I CINQUANTA GIORNI DEL REGGIMENTO SAN MARCO SUL FRONTE DI CASSINO
Data: 06/09/2009Autore: MAURIZIO BALESTRINOCategorie: RicercheTag: #aprile 1944, #maggio 1944, diadem-op, italia, san-marco, unità-reparti, valvori

I CINQUANTA GIORNI DEL REGGIMENTO SAN MARCO SUL FRONTE DI CASSINO


Premessa

Il Reggimento San Marco della Regia Marina rimase sul fronte di Cassino per 50 giorni, dal 9 aprile al 28 maggio 1944.

Dopo la guerra il ricordo di questa attività bellica e degli uomini che vi presero parte andò quasi del tutto perduto. Tuttora i reggimenti Light Horse (erede dell'Imperial Light Horse) e Kimberley dell'Esercito Sudafricano, cui il San Marco fu strettamente associato in questi 50 giorni, annoverano "Cassino" fra i loro Battle Honours (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Light_Horse_Regiment#Battle_honours e http://en.wikipedia.org/wiki/Kimberley_Regiment#Battle_honours).
E' al contrario notevole che la partecipazione del Reggimento San Marco alla battaglia per Cassino sia stata totalmente dimenticata fin quasi ai giorni nostri. Questo scritto si propone di sollevare questa coltre di oblio e di raccontare l'attività del Reggimento San Marco nei suoi cinquanta giorni di permanenza sul fronte di Cassino. Fra i vari possibili modi di farlo, ho scelto di citare giorno per giorno gli avvenimenti che accaddero, per ogni data in cui le fonti ci forniscono notizie. Ho altresì scelto di raccontare non solo gli avvenimenti che coinvolsero direttamente il San Marco ma anche quelli che coinvolsero le unità cui esso era collegato, nel tentativo di fornire un quadro il più possibile completo di ciò che accadde nel settore del San Marco sul fronte di Cassino dal 9 aprile al 28 maggio 1944. L'esposizione dei fatti secondo un racconto giorno per giorno aiuta a mettere gli avvenimenti nella loro prospettiva cronologica e a fornire loro un senso. Esclude peraltro la possibilità di narrare tutti gli episodi che le fonti ci hanno tramandato, poiché di molti non conosciamo la data esatta.

Altri fatti verificatisi durante la permanenza del Reggimento San Marco sul fronte di Cassino, di cui non conosciamo la data esatta, possono essere trovati nelle fonti bibliografiche citate, che sono tutte elencate in fondo all'articolo. Spero inoltre che essi potranno costituire materia di ulteriori articoli su questo sito.

Prologo

L'armistizio dell'8 settembre 1943 era stato la logica conseguenza del fatto che l'Italia, dopo le sconfitte subite dall'Asse in Russia e a El Alamein e dopo l'invasione della Sicilia, non era in grado di continuare la guerra con speranze di successo, al contrario essa vedeva la guerra ormai giunta sul suolo nazionale. L'armistizio era un passo niente affatto diverso dalla pace separata che nel 1918 l'Austria-Ungheria, alleata della Germania, aveva chiesto all'Italia e che venne firmata il 4 novembre 1918. L'importante differenza, come si sa, fu che nel 1918 la Germania, vista ormai persa la guerra, si arrese agli anglo-franco-statunitensi il 6 novembre, due giorni dopo la resa dell'Austria all'Italia, senza che il suo territorio nazionale venisse invaso. Nel 1943 invece la Germania non solo continuò ostinatamente la guerra ormai persa ma invase la nostra penisola, si annesse un'ampia porzione di territorio italiano (l'Alto Adige, le Tre Venezie, l'Istria e la Dalmazia furono incorporate nel Terzo Reich e sottoposte all'amministrazione di un Gauleiter tedesco) e si preparò a contrastare in Italia l'avanzata Alleata, con l'ovvia conseguenza di fare del nostro Paese il campo di battaglia della successiva campagna. Favorì la formazione di un nuovo stato (la RSI) ponendo le basi per la successiva guerra civile e iniziò una capillare propaganda circa un presunto “tradimento” dell'Italia. Mentre molti Italiani credevano in buona fede alla propaganda nazifascista e si arruolavano nella RSI, il Regno d'Italia fece ogni sforzo per riorganizzare le proprie forze armate in modo da avere una parte attiva nella liberazione del nostro Paese dai tedeschi, ormai passati dalla condizione di alleati a quella di invasori ostili.

A differenza di altre Forze Armate, l'8 settembre 1943 la Regia Marina non si disorganizzò e non diminuì la propria efficienza operativa (si veda ad esempio l'articolo di Camboni, 2008). Uno dei modi in cui la Regia Marina contribuì al nuovo sforzo bellico dell'Italia fu la ricostituzione del Reggimento San Marco, che l'anno precedente era stato perso in Tunisia dove si era arreso agli anglo-americani un giorno dopo i Tedeschi. Allora come oggi il Reggimento (oggi Battaglione) San Marco godeva di grande prestigio ed era un reparto scelto. Molti marinai e ufficiali si offrirono volontari per entrare nelle fila del ricostituendo Reggimento.

Inizialmente poterono essere formati solo due dei previsti tre battaglioni, il "Bafile" e il "Grado". Dei due il "Bafile" fu il primo ad essere pronto, nel mese di marzo 1944, e avviato in prima linea. Inizialmente esso fu destinato ad essere annesso al Primo Raggruppamento Motorizzato italiano, ma all'ultimo momento ne venne invece decisa l'assegnazione al XIII° Corpo d'Armata Inglese, sul fronte di Cassino nell'alta valle del Rapido. La posizione del Battaglione Bafile del Reggimento San Marco nell'ordine di battaglia può essere compresa dalla relazione dell'11a Brigata di Fanteria Canadese (Canadian Army Headquarters, 1953): “[il San Marco] fu unito al [Reggimento canadese] Westminster e le due unità assieme vennero designate “Corbould Force” dal nome dell'ufficiale comandante i Westminsters”. Nell'esercito britannico e in quelli del Commonwealth il termine “Force” stava a indicare un raggruppamento temporaneo di unità cui veniva pro tempore assegnato un compito specifico. Terminato il compito, le unità tornavano ai reparti di provenienza (nel caso del San Marco, dopo la battaglia di Cassino esso sarebbe tornato al Primo Raggruppamento Motorizzato, nel frattempo diventato Corpo Italiano di Liberazione). Da questo punto di vista la “Force” britannica equivaleva in un certo senso al Kampfgruppe tedesco e alla Task-Force americana. Assieme ai soldati canadesi il Bafile andava a sostituire elementi britannici nella porzione di fronte subito a nord-est della città di Cassino. Si trattava di una parte del fronte che era stata conquistata dai Francesi durante la Seconda Battaglia di Cassino e che dal mese di febbraio era rimasta cristallizzata sulle posizioni allora acquisite. Le linee alleate e tedesche vi si fronteggiavano talora a distanza di poche decine di metri, in uno scenario molto simile alla Prima Guerra Mondiale. Il compito assegnato alle truppe alleate, fra cui il San Marco, nel presidiare questa parte del fronte di Cassino è ben riassunto nel documento canadese già citato: “Poiché un eventuale contrattacco in quell'area non era considerato fattibile [in altre parole se si fosse persa una posizione non sarebbe stato possibile riconquistarla], gli ordini erano di attestarsi tenacemente su tutte le postazioni di plotone, senza neanche pensare di ritirarsi” [“Since it was not considered feasible to carry out a counter-attack in the area, the policy was to hold tenaciously all platoon localities with no thought of withdrawal”]. A questo scopo, “il Quartier Generale della Brigata emanò istruzioni secondo le quali si doveva perseguire un'aggressiva politica di pattugliamento. La terra di nessuno doveva essere dominata e si dovevano compiere puntate in profondità nel territorio nemico”.
Questo era il compito che i marinai del San Marco assieme ai nuovi alleati canadesi si apprestavano a svolgere.

Il periodo di permanenza del San Marco sul fronte di Cassino non fu contrassegnato da avanzate né da ingenti movimenti di truppe. Fu invece caratterizzato da una continua attività tesa a:

L'artiglieria e l'attività di piccoli gruppi di uomini (plotoni, pattuglie) svolsero un ruolo preponderante.

Quella che segue è la ricostruzione giorno per giorno, per ognuna delle date per cui sono disponibili informazioni, degli avvenimenti che accaddero in quel tratto del fronte nella zona di Cassino.

8 aprile

L'8 aprile 1944, Sabato Santo, i marinai del San Marco stavano per arrivare al fronte di Cassino. Venivano da tre giorni in treno, dalla Puglia a Napoli, e avrebbero trascorso questo giorno e il giorno di Pasqua a piedi e in autocarro per raggiungere la prima linea. Questo viaggio venne ricordato in una canzone che alcuni marinai crearono parafrasando "Monte Canino" (“Dopo tre giorni di strada ferrata / ed altri due di lungo cammino / siamo alfin giunti a Monte Cassino / e a ciel sereno ci tocca di dormir" – v. articolo su questo sito).
Luigi Cavinato, che fu col San Marco in quei giorni e oltre, così scrive nelle sue memorie (pag.46):

“Al mattino [è il mattino dell'8 aprile 1944] ci danno del caffè e gallette molto dure, che noi mastichiamo lo stesso. Arrivano dei grossi autocarri alleati [Vittorio Bonamore, sottotenente del Genio Navale che combatté a Cassino e oltre col San Marco, mi precisa che gli autocarri arrivarono solo nel tardo pomeriggio], attrezzati con panche tutto intorno; vi saliamo, con tutto il nostro bagaglio e, passando per Caserta, raggiungiamo Venafro, in provincia di Campobasso.
Siamo, oramai, in zona di operazioni; infatti c'è un grande movimento di automezzi, camionette, autoblindo e grosse jeep, che si muovono in un grande spiazzo adibito a deposito e parcheggio.
Sostiamo qualche ora per il rancio e poi di nuovo verso nord, ma su automezzi più piccoli.
Durante il viaggio, per strade sempre più tortuose e strette, ci fanno da battistrada un ufficiale inglese, al volante di una jeep, con a fianco il nostro comandante di compagnia, capitano Danza. Comincia a far buio e piove, quando lasciamo Venafro.
Gli automezzi procedono in stretta fila indiana e noi tutti siamo silenziosi e immersi nei nostri pensieri.
In piena notte
[è la notte fra l'8 e il 9 aprile 1944], dopo continue soste e sotto una pioggia persistente e fredda, raggiungiamo Acquafondata poi, verso il mattino, Vallerotonda. [da Acquafondata a Vallerotonda il percorso doveva proseguire a piedi].
Ora siamo in piena zona di operazioni, vicino al fronte di Montecassino. L'Abbazia è già stata bombardata, il 15/2/1944 e, nonostante ciò l'arroccamento dei tedeschi fra quelle montagne blocca gli alleati, da molti mesi.”

