasciare la base senza perdite per raggiungere Malta (erano presenti nella zona tre Divisioni tedesche);
  • in Toscana, ove si combatté a Pian della Futa, Pisa, Calambrone, Marina di Pisa, Viareggio, Cecina, Forte dei Marmi, Pietrasanta, Apuania, Torre del Lago, Livorno e per la difesa dì Portoferraio;
  • nei dintorni di Roma, sulle vie consolari Cassia e Ostiense, e nella stessa Capitale, ove i combattimenti si protrassero sino alla sera del 10 settembre con sensibili perdite (414 caduti e oltre 700 feriti);
  • a Napoli, in Campania, in Calabria, in Basilicata, in Puglia, specialmente a Bari, a Viterbo, ad Ascoli Piceno ove il presidio resistette sino a metà settembre;
  • a Monte Cavallo e a Pian del Cansiglio, a Treviso, ove i militari si opposero decisamente ai tedeschi;
  • a Gorizia, ove le truppe del Presidio combatterono per la difesa della città e dei ponti sull'Isonzo: a Trieste, in altre localitá della Venezia Giulia, del Friuli e in molti altri presidi della penisola.

Anche le Divisioni che si trovavano fuori dai confini quali Unità di occupazione dovettero rispondere con le armi alle ingiunzioni di resa ed affrontare in terra straniera una lotta lunga e difficile.
Tra queste Unità due sono particolarmente da ricordare: la Divisione di Fanteria Venezia e la Divisione alpina Taurinense. Gli uomini di queste due Divisioni, contrari tanto alla resa quanto alla prigionia, dopo aver resistito agli attacchi dei tedeschi e degli stessi partigiani jugoslavi, nel dicembre 1943 si riunirono e diedero vita alla leggendaria Divisione Garibaldi che operò sino alla primavera del 1945 dalla parte dell'Esercito popolare jugoslavo, nell'intento di salvaguardare l'integrità dei confini orientali dell'Italia.
Quando le due Divisioni Venezia e Taurinense si fusero per formare la Garibaldi, gli uomini di questa valorosa Unità erano circa 18 mila. Dopo 17 mesi di durissima guerriglia, al momento del ritorno in Patria, i superstiti erano poco più di 4 mila.
Nelle isole ioniche, a Cefalonia, la fierissima scelta della terza fra le tre condizioni poste dai Tedeschi: cooperare, cedere le armi, combattere, assunse dopo otto giorni di furiosi attacchi e contrattacchi i drammatici aspetti del cosciente olocausto.
Oltre cinquemila uomini della Divisione Acqui pagarono con la vita la loro fedeltà alle leggi dell'onore militare.
Non meno valoroso fu il comportamento dei reparti dislocati a Corfú e nelle isole dell'Egeo e, in particolare, a Lero, ove caddero in combattimento 1.600 soldati italiani in gran parte della marina militare.

Ma l'immediata e legittima reazione delle Forze italiane agli attacchi dei tedeschi era, alla lunga, destinata a fallire. Si trattò infatti di decine di combattimenti episodici e isolati, assunti quasi dappertutto di iniziativa ai quali venne perció a mancare l'indispensabile coordinamento. Fu una lotta improvvisa e slegata, condotta da uomini decisi ma disorientati, contro un esercito che poneva in atto con mano di ferro un preciso piano di cattura e disarmo delle forze opposte e dove tutti, dal comandante in capo sino all'ultimo soldato, erano consapevoli del compito da svolgere e dello scopo da raggiungere.

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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