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9 aprile

Il 9 aprile, giorno di Pasqua, continuò il dispiegamento del San Marco sul fronte. Continua Cavinato:

"Da Vallerotonda procediamo a piedi, mentre continua a piovere, ma, per fortuna, siamo bene equipaggiati con divise inglesi [su questo particolare, v. oltre], che respingono bene l'acqua. Cominciamo a sentire, sempre più distintamente, man mano che saliamo, il rombo sordo del cannone che rimbomba fra le montagne ed il crepitare delle mitragliatrici. Nessuno di noi dice una parola, si ode solo il nostro ansimare, per la fatica. Questo è il momento peggiore, perché non sai cosa ti aspetta: sei solo, con la tua paura, e senti che il coraggio nessuno te lo può infondere come asserisce il Manzoni, per bocca di Don Abbondio, che dice: “se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare”. Il Capitano, anche lui silenzioso, talora si affianca a noi e poi si rimette alla testa della Compagnia, assieme all'ufficiale inglese. Si è fatto giorno, intanto [è il 9 aprile 1944, giorno di Pasqua], ma il cielo è plumbeo e continua a piovigginare. Raggiungiamo Valvori che, come latitudine, si trova un pò più a nord di Cassino. Improvvisamente arrivano i primi colpi di mortaio, quindi i primi tuffi al cuore, ma anche i primi tuffi a terra, anche se non è necessario data la distanza delle esplosioni. Verso mezzogiorno ci distribuiscono qualcosa da mangiare. Intorno ci sono poche case di montagna, fatte di sassi, completamente disabitate e in parte diroccate dalle cannonate. Al riparo di una scarpata, ci fermiamo per un pò di riposo e per la consegna delle munizioni. Qui rimaniamo acquattati, fino al sopraggiungere del buio, mentre i colpi di mortaio esplodono più in basso. Pur molto stanchi, bisogna proseguire, rimetterci in marcia, in stretta fila indiana per non perderci, ciascuno con il suo pesante fardello in spalla. Dobbiamo salire verso Monte Cicurro, a quota 508 [1]. C'è, in verità, un pò di confusione, perché gli ordini vengono impartiti da un ufficiale inglese, nella sua lingua ed il nostro Capitano stenta a capirli. Noi diamo il cambio ad una Compagnia di soldati neozelandesi, della 8a Armata. La 3a Compagnia Fucilieri, cui io appartengo, si attesta appena al di sotto di una cresta che si snoda a destra e sinistra del monte Cicurro. Ci fanno sistemare dentro una lunga trincea, in parte coperta, che in certi punti dà, attraverso feritoie, su un'ampia valle cosparsa qua e là da macchie di vegetazione. E' la terra di nessuno, dove si scontrano, in perlustrazione, le pattuglie dell'una e dell'altra parte. L'esercito alleato, pur in superiorità di uomini e di mezzi, non riesce a sfondare e si è assestato in una logorante guerra di posizione, in cui i tedeschi hanno buon gioco.
A noi tocca tenere tutta la quota di M.te Cicurro, importante punto di osservazione, per controllare le mosse dei terribili semoventi [2] tedeschi, che martellano in continuazione le linee alleate".

Bisogna precisare, circa le divise inglesi ricordate dal Sig. Cavinato, che in realtà l'armamento e il vestiario del San Marco erano interamente italiani, senza nessun contributo da parte degli Alleati. Eventuali capi di vestiario inglesi, come gli impermeabili di cui parla il Sig. Cavinato, erano indossati, se posseduti, a titolo strettamente individuale ed eccezionale. La divisa del San Marco a Cassino è descritta da Manzari (1994): “Gli arditi vestivano la tuta mimetica; gli altri indossavano divise di tela kaki, con maglione e cappotto grigioverde, scarponi e gambaletti da sbarco di tela olona; basco nero con ancorette metalliche al posto del leone; mancavano, per impossibilità di reperimento, le manopole con i leoni sui risvolti del camisaccio” ed è confermata da Pieri (parte 1, pag. 20): “Il vestiario comprendeva una uniforme di tela cachi che era in uso alla marina coloniale, un maglione grigio verde, un pastrano della fanteria, basco con ancora di metallo e uose da sbarco”. Circa la marcia notturna a piedi verso Valvori, il reduce Vittorio Bonamore precisa, confermando quanto sopra, “siamo vestiti solo con divise di tela coloniali e ci inzuppiamo fino alle ossa” (comunicazione personale).

Il termine “trincea” che usa Cavinato richiede, credo, una precisazione. Nessuna fonte ricorda su questo fronte da parte alleata “trincee” nel senso di lunghi camminamenti scavati nel terreno stile Prima Guerra Mondiale, e Bonamore mi ha confermato che non c'erano nel settore del San Marco “trincee” in questo senso. Credo che Cavinato intenda col termine “trincea” uno o l'altro delle fortificazioni difensive di cui è documentata la presenza sul fronte del San Marco (v. p. es. Oldfield, pag. 63 e Pieri, parte 2, pag. 21) e cioè: (1) ripari costituiti da muretti di pietre a secco (“come delle trincee profilate fuori terra” - Oldfield, pag. 63); il San Marco usava questo tipo di protezione sulle creste montuose, dove la pietraia impediva lo scavo; (2) buche scavate nel terreno, a volte coperte, che potevano contenere da due a cinque uomini. Cfr. Pieri (parte 2, pag. 21): “Tutte le postazioni [del settore di Valvori] erano buche a cielo aperto, alcune più grandi e profonde coperte da tronchi e pietre con feritoie per i mitragliatori, le cosiddette case matte, che di giorno servivano per la squadra, e quando pioveva purtroppo si riempivano d'acqua”.
Secondo Bonamore il San Marco non fece mai opere di scavo e tutte le buche furono ereditate dai precedenti occupanti (francesi o inglesi).
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10 aprile

Il 10 aprile il San Marco aveva completato il suo dispiegamento sulla linea del fronte. Il Comando del XIII° Corpo d'Armata britannico si complimentò per l'efficienza della manovra. Scrive Fulvi (pag. 32):

“...la sistemazione era stata completata, e nonostante l'oscurità, le avverse condizioni atmosferiche e la difficoltà della lingua, tutto era avvenuto in buon ordine e senza incidenti. Ciò sarebbe stato l'indomani [10 aprile] motivo di compiacimento ed elogio da parte del Comando Britannico”.

Se a prima vista i complimenti possono sembrare eccessivi, è bene leggere il Diario di Guerra del Reggimento canadese Westminsters, cui il San Marco era collegato, che completò la stessa manovra nella stessa zona il giorno dopo:

“La sostituzione dei reparti precedenti (che avevano preso il nome di “Preston Force”) durante la notte dell'11 Aprile [da parte del Westminsters] fu uno dei compiti più ardui e fisicamente sfibranti che mai capitarono al Reggimento” (Oldfield, pag. 62).

Circa lo schieramento del San Marco a Cassino scrive sempre Fulvi (ibidem):

“Il settore affidato al San Marco era lungo poco più di 2 Km e confinava a destra e a sinistra con posizioni tenute dai reparti dell'8a Armata di varie nazionalità. Dietro le posizioni del San Marco, in seconda linea, postazioni di mortai e di artiglieria canadesi, neozelandesi ed indiane. Il fronte del Bafile era organizzato come segue: due compagnie tenevano la linea, la terza era di rincalzo; rientro in linea dopo dieci giorni per quella in tale posizione. In linea una compagnia presidiava la testa di ponte sulla riva destra del Rapido; comando di compagnia a Valvori, con un plotone a protezione, un plotone guarniva la postazione di Monte Cicurro, a nord ovest dell'abitato; un altro plotone con base a Mulino del Vado sul fiume presidiava le postazioni scaglionate su tre alture vicine indicate come quota 954, che fungeva anche da osservatorio, quota 508 e quota 907. Le postazioni erano defilate al tiro diretto (ma, ovviamente, non a quello dei mortai) il terreno fra l'una e l'altro era invece scoperto. Inoltre la distanza fra una postazione e l'altra era abbastanza grande quindi, onde impedire infiltrazioni durante la notte e con nebbia, occorreva integrare l'osservazione con frequenti pattugliamenti. I collegamenti erano assicurati a mezzo di una rete telefonica da campo installata dai britannici ed integrata con i buoni apparati R.T.F. Mod. 2 previsti per le Forze da Sbarco della Regia Marina. L'area a cavallo del Rapido era la più difficile ed esposta, mentre lo era meno quella più a nord, al di qua del Rapido, nella valle detta dell'Ancina, presidiata dall'altra compagnia in linea. Anche tale area prevedeva alcune postazioni, ma esse erano meno esposte e più lontane dalla linea tedesca, dalla quale erano separate da un'ampia fascia di terra di nessuno. La compagnia di rincalzo era sistemata a circa due chilometri dal fiume, accampata presso un cascinale dove era installato il comando tattico del battaglione, a poco più di un chilometro dal grazioso paesino di Vallerotonda. I mortai e le mitragliatrici pesanti furono piazzati tutti al di qua del Rapido. I primi in posizione adatta per battere le postazioni tedesche quando esse venivano individuate o in caso di iniziative nemiche; le mitragliatrici nei punti idonei a battere d'infilata o con opportuni incroci di fuochi le possibili vie di penetrazione. Anche queste armi pesanti erano però a distanza di tiro dal nemico e si era resa perciò necessaria un'accurata mimetizzazione. Il plotone “esploratori” o “arditi” come tutti lo chiamavano, non era dislocato in linea ma tutte le notti era quasi totalmente impiegato in azioni di pattuglia. Le posizioni della testa di ponte ed anche quelle al di qua del fiume venivano costantemente attaccate, specialmente di notte, da consistenti pattuglie nemiche. Si rendeva necessario dunque, oltre allo svolgimento di una continua attenta osservazione per controllare i movimenti dell'avversario, difendersi dagli attacchi e svolgere attività di pattuglia oltre la propria fronte, sia per contrastare le analoghe iniziative nemiche, sia per acquisire informazioni sullo schieramento tedesco.”

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11 aprile

L'11 aprile il San Marco contava il suo primo caduto sul fronte di Cassino. Riferisce Fulvi (pag. 36):

2446
“Un duro scontro di una nostra pattuglia di arditi svolto nella notte fra il primo e il secondo giorno di permanenza in linea comportò la morte, l'11 aprile, di un valoroso marinaio torinese, l'ardito Domenico Cortese, che fu il primo caduto del fronte di Cassino”.

L'immagine qui di lato, tratta dal libro di Fulvi, ritare la sepoltura dell'ardito Cortese.
Sulla croce si possono leggere le parole: CORTESE DOMENICO, MA [matricola]12605 [o forse 42605?]. REGG. S. MARCO 1° BATG BAFILE PLOTONE ARDITO. CADUTO IN COMBATTIMENTO Q. 479 M. CICURRO 11-4-944.
Sulla croce, in alto sotto l'elmo, si vede un gladio coronato da serti di fronde, distintivo degli Arditi fin dalla Prima Guerra Mondiale.

La data in cui Domenico Cortese è caduto è certa, perché la si legge anche sulla croce tombale ritratta nella foto. Invece, nel resoconto di Fulvi c'è probabilmente un errore, perché la notte sull'11 era quella fra il secondo e il terzo giorno di permanenza in linea, non fra il primo e il secondo. Probabilmente Fulvi aveva ancora il ricordo di come il San Marco avesse subito perdite non appena giunto in prima linea, e ne ha tratto questa probabile piccola imprecisione.
Antonio Ricchezza (1958) riporta un elenco dei caduti italiani nella Guerra di Liberazione. Alle pagine 48-49 erroneamente elenca i caduti del San Marco fra quelli della Divisione Paracadutisti “Nembo” e fra gli altri cita anche l'ardito Domenico Cortese, indicato come “Art. [probabile lapsus calami invece di Ard.=Ardito] CORTENSE Domenico”. E' il primo nome dell'elenco dei Caduti del San Marco. Molti altri purtroppo lo seguono, e a tutti va il nostro grato ricordo di uomini liberi.

Sempre in data 11 aprile l'Intelligence del XIII° Corpo d'Armata britannico (da cui il Bafile dipendeva) compilò, come ogni sera, una relazione riguardante l'attività dell'artiglieria tedesca fra le 18,00 del 10 aprile e le 18,00 dell'11. Questa relazione, contrassegnata “Segreta” è rimasta per alcuni decenni fra le carte di un reduce del XIII° Corpo d'Armata ed è quindi giunta in mio possesso. Si tratta di un foglio dattiloscritto su due facciate, intitolato “13 Corps (Right Sector) Counter Battery Intelligence Report No. 12”. Il settore destro del XIII° Corpo britannico comprendeva l'alta valle del Rapido dove aveva preso posizione il San Marco con la “Corbould Force”. La relazione è fitta di nomi, ore e sigle. Vale la pena riportarne qualche stralcio, che rende l'idea di come si svolgessero le giornate sul fronte di Cassino nell'aprile 1944. All'inizio si legge:

“Fuoco ostile intermittente [“intermittent HF”] è stato riportato la notte scorsa dalle 18,30 fino a mezzanotte, dopodiché c'è stata la solita calma fino alle prime luci. L'attività è ricominciata di nuovo alle 5,30 e dopo l'abituale “Scarica di Odio dell'Ora di Colazione” [“Breakfast Hate”] delle ore 08,00 circa, l'artiglieria nemica si è scostata dalla sua normale routine di ridursi a un'attività di fuoco ostile sporadica e ha continuato invece a rimanere attiva durante tutta la mattinata. L'attività è cessata solo dopo che un “programme” [letteralmente "programma"] è stato sparato su alcune HB [Hostile Base, basi nemiche?] nell'area di Vallegrande alle 12,35. Il bersaglio principale dell'artiglieria nemica sono state la strada e le postazioni di cannoni ad est di S. Elia. I “Sound Rangers” [un'unità speciale che localizzava l'artiglieria nemica servendosi di rilevazioni sonore] sono stati ben bene impegnati per 24 ore ottenendo 5 localizzazioni [di postazioni nemiche].

Il rapporto prosegue indicando l'orario di attività di specifiche batterie nemiche e le specifiche zone che esse bombardarono. Risulta che cannoni tedeschi spararono da località situate a nord di S. Giuseppe, da Atina, da Monte Silara, da Vallegrande. Nel pomeriggio l'attività dell'artiglieria diminuì, con l'eccezione di due sezioni di cannoni nell'area di Terelle e di una postazione che bombardò la città di Cassino. Si riporta anche, sempre usando codici numerici, l'attività di controbatteria degli Inglesi e, in una occasione, dei Polacchi. Si legge infine, in chiusura del documento:

2457
“Sia Cassino che il villaggio di Cairo sono stati attaccati dall'area Belmonte-M. Silara (7932) durante il giorno. Proiettili [“bombards”] sparati contro l'area sospetta 822300 e una localizzazione da parte dei Sound Rangers di un cannone a 801299 hanno avuto scarso effetto. Oggi sono state ricevute ulteriori coordinate che passano attraverso le tre aree sospette dove si intersecano le linee di griglia 7826 e 7928 e il quadrato 7829. Fotografie di queste aree scattate ieri sono sfortunatamente risultate oscurate dalle nuvole”.

Il rapporto è firmato “Capt. RA. Counter Battery Officer, 13 Corps (Right Sector)”.

Le aree descritte nel rapporto che furono oggetto di fuoco da parte dell'artiglieria tedesca il 10-11 aprile sono evidenziate nella carta qui a lato.

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12 aprile

Non accadde al fronte, ma il 12 aprile 1944 la radio diffuse l'annuncio dell'abdicazione del Re Vittorio Emanuele III. Si tratta di un testo poco conosciuto che mi sembra utile riportare per intero, citandola dall'opera di Agostino Degli Espinosa (pag. 334):

"Il popolo italiano sa che sono stato sempre al suo fianco nelle ore gravi e nelle ore liete. Sa che otto mesi or sono ho posto fine al regime fascista e ho portato l'Italia, nonostante ogni pericolo e rischio, a fianco delle Nazioni Unite, nella lotta di liberazione contro il nazismo. L'Esercito, la Marina, l'Aviazione, rispondendo al mio appello, si battono intrepidamente da otto mesi fianco a fianco con le truppe alleate. Il nostro contributo alla vittoria è, e sarà, progressivamente più grande. Verrà il giorno in cui, guarite le nostre profonde ferite, riprenderemo il nostro posto, da popolo libero accanto a nazioni libere. Ponendo in atto quanto ho già comunicato alle autorità alleate e al mio governo, ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente Generale mio figlio Principe di Piemonte. Tale nomina diventerà effettiva, mediante il passaggio materiale dei poteri, lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma. Questa mia decisione, che ho ferma fiducia faciliterà l'unità nazionale, è definitiva e irrevocabile.”

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14 aprile

Il 14 aprile 1944 le fonti non consentono di individuare con certezza avvenimenti specifici. Tuttavia Luigi Fulvi riferisce (pag. 36) che

“pochi giorni dopo [ci si riferisce alla morte dell'ardito Cortese], in uno scontro col nemico avvenuto nei pressi di quota 907 cinque marinai furono tutti feriti gravissimamente e solo uno di essi riuscì a salvarsi rientrando faticosamente al reparto”.

Poiché come già più sopra ricordato la morte dell'ardito Cortese avvenne l'11 aprile, lo scontro a quota 907 avvenne intorno al 14 aprile.
In tutto il periodo in cui il San Marco rimase a Cassino, tutte le notti uscivano pattuglie di marinai che si avventuravano nella “terra di nessuno” fra i due schieramenti. Scrive il reduce Luigi Cavinato (pag. 51):

“La cosa però che non vorresti mai essere chiamato a fare è andare di pattuglia nella terra di nessuno. Il tenente prende con sé due di noi, a turno, ti consegna un mitra con due caricatori e una bomba a mano. A me è capitato di partecipare una volta, durante la permanenza in prima linea. Si parte di notte, ci comunicano la parola d'ordine, che è in inglese. Ne ricordo due: “pipe-tobacco” e “bred-butar” ["bread-butter”]. Durante la perlustrazione, se avverti qualche rumore sospetto, il tenente grida “alt-pipe” e l'altro, se c'è, deve rispondere “tobacco” altrimenti si spara in tutte le direzioni. Naturalmente la parola d'ordine cambia ad ogni uscita. E' un'esperienza che ti mette a dura prova: senti che la vita è appesa al sottile filo della fatalità”.

Una curiosità per me interessante: le parole d'ordine venivano cambiate tutte le sere, e “pipe-tobacco” (anzi per la verità “tobacco-pipe”) era una delle due parole d'ordine che anche mio padre ricordava...
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15 aprile

Il 15 aprile 1944 il San Marco passò dalle dipendenze della IVa Divisione di Fanteria britannica a quelle della IIa Divisione Neozelandese, che assunse il comando del settore della valle del Rapido. Pertanto cessò di essere alle dipendenze del XIII° Corpo d'Armata inglese per passare a quelle del X° Corpo d'Armata inglese. Continuò a rimanere collegato al Reggimento Westminsters costituendo con esso una struttura “ad hoc” chiamata come già detto “Corbould Force”. Cfr. la già citata relazione del Canadian Army Headquarters (1953): “on 15 Apr, command of the sector was relinquished by the British division and taken over by 2 NZ Div”. Conferma Fulvi (pag. 37): “Intorno a metà di aprile il battaglione [Bafile] passò dalla IVa Brigata britannica alle dipendenze della 2a Divisione Neo Zelandese, comandata dal Generale Freybergh”. Notare la differente terminologia con cui viene indicata l'unità britannica (“Division” nel documento canadese, “Brigata” nel libro di Fulvi).
Sempre in data 15 aprile il comando dell'11a Brigata di Fanteria Canadese redasse un rapporto di “intelligence” di cui possiamo venire a conoscenza perché è riportato in sintesi nella relazione sopra citata (Canadian Army Headquarters, 1953). Dalla sua lettura si poteva evincere che gli Alleati conoscevano solo vagamente la composizione delle unità tedesche dall'altra parte del fronte. Sulla parte sinistra “si presumeva che la Brigata Alpina di S.S. “Doehla” ["S.S. Doehla Mountain Brigade"] fosse in linea”. Sulla parte destra “si pensava che la 5a Divisione Alpina occupasse ancora le sue posizioni”. Ancora meno informati dovevano essere i tedeschi, se è vero che, come si legge nel resoconto canadese, alcuni giorni dopo che i Canadesi (e gli Italiani) erano in linea il nemico continuò ad inviare volantini di propaganda scritti in arabo ed in francese (come si sa la zona era stata in precedenza conquistata e presidiata dal Corpo di Spedizione Francese). “Una vigorosa attività di pattuglia da parte del nemico fu interpretata come a significare che i tedeschi erano incerti circa l'identità dei loro avversari come i Canadesi lo erano dei loro”, cioè entrambi gli schieramenti non erano ben sicuri di chi ci fosse davanti a loro.
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17 aprile

“Il 17 [aprile] su Monte Cicurro cadeva, mentre era di pattuglia, l'aspirante guardiamarina Augusto Albanese” (Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1998, pag. 363). Antonio Ricchezza nell'opera già citata lo elenca fra i Caduti (pagg. 48 della seconda parte del suo libro) come “Asp. [Aspirante Guardiamarina] Albanese Cesare”. In realtà il nome esatto del Caduto era Augusto Cesare Albanesi (con la “i”), nato il 17/5/1922, allievo del Corso di Stato Maggiore dell'Accademia Navale di Livorno (Annuario della Regia Accademia Navale, anno 1941-42*XX). Abitava a Roma ed era figlio di madre vedova. Del tutto recentemente ho avuto il privilegio di conoscere e incontrare il Sig. Vittorio Bonamore, che fu sottotenente del Genio Navale con il San Marco a Cassino e oltre. Il Sottotenente Bonamore comandava un plotone fucilieri della 2a Compagnia del San Marco, il Guardiamarina Albanesi comandava un altro plotone della stessa Compagnia. Bonamore era molto amico di Albanesi, per il quale ha avuto parole di ricordo quasi fraterno. Egli mi ha meglio precisato, correggendo in parte le fonti scritte, le circostanze della sua morte. L'Aspirante Guardiamarina cadde non mentre era di pattuglia ma a seguito di un improvviso attacco tedesco contro la postazione del San Marco che Albanesi comandava. Egli reagì prontamente lanciando una bomba a mano che, come ha raccontato il reduce, “portò via la faccia a un tedesco” colpendolo al viso. Il tedesco fece ancora in tempo a esplodere una raffica contro Albanesi colpendo mortalmente alla gola l'allievo ufficiale italiano. Sia Albanesi che il tedesco furono sepolti nel cimitero del San Marco a Valvori. Mi sono recato col Sig. Bonamore a Mulino del Vado, caposaldo che egli aveva occupato e comandato per un periodo. Alzando lo sguardo verso le alte creste montuose che sovrastano il Vado d'Acqua, mi ha detto che lassù si trovava la postazione dove morì Albanesi.
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18 aprile

“Sotto la data del 18 aprile 1944 cominciò ad avere pratica ed effettiva attuazione la trasformazione del I° Raggruppamento Motorizzato italiano in Corpo Italiano di Liberazione. La data di nascita di quest'ultimo deve quindi essere considerata quella riportata sopra [appunto 18 aprile] (Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, 1950, pag. 7). Il cambiamento di denominazione era per la verità già stato deciso molto tempo prima. In data 3 aprile lo Stato Maggiore del Regio Esercito comunicava “L'A.C.C. [Allied Control Commission] ha comunicato che è stato autorizzato che la nostra G.U. [Grande Unità] combattente venga chiamata "Corpo Italiano di Liberazione" con decorrenza dal 22 marzo u.s. Costituzione e dipendenze rimangono invariate. Evitare l'uso dell'abbreviazione C.I.L. [sic! - penso che fosse troppo simile a GIL, Gioventù Italiana del Littorio] (Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, 1986, All. 37). Il mutamento, tuttavia, non era stato divulgato, tanto che ancora l'indomani, il 19 aprile 1944, il Capo di Stato Maggiore Gen. Messe scriverà al Ministero degli Affari Esteri: “Per riservata notizia di codesto Ministero comunico che, in seguito ad autorizzazione della Commissione Alleata di Controllo, dal 2 marzo c.a. la Grande Unità Italiana operante con le Armate Anglo-Americane ha assunto il nome di Corpo Italiano di Liberazione” (Autori Vari, in: Rivista di studi politici internazionali, 2004).
Nel riassumere le Unità chiamate a far parte del C.I.L., il Gen. Messe scriveva fra l'altro: “Il “Bafile” è in linea alle dipendenze del XIII C.A. Inglese” (ibidem) [3].
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20 aprile

“La mattina era soleggiata, tutto era calmo e non si sentiva uno sparo. Stavamo uscendo dal comando [a Valvori] con i viveri, quando vedemmo un marinaio scendere dalla strada, al coperto dal muro di una casa e, in quel preciso istante, sentimmo un colpo di mortaio con il conseguente tipico sfarfallio. Ci buttammo a terra e dopo lo scoppio alzammo gli occhi e vedemmo il marinaio accasciato al suolo. Corremmo presso di lui, sul momento non sembrò avere gravi ferite, ma poco dopo morì senza un lamento. Sul camisaccio all'altezza del cuore si vedeva un piccolo foro bruciacchiato. Una piccola scheggia lo aveva colpito al cuore. Era di Trieste” (Pieri, parte 2, pag. 8). “...un'altra scheggia di mortaio, piccolissima, aveva fulminato, trapassandogli il cuore, il marinaio Menghini, triestino, incautamente uscito allo scoperto, di giorno, da una casa di Valvori, dove era al riparo la sua squadra” (Fulvi, pag. 36).
Queste due narrazioni si riferiscono evidentemente allo stesso episodio, che un po' di ricerca consente di datare con buona probabilità al 20 o 21 aprile 1944. Infatti Fulvi dice che l'episodio avvenne “pochi giorni prima” del 23 aprile, e Pieri dice che era una mattina soleggiata. Nel diario dell'allievo ufficiale Gino Damiani (pubblicato postumo dal figlio Ernesto), in forza al Corpo Italiano di Liberazione qualche chilometro più a est, nel settore di Monte Marrone si legge in data 20 aprile “finalmente torna il sole” dopo un periodo di brutto tempo, mentre il 22 era brutto tempo (Damiani, pag. 120). Siccome la morte del marinaio Menghini di Trieste è avvenuta una mattina di sole pochi giorni prima del 23 aprile, essa può essere datata al 20 o al 21 aprile.

Camminare all’aperto nella valle del Rapido durante la primavera del 1944 era un’attività molto pericolosa. “Tiri d'artiglieria e di mortaio erano continui e rendevano ragione della maggior parte delle perdite” (Canadian Army Headquarters, 1953). Secondo il diario dei Westminsters (Oldfield, pag. 63), “I movimenti durante le ore diurne erano impossibili, ed era obbligatorio un qualche riparo”, che spesso veniva costruito sotto forma di “sangar”, termine con cui i veterani Indiani avevano chiamato delle basse fortificazioni costruite con muretti di pietre, “come delle trincee profilate fuori terra” (Oldfield, ibidem). Si veda su questo sito anche la testimonianza del Sergente Fred West, dello stesso Reggimento Westminsters cui il San Marco era collegato: “le nostre posizioni erano sotto osservazione durante il giorno, così che alle prime luci del giorno ci spostavamo [al riparo] dietro il cimitero ed occupavamo le nostre posizioni di notte”. Anche mio padre fu in una occasione il bersaglio dell’artiglieria tedesca durante le ore diurne (v. l'articolo su questo sito).
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21 aprile

“Il 21 [aprile] il reggimento Westminsters [componente la “Corbould Force” con il San Marco] , che rimaneva in prima linea con un minor numero di perdite rispetto alle altre unità, ebbe l'onore di fare il primo prigioniero, che fu “trattenuto” quando una pattuglia tedesca si avventurò troppo vicino ai Canadesi” (Canadian Army Headquarters, 1953).

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22 aprile

1812
Il 22 aprile cadeva a Monte Cicurro durante un attacco tedesco notturno il Sergente Cannoniere Giovanni Antonioli. Si legge nell'atto di morte stilato dal Tenente Medico Arturo Mutti e dal Tenente Cappellano Don Roberto Sighinolfi [4]: “...morto in seguito a ferite da schegge di mortaio; ferite multiple in tutto il corpo”. Era nato il 14 novembre 1921 a Mazzano e abitava a Marcheno, in provincia di Brescia. A. Ricchezza (pag. 48 della seconda parte del suo libro) lo ricorda fra i Caduti come “Cann. [Cannoniere] Antoniolli Giovanni”.

Per chi legge questo sito il Sergente Cannoniere Giovanni Antonioli ha un'importanza particolare, in primis in quanto volontario caduto in guerra, ma non di meno perché è grazie a lui (in un certo senso) che la ricerca sul battaglione Bafile del Reggimento San Marco ha subito un impulso direi decisivo. Qualche anno fa il suo concittadino Valentino Rossetti ha con intraprendenza raccolto le prime notizie su questo Caduto “anomalo” (un marinaio caduto in mezzo alle montagne) e le ha pubblicate su questo sito. Di qui la ricerca che ne è seguita, comprese queste mie stesse note.
Grazie alla testimonianza del reduce Luigi Cavinato, commilitone di Antonioli, le circostanze in cui questi cadde hanno potuto essere ricostruite e ne è stata data relazione su questo sito. Nella stessa azione in cui cadde Antonioli fu ferito il Furiere Luigi Cavinato, autore delle memorie da cui ho tratto l'informazione, il quale per quella azione venne insignito di Croce di Guerra al Valor Militare. Altri furono colpiti, ma non ne sappiamo i nomi né la sorte. Notizie in merito (rivista San Marco, già citata) sono meno precise e non consentono, per motivi che sarebbe lungo discutere, conclusioni certe sui nomi degli altri feriti o caduti in quella occasione.
Di certo si sa solo che l'attacco tedesco venne infine respinto.
Come la grande maggioranza dei volontari del San Marco anche il Sergente Cannoniere Giovanni Antonioli era reduce dalla guerra sul mare. Nella documentazione che mi ha a suo tempo fatto avere Valentino Rossetti si legge che era stato imbarcato come Sottocapo Cannoniere P.M. (puntatore mitragliere) sul Cacciatorpediniere “Premuda” a bordo del quale aveva partecipato alla vittoriosa Battaglia di Pantelleria (http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_mezzo_giugno) ottenendo la Croce di Guerra al Valor Militare sul campo. Promosso Sergente l'1/4/43, sbarcò dal Premuda il 31/8/1943. Fu subito imbarcato sull'Incrociatore “Garibaldi” che una settimana dopo a seguito dell'armistizio si consegnò agli Inglesi trasferendosi a Malta. Nonostante potesse a questo punto godere di una vita relativamente tranquilla, il Sergente Cannoniere Giovanni Antonioli scelse tuttavia di dare ancora il suo contributo alla Patria sul campo di battaglia e si arruolò volontario nel Reggimento San Marco. Fu incorporato nel Reggimento il 15 dicembre 1943. Cadde in combattimento sotto un attacco tedesco, nelle circostanze di cui si è detto, il 22 aprile 1944.

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23 aprile

2447
“Il 23 aprile era morto a seguito di ferite da schegge di mortaio il Capo Silurista Mauro Ciaramelli” (Fulvi, pag. 36). Con la scusabile imprecisione che ormai gli conosciamo, Antonio Ricchezza (pag. 48 della seconda parte del suo libro) lo ricorda come “Cap. [immagino sia una abbreviazione imprecisa di “Capo”, grado tipico ed esclusivo della Marina] Ciaranelli Marco”. Nell'elenco dei Caduti stilato da Ricchezza (pag. 48 della seconda parte del suo libro), il nome di Ciaramelli viene immediatamente dopo quello di Antonioli, caduto il giorno prima, 22 aprile (v. sopra). L'identità della causa di morte (ferite da proiettili di mortaio) e la contiguità della data (22-23 aprile) mi fanno pensare che forse Ciaramelli sia stato ferito nella stessa azione in cui è caduto Antonioli, e sia deceduto il giorno dopo per le ferite riportate.

La fotografia della sepoltura del Capo Silurista di Prima Classe Mauro Ciaramelli mi è stata inviata da Alberto Turinetti di Priero ed è visibile qui a lato. Come quella di Domenico Cortese si riferisce al primo cimitero di guerra del Bafile, che era situato in un uliveto a Valvori. In seguito questa e altre sepolture sono state trasferite al Sacrario di Montelungo o in sepolture private nei luoghi d'origine.

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24 aprile

“Due volte, il 23 e il 24 aprile, aerei nemici comparvero sopra le nostre teste ma furono respinti, si pensò con qualche [loro] perdita” (Canadian Army Headquarters, 1953). L'attività della Luftwaffe a Cassino era in quel periodo abbastanza intensa anche se in generale concentrata più a ovest, sul fronte della Quinta Armata USA dove più immediata era la minaccia per la città di Cassino: “...sul fronte della Quinta Armata, appena ad ovest [dei reparti canadesi nell'alta Valle del Rapido] la Luftwaffe era piuttosto attiva e quindi mimetismo e copertura erano della massima importanza [anche nel settore dei Canadesi] (ibidem). Di questo attacco aereo tedesco in data 24 aprile si trova traccia anche nel diario di Gino Damiani che in data 24 aprile, di stanza nel settore di Monte Marrone, scriveva “...ad ovest di Cassino razzi e violento bombardamento tedesco. Che fuoco! La formazione tedesca, sia all'andata che al ritorno, ha sorvolato noi...” (Damiani, pag. 121).
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25 aprile

2456
Il 25 aprile 1944 un giovane Sottotenente del San Marco, già allievo della Regia Accademia Navale di Livorno, scriveva una pregnante pagina del suo diario trascritta nella parte di questo sito a lui dedicata. Si chiamava Luigi Laviosa ed era originario della Val di Non in provincia di Trento. Luigi Laviosa cadrà a seguito di ferite riportate in combattimento a Belvedere Ostrense pochi mesi dopo, il 21 luglio 1944. Dopo la guerra le sue spoglie saranno sepolte ai piedi delle sue Alpi dove tuttora riposano (http://valledelleden.blogspot.com/2008/11/leroe-dimenticato-luigi-laviosa-1922.html).
Nella pagina del 25 aprile Laviosa dice che di fronte a lui, mentre stava scrivendo, parlava al telefono l'ufficiale canadese di collegamento, di nome Douglas. Un paio d'anni fa ho trovato in rete il numero di maggio-giugno 2002 del periodico canadese “Forum”, definito “A Publication of the Association of British Columbia Professional Foresters”.Contiene il necrologio di Ross. R. Douglas, 1914-2002 che, si legge, “Per sei anni a partire dal 1939 ... prestò servizio nell'Esercito Canadese, in particolare con il Reggimento Westminster con il quale passò due anni in Italia”. La stessa rivista pubblica la foto di Ross Douglas, visibile qui a lato. Il reduce canadese Sig. Fred West mi ha confermato che si tratta proprio di quel Ross Douglas che sessantacinque anni fa stava parlando al telefono dinanzi a Laviosa. Dopo la guerra divenne un membro di spicco dell'industria forestale canadese.
Nella pagina del diario datata 25 aprile, il Sottotenente Laviosa riporta notizie sulle operazioni in corso (“...si attende un attacco all’ala sinistra giù nella valle, dove è ora la nostra 3a compagnia e gli Arditi. Ci sono pattuglie nemiche non lontane. Il mio capitano è fuori per andare alle postazioni e so che non è arrivato a destinazione” e così via) ma la frase che più resta impressa è l'ultima: “Ho ventidue anni compiuti. Talora mi sento bambino, talora uomo. Talvolta mi sembra che tutto sia finito e piango sulla natura umana; talvolta, come in questo momento, la fiducia mi sostiene.”.

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27 aprile

2457
Il 28 aprile 1944 il servizio informazioni (“Intelligence”) del XIII Corps inglese compilava il secondo dei due rapporti giornalieri sull'attività di artiglieria tedesca che sono arrivati in mio possesso, il primo è quello di cui ho relazionato con riferimento alla data del 11 aprile. Il rapporto del 28 aprile si riferisce al giorno precedente, 27 aprile 1944. Mentre l'11 aprile l'attività prevalente era stata contro il settore a nord-est di Cassino, il 27 l'artiglieria tedesca si concentrò soprattutto su Cassino e a sud della città. Come già per il 10-11 aprile l'unica zona del settore nord-est di Cassino che fu cannoneggiata il 27 è visibile nell'immagine qui a lato.
Ringrazio l'amico Alberto Turinetti di Priero che mi ha svelato il significato dei codici usati dagli artiglieri e mi ha fatto avere la mappa usata dagli Inglesi nel 1944, mettendomi così in grado di identificare (almeno con una certa approssimazione) le località che furono bombardate dai Tedeschi nelle due date.

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28 aprile

“Il 28 aprile uno dei più pesanti bombardamenti di mortaio, stimato in oltre 400 bombe, cadde sul settore Valvori-Cicora [intende dire Valvori-Cicurro], che comprendeva la Compagnia “A” del Reggimento Westminster” (Canadian Army Headquarters, 1953). La Compagnia "A" dei Westminster era posizionata a Valvori. Mi scrive il Sergente Fred West, reduce del Westminster (v. articolo su questo sito):

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0156
“...il Maggiore Mahony [lo stesso che ricevette poi la Victoria Cross sul fiume Melfa] era il Comandante della Compagnia “A”, che era l'unica Compagnia a Valvori” e più avanti “La mia sezione era posizionata sul limitare di un cimitero proprio in cima alla cresta davanti a Valvori ... i Marines erano posizionati al nostro fianco destro”.

Il San Marco era presente in tutto il settore Valvori-Cicurro (cfr. Fulvi, pag. 32, e altri).
Scrive ancora il Sergente Fred West:

“Ricordo i fanti di marina italiani [“Marines”nel testo inglese] che erano aggregati [“attached”] alla mia compagnia, ricevettero un bombardamento molto brutto una notte, non ricordo quante furono le loro perdite, ma fu un fuoco molto intenso e sono certo che ebbero delle perdite”.

Il Sergente West ritiene che le postazioni del Bafile fossero particolarmente vulnerabili perché i marinai, inesperti della guerra a terra, facevano troppo rumore nei loro spostamenti consentendo ai tedeschi una facile identificazione. Anche il Sergente Orme Payne, altro membro della Compagnia "A", secondo Fred West (v. articolo su questo sito), ricorda la notte in cui i tedeschi cannoneggiarono il Bafile:

“Ricordo la notte in cui i Tedeschi identificarono l'unità Bafile – fu un completo macello. Ho spesso pensato che quel bombardamento voleva essere una lezione perché non si erano schierati dalla loro parte”.

Il diario dei Westminsters (Oldfield, pag. 65) situa il bombardamento d'artiglieria nel suo contesto di quella notte: esso si inseriva in uno sforzo “determinato” da parte dei tedeschi per catturare prigionieri alleati (forse visto quanto riportato più sopra per il 15 aprile), più precisamente costituiva la “preparazione” di un attacco. Il fuoco d'artiglieria uccise “cinque o sei difensori italiani”. “Immediatamente appena il fuoco cessò una formazione tedesca attaccò “vigorosamente” facendo due prigionieri”.

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29 aprile

In data 29 aprile 1944 il Guardiamarina Luigi Laviosa scriveva nel suo diario: “Qui in questo momento si sta dirigendo il fuoco delle nostre artiglierie. La mia compagnia è partita di qui ieri per cinque giorni di riposo a Vallerotonda. Io la seguirò domani; sono rimasto qui solo per aiutare il collegamento con la 1a Comp. che ci rileva. Tra una settimana andremo tra Valvori e Monte Cicurro, posizioni pericolose”. Il Guardiamarina Luigi Laviosa cadrà poi il 21 luglio 1944 nella battaglia di Belvedere Ostrense, vicino a Jesi.
Ferito da un proiettile di artiglieria che gli asportò la massa muscolare di entrambe le cosce, venne trasportato in ospedale dove morì il giorno dopo, pare per setticemia (notizia che ho appreso dall'ex Sottotenente del San Marco Sig. Vittorio Bonamore).
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30 aprile

“Meno di 36 ore dopo” il bombardamento di artiglieria e la cattura di due prigionieri del 28 aprile, cioè in data 30 aprile 1944, i tedeschi lanciarono sopra le linee italiane dei volantini di propaganda in cui esortavano i marinai a “cessare la loro lotta senza speranza” e a “unirvi ai vostri fratelli al di là del Rapido” (Oldfield, pag. 64). Secondo il diario canadese (Oldfield, ibidem) i volantini vennero spostati dal vento e non raggiunsero le postazioni italiane. In realtà i volantini raggiunsero le linee italiane, tanto che Pieri (parte 1, pag. 22) ha ben presente che ci furono durante la permanenza sul fronte di Cassino due distinti lanci di volantini (il secondo in data 19 maggio, v. oltre) e ricostruisce l'episodio del primo dei due (evidentemente quello del 30 aprile):

“Una squadra si posizionò sul crinale che separava il paese di Valvori dal fiume Rapido. Ma le nostre linee in quel punto furono sopraffatte dai Tedeschi, proprio durante la distribuzione dei viveri nella notte [si tratta della cattura di marinai del 28 aprile, v. sopra; da notare qui una lieve discrepanza fra Oldfield e Pieri nella ricostruzione del fatto]. Due marinai persero la vita e quattro furono fatti prigionieri [secondo Oldfield, rispettivamente 5-6 e 2, v. sopra]. Fu l'unico episodio increscioso che il Bafile ebbe in 54 giorni di permanenza a Cassino [5]. In seguito, in una bella mattinata assolata ci furono sopra di noi delle esplosioni di “Schrapnell”: con sorpresa anziché la solita pioggia di schegge vedemmo scendere dei colorati manifestini. Manifesto con cui i Tedeschi chiedevano a noi marinai di disertare dandoci prigionieri ed offrendoci un salvacondotto con l'allettante promessa di ritornare alle proprie case. Nessuno credette a quella promessa”.

2471
Lo stesso 30 aprile 1944 nel campo tedesco decedeva a seguito di ferite riportate in precedenza il Caporalmaggiore Josef Koller. Il suo necrologio (“Sterbebild”) è visibile nell'immagine qui a lato, purtroppo la foto è stata asportata prima che il documento venisse in mio possesso. Anche se riteniamo sbagliata l'ideologia per cui questo giovane austriaco combatté e cadde, non possiamo evitare di sentirci toccati dal lato umano della sua morte. Il Caporalmaggiore apparteneva ai reparti del Genio (“Pionier”) ma viene definito “Gebirgsjager”, si può perciò ritenere che fosse aggregato alla 5a Divisione di Cacciatori delle Alpi (“Gebirgsjager”) che in quel periodo presidiava la linea Gustav a nord-est di Montecassino, da Masseria Albaneta lungo il lato destro del fiume Rapido. Una parte di questa linea era opposta al settore tenuto, fra gli altri, dal Reggimento San Marco. Nel necrologio si legge:

“Al nostro indimenticabile figlio e fratello, il Caporalmaggiore del Genio [“Pionier Obergefreiter”] Josef Koller. Figlio del maestro pittore a Erl presso Kufstein [in Tirolo, al confine con la Baviera], ha preso parte alle operazioni sul campo nei Balcani, a Creta e contro i Sovietici. Insignito della Croce di Ferro di 2a Classe, della Croce Militare del Regno di Bulgaria, della Medaglia al Valore [“Tapferkeit Ordenz”] di 4a Classe, della Medaglia dell'Est, del distintivo delle truppe d'assalto e del distintivo dei feriti. Il 30 aprile 1944 all'età di 24 anni trovò la morte da eroe sul fronte dell'Italia Meridionale presso Cassino dopo una grave ferita”. Sul lato opposto sotto la croce si legge “Lontano dall'amato paese natio il nostro intrepido Cacciatore delle Alpi [“Gebirgsjager”] sacrificò la sua promettente vita nel fiore degli anni per la santa madre patria”.

Toccante una lirica in cui si immagina che il Caduto si rivolga ai suoi cari:

”Miei genitori, fratello e sorella, non tornerò mai più da voi. L'ultimo pensiero e il mio ultimo sguardo tornarono rapidamente ancora a voi. Io so che voi piangete amaramente perché io così lontano sono affondato fra l'erba giù nella mia tomba oscura, dove solo risplendono le stelle silenziose. Quando io morii nella terra nemica là nessuno mi tese la mano”.

Per una breve cronistoria della 5. Gebirgsjägerdivision, si veda l'articolo:

LA 5A DIVISIONE CACCIATORI DA MONTAGNA (5. GEBIRGSJÄGERDIVISION)

L'autore ne traccia una breve cronistoria dalle montagne della Grecia all'isola di Creta, dal fronte di Leningrado alla Linea Gustav, dalla ritirata in Italia alle Alpi occidentali, fino alla sua resa agli alleati.

05/02/2005 | richieste: 6947 | ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
Spigolature | gebirgsjäger, germania, unità-reparti

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3 maggio

Il reparto canadese che aveva finora condiviso col San Marco il fronte nell'alta valle del Rapido si apprestava a ritirarsi, avvicendato da un reparto sudafricano. “Il 3 maggio 1944 arrivarono il gruppo di ricognizione e coordinamento [“Orders Group”] e le armi pesanti della Cavalleria Leggera Imperiale [“Imperial Light Horse”] del Reggimento Kimberley, e l'avvicendamento fu effettuato senza incidenti, anche se le avanguardie dei gruppi partenti furono letteralmente buttate giù per la discesa da un'impressionante dimostrazione pirotecnica del nemico”. (Oldfield, pag. 68).
“Alle 6 del pomeriggio del 3 Maggio la Batteria da Campagna 3/17 aveva raggiunto il punto di raccolta per avvicendare la 17a Batteria da Campagna dell'Esercito Reale Canadese. Con l'aiuto di due bull-dozers, i cannoni da 25 libbre furono spinti su per la terribile strada da Pozzilli ad Acquafondata, e il pomeriggio del 4 maggio il Reggimento 1/6 avvicendò i Canadesi” (Orpen, pag. 27). L'11a Brigata di Fanteria Canadese, che dal 9 aprile aveva tenuto la linea a nord-est di Cassino e a cui il San Marco era stato collegato, iniziava a ritirarsi dall'alta valle del Rapido. Era richiamato nelle retrovie per una riorganizzazione in previsione dell'ormai imminente attacco finale a Cassino e al suo posto iniziava a entrare in linea la 12a Brigata Corazzata Sudafricana. Il San Marco rimaneva al suo posto.
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4 maggio

Il 4 maggio continuò l'avvicendamento fra Canadesi e Sudafricani. Come già il giorno prima, anche oggi i Tedeschi fecero del loro meglio per disturbare l'avvicendamento. “Il 4 maggio, forse stimolato da un'aggressiva pattuglia della Compagnia “C” dei Cape Breton Highlanders, il nemico sparò oltre 500 bombe e schegge. Questo accadde come sequela di un breve e intenso scontro a fuoco nel quale la pattuglia lamentò alcuni caduti. Dopo questo gesto d'addio, l'11a Brigata di Fanteria Canadese si ritirò dalla prima linea il 5 maggio 1944, avvicendata dai Sudafricani, e si spostò di riserva nell'area di Capua e di Caserta”. (Canadian Army Headquarters, 1953). Il San Marco rimaneva sulle sue posizioni e non se ne sarebbe spostato fino a dopo la fine dell'operazione Diadem.
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5 maggio

Il 5 maggio alle 2 del mattino il comandante del reggimento sudafricano Imperial Light Horse/Kimberley (ILH/KimR), formato dalla fusione dei due Reggimenti omonimi, scriveva nel diario di guerra del reggimento: “Avvicendamento completato senza incidenti. Un battaglione di italiani (Baffile) [6] collegato al battaglione” (ILH/KimR war diary). Orpen (pag. 30) incorre probabilmente in un lapsus calami quando scrive “Alle 2 del mattino del 6 maggio l'avvicendamento dei Canadesi era stato completato senza incidenti di sorta, ...” in quanto l'ora e il testo sembrano la trascrizione esatta del diario dell'ILH/KimR mentre la data è sbagliata (era il 5, non il 6). Dopo l'avvicendamento del Westminster il Reggimento San Marco fu collegato, mantenendo lo stesso schieramento, al reggimento sudafricano Imperial Light Horse/Kimberley (ILH/KimR).
I reggimenti San Marco e ILH/KimR uniti vennero denominati “Reeves Force” dal nome del comandante sudafricano, Tenente Colonnello R. Reeves-Moore (Orpen, ibidem).

Tuttora i reggimenti “Light Horse” (erede dell'Imperial Light Horse) e “Kimberley” dell'Esercito Sudafricano annoverano “Cassino” fra i loro “Battle Honours” (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Light_Horse_Regiment#Battle_honours e http://en.wikipedia.org/wiki/Kimberley_Regiment#Battle_honours) [7]. E' al contrario notevole che la partecipazione del Reggimento San Marco alla battaglia di Cassino sia stata totalmente dimenticata fin quasi ai giorni nostri.
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6 maggio

“L'area del battaglione [ILH/KimR] è stata colpita da proiettili di cannone e di mortaio 6 volte durante il giorno” (ILH/KimR war diary).
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7 maggio

“Tiri intermittenti di cannone e di mortaio sul fronte del battaglione durante la notte” (ILH/KimR war diary).
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8 maggio

L'8 maggio il Generale Utili inviò al comandante del Btg. Bafile il seguente messaggio:

"Attraverso un arido elenco, chiesto a scopo puramente statistico, i soldati del I Raggruppamento Motorizzato hanno appreso con commossa fierezza di camerati e soprattutto di gente dello stesso sangue l'alto sacrificio in caduti e feriti che il Btg. Bafile ha già offerto alla causa della riscossa nazionale. In attesa di trovarci effettivamente spalla a spalla ad affrontare insieme in una compattezza fiduciosa e gagliarda le sorti di uno stesso combattimento, i soldati del I Raggruppamento Motorizzato lanciano ai fanti del mare il vibrante saluto del loro orgoglio e del loro affetto fraterno." (Ghetti, pag. 127).

Al fronte, durante la notte dall'8 al 9 maggio la Compagnia A dell'ILH/KimR, situata a Valvori dove si trovava anche il San Marco, fu fatta segno a un bombardamento di artiglieria molto intenso (“A Company spasmodically shelled and mortared” - ILH/KimR war diary)
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10 maggio

Il 10 maggio era la vigilia dell'attacco alla linea Gustav. Il Reggimento San Marco, sotto il comando neozelandese e collegato come già detto ai sudafricani, avrebbe partecipato all'imminente battaglia assieme alle unità alleate sul fianco destro del Corpo di Spedizione Polacco. Nella battaglia ormai prossima il compito delle Unità di questo settore sarebbe stato quello di “mantenere sicuro il fianco destro dell'Ottava Armata, e inoltre attuare un'azione dimostrativa nel settore della Seconda Divisione Neozelandese per far credere al nemico che avrebbe dovuto aspettarsi un attacco contro questa sezione del fronte, poco guarnita, attraverso la quale correvano le due strade in direzione di Atina” (Kay, 1967, pagg. 21-22)
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11 maggio

L'11 maggio 1944 quando la BBC trasmise il segnale orario delle 11 di sera ogni pezzo di artiglieria alleata sul fronte di Cassino aprì il fuoco in preparazione dell’attacco. Tutti i resoconti sono concordi nell'affermare che si trattò di un quadro tragico e impressionante.

“L'11 maggio, data nella quale i Polacchi tentarono il loro primo sanguinosissimo e sfortunato assalto a Cassino, fu l'inferno anche nel settore del San Marco. Dalle 23 esatte del 10 [sic – evidente refuso], un uragano di fuoco si scatenò in tutta l'area e migliaia e migliaia di proiettili sibilarono incessantemente nell'aria fino a tarda sera dell'11 riempiendo la valle di un frastuono infernale e lasciando frastornato anche chi, come il personale del Bafile, stava dalla parte dei cannoni...” (Fulvi, pag. 38).

Mio padre fu tra quelli che poterono osservare il bombardamento, mi raccontò che il terreno sulla montagna di Montecassino era continuamente punteggiato dalle esplosioni e ricordava il ribollire di una pentola di fagioli. Un soldato della Seconda Brigata Paracadutista Indipendente (Neozelandese) di stanza in un settore adiacente lo ricorda come “una luce continua sfarfallante” (“a continuous flickering light” - v. http://www.paradata.org.uk/media/2745?mediaSection=Documents).

“Centinaia e centinaia di cannoni ... vomitarono migliaia di proiettili sulle linee tedesche, che sibilando sulle nostre teste producevano un frastuono infernale. Gli scoppi illuminavano tutta la valle” (Pieri, parte 2, pag. 9). Ricorda Pieri: “Rintanati nelle nostre postazioni commentavamo la poco invidiabile situazione di quei poveri tedeschi che senza colpe erano costretti a subire e morire, senza sapere perché. Ma era la guerra che essi avevano scatenato” (ibidem).

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12 maggio

“L'artiglieria del X° Corpo d'Armata, comprese alcune delle batterie neozelandesi, e l'aviazione diedero supporto ai Polacchi durante la battaglia. L'artiglieria neozelandese rispose a molte richieste di fuoco di controbatteria e anti-mortaio su Monte Cairo, Terelle, Belmonte ed Atina per diminuire il volume di fuoco che il nemico stava abbattendo sul settore Polacco, e inoltre contribuì a coprire la ritirata dei Polacchi”. E inoltre “All'interno della Seconda Divisione Neozelandese fu ideato un piano per simulare una minaccia lungo il tratto La Selva-San Biagio della strada per Atina, lungo il fronte della Seconda Brigata Indipendente di Paracadutisti. L'artiglieria (5° Reggimento neozelandese da campagna, una batteria da campagna sudafricana e un mezzo sudafricano di media grandezza) avrebbe sparato una serie continue di salve per 42 minuti, iniziando alle 2 del mattino del 12 maggio, contro Monte Santa Croce ed il suo versante occidentale, e un gruppo di cannoni pesanti antiaerei avrebbe sparato contro Monte Carella. I mortai da 4.2 e da 3 pollici e le mitragliatrici Vickers avrebbero dovuto coprire il fianco destro dell'“attacco” e fucilieri armati di mitragliatrici Bren provenienti da uno dei battaglioni di paracadutisti avrebbero dovuto avanzare e ingaggiare alcuni specifici bersagli sui pendii di Monte Santa Croce. Due mezzi dello Squadrone C del 18° Reggimento Corazzato di carri armati avrebbero dovuto manovrare sulla strada vicino a La Selva. Presumendo che il nemico avrebbe pensato che questo “attacco” fosse fallito, la Divisione aveva il compito di simulare un altro attacco verso San Biagio durante la notte del 13-14 maggio” (Kay, 1967, pag. 24).
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13 maggio

Il 13 maggio 1944 continuava l'attacco alleato contro Montecassino e la Linea Gustav. Nell'alta valle del Rapido, la 5a Divisione Cacciatori delle Alpi (“Gebirgsjager”) manteneva le sue posizioni: “Nonostante la 5a Divisione Cacciatori delle Alpi ... fosse una delle formazioni da cui venivano rimossi organici (a volte anche intere compagnie) per arginare l'urto dell'Ottava Armata nella Valle del Liri, i Tedeschi chiaramente intendevano mantenere questa parte del fronte, da Cassino verso nord, il più a lungo possibile” (Kay, 1967, pag. 29). Il Comando Neozelandese ordinò alle truppe del suo settore di “preparare pattuglie da combattimento, che avrebbero dovuto muoversi dopo il calar delle tenebre nella notte 13-14 maggio, acquattarsi in posizioni adatte per relazionare sui movimenti nemici, e se possibile tendere imboscate alle pattuglie nemiche per aprire la strada ad un'avanzata generale” (Kay, 1967, pagg. 29-30). Anche il San Marco fece uscire una pattuglia (“Il Battaglione Bafile ha mandato fuori una pattuglia”, ILH/KimR War Diary).

Alla destra della “Reeves Force” una pattuglia di paracadutisti dovette ritirarsi con la copertura di fuoco d'artiglieria sudafricano dopo l'incontro con una forte pattuglia tedesca (ibidem). Sul lato sinistro, verso Cassino, pattuglie neozelandesi vennero a contatto col nemico su Colle Abate. Sul lato destro, verso San Biagio, i paracadutisti neozelandesi ripeterono il finto attacco della notte precedente contro Monte Santa Croce e Monte Carella (Kay, 1967, ibidem).

Al centro, nel settore del San Marco, “una pattuglia della 12a Brigata Motorizzata Sudafricana, nel settore centrale della Divisione, sorprese un gruppo nemico di sette uomini e uccise cinque di loro. I caduti vennero identificati come appartenenti al 1° Battaglione del 100° Reggimento Alpino, il che indicava che questo battaglione probabilmente si era allargato per coprire il ritiro di altre truppe che in precedenza si sapeva essere state in quella zona. Ciononostante i Tedeschi in questo settore erano molto in allerta, sparando di continuo traccianti luminosi e luci Very, e tranciarono con cariche cave e fuoco di mortaio le linee di comunicazione della brigata” (Kay, 1967, pag. 30).

“...quando una pattuglia nemica infiltrò le posizioni del FC/CTH [Reggimento sudafricano First City/Cape Town Highlanders, posizionato sulla destra orografica del Rapido fra Valleluce e Sant'Elia] e fu ingaggiata nella notte 13/14 maggio il Soldato Semplice A. S. Everett fu ucciso e altri tre feriti. Il nemico perse cinque morti e tre feriti, che furono identificati come appartenenti al 1° Battaglione del 100° Reggimento della 5a Divisione Alpina. Poco dopo questo episodio una bomba di mortaio vagante [“stray”] ferì due altri membri della truppa, e quella notte una pattuglia dei Carabinieri [“Royal Nathan Carbineer” sudafricani] perse quattro caduti e due feriti in una trappola esplosiva [“booby trap”] (Orpen, pag. 37).
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14 maggio

“Piani per le pattuglie nella notte fra il 14 e il 15. ...(omissis)... Royal Marines (Battaglione Bafile): (a) combattere (b) ripiegare” (ILH/KimR war diary). Mi sembra di capire che le pattuglie del San Marco avessero quella notte il compito di attaccare postazioni tedesche e quindi di ritirarsi tornando alla base.
“Nel tardo pomeriggio del 14 l'artiglieria neozelandese stese un velo di fumogeni sull'area dove la strada Cassino-Atina passa nella breccia fra Monte Belvedere e Monte Cifalco, e in un misto di fumo e nebbia i Sudafricani simularono un attacco con fuoco di mitragliatrici e di mortai. Nonostante questo scatenasse solo una scarsa risposta immediata da parte del nemico, questi apparentemente ritenne che la manovra preannunciasse un attacco notturno e dopo il calar delle tenebre distribuì così tanto fuoco difensivo di tutti i tipi sul fronte neozelandese che le pattuglie furono gravemente impedite e a volte addirittura inchiodate al suolo. Aerei nemici, ora più in evidenza di quanto non fossero stati nel periodo precedente, bombardarono “Hove Dump” e le strade di rifornimento...” (Kay, 1967, pag. 30).

Sul ruolo del punto di rifornimento "Hove Dump" si veda l'articolo:

RAVIN DE L'INFERNO O INFERNO TRACK. LA VIA DEI RIFORNIMENTI ALLEATI PER MONTECASSINO, DA ACQUAFONDATA A PORTELLA

Questa profonda spaccatura della montagna che caratterizza la parte finale di una discesa lunga circa sei chilometri, che inizia dalle vicinanze di Acquafondata, sulla strada per Viticuso, fino a lambire la località di Portella, nella Valle del Rapido, fu per mesi un luogo di rifugio e di transito, ma anche di tragedia, per migliaia di soldati alleati delle più diverse nazionalità.

03/01/2008 | richieste: 7534 | ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
I luoghi | acquafondata, hove-dump, inferno-track, nuova-zelanda, polonia

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15 maggio

“Il battaglione [ILH/KimR] ha stabilito un posto di osservazione a quota 629, al momento tenuta da personale dei Royal Marines” (ILH/KimR war diary). Non mi è chiaro dove si trovasse questa, come anche altre quote citate nei resoconti. La cresta montuosa che si snoda a est di Valvori, sulla destra del Rapido sopra al Mulino del Vado (dove cadde Augusto Cesare Albanesi il 17 aprile) si sviluppa, secondo la carta italiana al 1:25.000 rilevata nel 1942 (disponibile presso l'Istituto Geografico Militare di Firenze), da un'altitudine di 590 m ad ovest, dove inizia, fino ad una altitudine di 625 m ad est, dove termina. Mi sembra probabile, quantunque non certo, che quota 629 si trovasse lungo questa cresta, che in effetti era tenuta dagli Italiani.
Il 15 maggio continuarono le incursioni aeree, iniziate nella notte, contro “Hove Dump” e contro le strade di rifornimento. Durante la notte fra il 15 e il 16, incursioni aeree tedesche presero di mira postazioni di artiglieria. Per il resto, la notte fra il 15 e il 16 maggio “fu molto calma e silenziosa, per cui il suono si sentiva fino da molto lontano. Si poterono udire senza sforzo convogli di muli e squadre di lavoratori del nemico, che furono presi di mira con cannoni e mortai” (Kay, 1967, pag. 30).
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16 maggio

“Piani per le pattuglie nella notte fra il 16 e il 17. ...(omissis)... una compagnia di Royal Marines: ricognizione” e più oltre: “Quota 629 [tenuta dagli Italiani, v. sopra] sarà rafforzata fino ad un totale di 1 ufficiale e 10 soldati” (ILH/KimR war diary). Quest'ultimo provvedimento indicava evidentemente il timore di un attacco tedesco, che in effetti si sarebbe verificato su questa quota il giorno dopo (v. oltre).
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17 maggio

Il 17 maggio il Corpo di Spedizione Francese espugna Esperia, con ciò rendendo di fatto indifendibile la Linea Gustav. I Polacchi lanciano il loro attacco finale contro Montecassino, che i Tedeschi evacueranno nella notte. Tuttavia nel settore a nord-est paradossalmente i Tedeschi non si danno per vinti e intensificano i loro attacchi di pattuglie: “...[il mattino del 17 maggio] un attacco nemico contro l'avamposto della Reeves Force a quota 629 fu respinto. Gli Italiani di una Compagnia di ROMA [Royal Marines, cioè il San Marco] persero 11 caduti nell'azione, e l'identificazione di un morto tedesco mostrò che il 100° Reggimento alpino era ancora in posizione” (Orpen, pagg. 37-38). Il diario di guerra dell'ILH/KimR conferma l'accaduto: “Avamposto a quota 629 [rinforzato il giorno precedente, v. sopra] attaccato dai Tedeschi. I Royal Marines [cioè il San Marco] lamentarono 3 morti, 2 feriti e 6 dispersi. 1 nemico morto, identificato come appartenente al II° plotone della 13a compagnia del reggimento di montagna III/100”.

Sempre il 17 maggio, in un'altra azione notturna, una pattuglia tedesca catturò cinque o sei marinai del San Marco: “In circostanze che non poterono mai essere chiarite, cinque uomini appena giunti in una postazione di Monte Cicurro furono sopraffatti da numerosi Tedeschi lì appostati e presi prigionieri” (Fulvi, pag. 38). Lo stesso episodio è ricordato in “Le fanterie di marina italiane” (Ufficio Storico della Marina Militare, pag. 363) che lo data al 18 maggio basandosi probabilmente su una diversa interpretazione dell'opera di Fulvi. La data del 17 maggio è però assolutamente sicura, perché certificata per iscritto dai Tedeschi nell'immediatezza dei fatti, come vedremo nei prossimi giorni. In quella data quindi il San Marco ebbe 16-17 fra caduti, feriti e prigionieri: “Quella giornata che era stata di olocausto per i Polacchi ma di vittoria per gli Alleati fu una brutta giornata per il San Marco” (Fulvi, pag. 38).

Ciononostante l'attacco tedesco a quota 629 era stato respinto e una pattuglia fu fatta uscire quella notte stessa: “Piani per le pattuglie nella notte fra il 17 e il 18. ...(omissis)... una compagnia di ROMA [San Marco, v. sopra]: ricognizione” (ILH/KimR war diary).
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18 maggio

2486
Alle 10:30 circa del mattino la bandiera polacca veniva issata sulle rovine dell'Abbazia di Montecassino. La vittoria fu importante sul piano militare ed ebbe un impatto non meno importante sul piano emotivo. Ancora pochi giorni fa oggi (2009) un professore universitario mi ha detto di ricordare molto bene la battaglia di Cassino, molto dura e sanguinosa già a detta delle cronache di quando lui era bambino. Gli italiani sapevano di non essere stati del tutto estranei a questo successo e qualche anno dopo l'anonimo illustratore di una raccolta di figurine ormai dimenticata interpretò a modo suo la conquista di Montecassino, come si vede nell'immagine qui a lato.

In questa immagine non si deve, naturalmente, ricercare la verità “testuale” dei fatti, bensì l'orgoglio di un popolo nell'avere saputo dare, sia pure sconfitto e inferiore di mezzi, un contributo non insignificante ad un'importante vittoria militare utile alla propria liberazione. Notare che la bandiera italiana sulla figurina non ha lo stemma sabaudo, quindi è stata quasi certamente disegnata dopo il 2 giugno 1946.

Il 18 maggio 1944 i Tedeschi erano quindi ormai in ritirata, ma nell'alta valle del Rapido continuavano ciononostante ad attaccare aggressivamente. Nel settore del San Marco “... i mortai nemici continuarono a far cadere bombe sulle postazioni sudafricane più avanzate e poco prima di mezzanotte [del 18 maggio] il Quartier Generale Tattico della Reeves Force fu pesantemente bombardato. Otto Italiani della Compagnia di Riserva del Bafile furono uccisi e 15 feriti” (Orpen, pag. 38).
Ventitre fra morti e feriti, un bilancio ancora peggiore di quello del giorno prima. La compagnia di riserva era quella delle tre che, a rotazione, veniva ritirata dalle postazioni avanzate (Vàlvori e Valle dell'Ancina) e veniva alloggiata nel cosiddetto “campo di riposo”, situato a Vallerotonda. “Il piccolo ordinato accampamento della compagnia di rincalzo era, come già accennato, situato a poco più di un chilometro da Vallerotonda ed a 400 metri circa dalla casa rurale utilizzata come sede di comando tattico del battaglione. I marinai lo chiamavano “campo di riposo” perché lì, per dieci giorni, tra linea e linea, tutti potevano mangiare un pasto caldo e dormire al riparo della tenda, sullo “strapuntino” riempito di paglia asciutta” (Fulvi, pag. 39).
Il diario di guerra dell'ILH/KimR ci dà l'ora precisa del bombardamento, fra le 21,00 e le 21,45: “2100-2145 pesante bombardamento sul quartier generale tattico. Nessuna perdita fra il personale del battaglione [sudafricano], ma la compagnia di riserva italiana nella stessa zona ha lamentato 8 morti e 15 feriti”.

Pieri (parte 1, pag. 23) ricorda con grande precisione il bombardamento del campo di riposo:

“...alle 20 circa [ricordo quasi perfetto, v. sopra l'orario esatto], ... all'improvviso un violentissimo cannoneggiamento tedesco investì l'accampamento ... riservato alle compagnie e ai turni di riposo. Fortuna volle che i marinai avevano montato le tende sparpagliandole in un vasto raggio”. “... medici e infermieri lavorarono tutta la notte, operando sommariamente quei corpi straziati dalle granate che con precisione millimetrica sfioravano il costone, da cui credevamo essere al riparo. Fu una notte d'inferno...”. “Nel punto dove mi ero riparato mi cadde addosso un marinaio ... con un brivido mi accorsi che aveva una lunga scheggia sul petto”. Portatolo all'infermeria “il medico che si avvicinò scosse la testa e disse che era morto. Il suo nome non l'ho mai saputo, era notte e c'era un gran trambusto di ordini e grida dei feriti”. “Mentre ... ci mettevamo al riparo ... all'interno di una buca, con una spinta feci in tempo a mettere in salvo nella buca stessa il mio comandante di plotone il G.M. [Guardiamarina] Sig. Nessi, che poco dopo organizzò la squadra per evacuare i feriti” [rectius Nesci, come giustamente lo ricorda Fulvi – Domenico Nesci, nato il 12/5/1922, abitante a Reggio Calabria - v. Annuario della Regia Accademia Navale].

Si distinsero nell'assistenza ai feriti secondo il ricordo di Fulvi, oltre a Nesci, il G.M. Bernini [Giandanese Bernini, nato il 28/6/1922, abitante a Verona - v. Annuario della Regia Accademia Navale], il Tenente Marchio [secondo quanto mi spiega il reduce Vittorio Bonamore era nipote di Badoglio]. Si distinse anche il cannoniere Mario Giorgini, ferito egli stesso. Fra i Caduti, il 2° Capo Vito Mezzina. Il fuochista Toncetti perse una gamba, Pieri lo rivide “nella sua Pola” molti anni dopo la guerra. Il medico era il Sottotenente Medico Emilio Pirastu (Fulvi, pag. 39).

Sia Pieri che Fulvi ritengono che la precisione con cui fu portato l'attacco di artiglieria al campo di riposo sia da mettere in relazione con l'interrogatorio dei marinai catturati il giorno prima su Monte Cicurro. “Evidentemente per l'abile interrogatorio riservato ai nostri prigionieri dai tedeschi, questi poterono individuare l'ubicazione del comando di compagnia” (Pieri, parte 1, pag. 23). “O per informazioni tratte dall'abile interrogatorio dei cinque prigionieri, o per l'osservazione diretta di qualche infiltrato che ne poté individuare l'ubicazione” i Tedeschi furono in grado di portare l'attacco sopra descritto” (Fulvi, pag. 38).

Il particolare dello “strapuntino” su cui si dormiva nel campo di riposo (a differenza delle postazioni avanzate, dove si dormiva per terra), unitamente all'entità della carneficina, impressionante secondo tutte le fonti, mi fa ritenere che questo possa essere stato l'episodio in cui mio padre, tornando al mattino da una missione notturna, trovò il campo devastato e il suo stesso giaciglio perforato da decine di schegge (v. articolo su questo sito).

Nonostante tutto, anche quella stessa notte gli uomini del San Marco pattugliarono la terra di nessuno con intenti aggressivi: “Piani per le pattuglie nella notte fra il 18 e il 19. ...(omissis)... una compagnia di ROMA: ingaggiare il nemico (“fighting”)” (ILH/KimR war diary).

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19 maggio

2494
Il 19 maggio i Tedeschi, che pure erano in ritirata o in procinto di ritirarsi, “presero un'iniziativa da guerra psicologica” nel settore del San Marco.

Convinti di avere, con il cannoneggiamento e la cattura dei cinque uomini, scosso il morale dei marinai del “Bafile”, inondarono l'area della linea e quella immediatamente a tergo di manifestini lanciati per mezzo di mortai, con i quali i marinai venivano invitati alla diserzione o addirittura al passaggio al nemico.
La reazione fu totalmente opposta a quella sperata. Non ci furono ovviamente né defezioni né diserzioni, ma anzi per la rabbia di sentirsi così sottovalutati ed insultati dai tedeschi i marinai accentuarono la loro determinazione e la loro combattività e molti dei feriti da schegge e da proiettili in modo non grave vollero tornare in linea bendati o con sommarie medicazioni, per prendere il posto dei compagni caduti e partecipare a nuove azioni. Si può dire che il maldestro tentativo tedesco di indurre gli uomini del “Bafile” alla diserzione fece scattare un meccanismo di rivolta al disonorevole invito, per cui all'atteggiamento difensivo necessariamente tenuto fin allora dai marinai ne seguì uno di temeraria aggressività. Per tutte le notti che il “Bafile” mantenne ancora il fronte sul Rapido, pattuglie aggressive di arditi e di assaltatori di compagnia tormentarono le postazioni tedesche, non dandogli tregua e assestandogli dure stoccate. E come a volte accade, nonostante l'alto rischio delle azioni intraprese non ci furono negli ultimi giorni perdite di vite, ma solo qualche ferito”
(Fulvi, pag. 39).

Anche Pieri (pag. 23) ricorda questo secondo lancio di volantini: “non ci furono ovviamente né defezioni né diserzioni nei nostri reparti, gli uomini del Bafile rimasero saldi ai loro posti, come erano usi rimanere al loro posto di combattimento sulle navi” (Pieri, parte 1, pag. 23).
A proposito di navi, Fulvi nota (pag. 39, nota) che chiamare “soldati” uomini che si sentivano prima di tutto marinai “era quanto di più psicologicamente sbagliato si potesse fare!”.

Il volantino conferma la data del 17 maggio come quella in cui furono catturati i marinai del Bafile, e ne cita il numero esatto: sei. Inoltre afferma che il comandante della 1a compagnia, Cap. Rimoldi, aveva disertato. Questa notizia godette di qualche credito fra i marinai, tanto che Pieri (parte 1, pag. 23) scrive “... con sorpresa venimmo a sapere [dal volantino tedesco] che il comandante della nostra compagnia [la prima, di cui Pieri stesso faceva parte] era passato al nemico. Ciò non fu mai confermato né smentito, ma da quel giorno non lo vedemmo più, poiché il comando lo prese il Sig. Occhetto, capitano dei Bersaglieri”.
Fulvi invece è categorico: “Ciò [la diserzione di Rimoldi] era falso e tendenzioso, perché tale ufficiale [Rimoldi] già Comandante della 1a compagnia era stato ferito gravemente ad una mano ed ospedalizzato per le cure del caso” (Fulvi, pag. 39, nota).
Della stessa opinione di Fulvi è anche Bonamore, all'epoca comandante di un plotone della 2a Compagnia, da me interpellato al proposito. Bonamore ricorda Rimoldi come “un ottimo ufficiale”.

Per la cronaca, l'artiglieria sudafricana riuscì, attraverso l'osservazione durante la notte precedente confermata da non meglio precisate “fonti esterne” (“outside reports”), a identificare le posizioni dei cannoni tedeschi che avevano bombardato il campo di riposo e le cannoneggiò a sua volta (ILH/KimR war diary).

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20 maggio

“Il giorno dopo, 20 maggio, pattuglie nemiche tentarono di infiltrare il villaggio di Valvori nel settore ILH/KimR [lo stesso del San Marco] ma furono respinte, e quella notte i neozelandesi iniziarono a sostituire la 12a Brigata Motorizzata Sudafricana” (Orpen, pag. 38).
La compagnia B dell'ILH/KimR (situata sul lato sinistro del Rapido, circa di fronte a Valvori) fu sostituita dalla compagnia di riserva del San Marco, e il cambio fu completato senza incidenti (ILH/KimR war diary). Nella notte fra il 20 e il 21 maggio e nelle due notti seguenti la 12a Brigata Motorizzata Sudafricana fu trasferita a Isernia (Orpen, ibidem), in attesa di avanzare su Roma. Fu sostituita da un gruppo di unità neozelandesi (Orpen, ibidem) che prendeva il nome di “Pleasants Force” (Kay, 1967, pag. 49). Quest'ultima era costituita da varie unità e gruppi fra cui un altro gruppo “ad hoc” chiamato “Wilder Force”: una Divisione di Cavalleria neozelandese appiedata (cioè smontata dai suoi mezzi corazzati) comandata dal Tenente Colonnello N.P. Wilder (Kay, 1967, pag. 49 nota 1).
Il Battaglione Bafile, che non era destinato ad avanzare su Roma ma ad essere spostato sul fronte adriatico col Corpo Italiano di Liberazione, rimase sulle sue posizioni e fu ora collegato per gli ultimi giorni di permanenza sul Rapido alla “Wilder Force” (Kay, 1967, ibidem).
Il Tenente Colonnello N.P. Wilder, classe 1914, era come tutti i neozelandesi reduce d'Africa, e là era stato ferito dagli Italiani il 14/9/42 durante e subito dopo un attacco a Barce in Libia (Kay, 1948, pag. 7). Questo particolare può spiegare perché nella citata opera di Kay (la storia ufficiale neozelandese) il Battaglione Bafile viene a volte derisoriamente definito “più esotico che marziale”. Evidentemente a differenza del Generale Freyberg (che elogiò il San Marco e si adoperò fattivamente per l'entrata in linea del Battaglione Grado) non tutti i neozelandesi erano ben disposti verso un Reggimento (il San Marco) che avevano combattuto da avversari in Nord Africa. Il notare così sarcasticamente, e in modo non del tutto giustificato, l'inesperienza e lo scarso equipaggiamento dei nuovi alleati italiani non può essere spiegato diversamente. A loro volta i neozelandesi vennero scherniti dai sudafricani in modo più diplomatico: nel riferire l'avvicendamento dei Royal Nathan Carbineers sudafricani da parte di unità neozelandesi il 21/22 maggio sul fronte di Cassino, Orpen (pag. 38) scrive che i Carbineers “furono di nuovo piuttosto sbalorditi dal rumore fatto dagli espertissimi neozelandesi mentre si avvicinavano indossando gli stivali”.

I Canadesi del Westminster, aggregati al San Marco in aprile (“Corbould Force”) non avevano combattuto in Nord Africa e descrivono il battaglione della Regia Marina obiettivamente ma con più serietà:

“...era composto di 1.000 marines italiani che dopo aver lasciato le loro navi a Malta si erano offerti volontari per portare il loro aiuto alla causa alleata a terra. Ricchi di entusiasmo, erano a corto di addestramento per la guerra terrestre, e soffrirono gravi perdite” (Oldfield, pag. 61).

Il Sergente dei Westminster's Fred West conferma lo stesso concetto (“non avevano l'addestramento della fanteria e facevano molto più rumore di noi ... questo è il motivo per cui subirono molti più bombardamenti di noi”) e aggiunge “Comunque ritengo che abbiano imparato sul campo, perché divennero un sacco più silenziosi dopo quel pesante bombardamento che subirono” (v. articolo su questo sito).

L'ex Sottotenente del San Marco sul fronte di Cassino Vittorio Bonamore mi ha personalmente confermato che gli ufficiali neozelandesi si lamentarono spesso della scarsa silenziosità degli uomini del San Marco, ma mi ha anche aggiunto che molti reduci del Nord Africa apparivano favorevolmente impressionati quando sentivano che egli apparteneva al battaglione “Bafile”, evidentemente pensando bene del battaglione che avevano combattuto in Africa.
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22 maggio

Persa Montecassino, le truppe tedesche a ovest di Monte Cairo si erano ormai ritirate sulla "Linea Hitler", ora rinominata "Linea Senger" per espresso volere del Fuhrer che ne presagiva prossima la caduta. Monte Cairo era lo “snodo” fra la "Gustav" e la "Hitler/Senger": quest'ultima coincideva con la "Gustav" fino a Monte Cairo compreso, poi se ne dipartiva con un decorso più arretrato, attraversando Piedimonte e Aquino. I Tedeschi continuavano a essere trincerati su Monte Cairo e nell'alta valle del Rapido e da lì continuavano i tiri d'artiglieria. Il 22 maggio il punto noto come “Jeep-Head” vicino a Vallerotonda fu bersagliato da tiri d'artiglieria, che ferirono quattro soldati del reggimento sudafricano FC/CTH (First City / Cape Town Highlanders – Orpen, pag. 38). Il 23, 24 e 25 maggio, mentre lungo la Via Casilina i Canadesi (fra cui il Westminster) avanzavano attraverso la linea "Hitler/Senger" ed il successivo sbarramento del fiume Melfa, nell'alta valle del Rapido gli alpini tedeschi continuavano a mantenere le loro posizioni.
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26 maggio

Infine, dopo che nella pianura i Canadesi avevano oltrepassato il fiume Melfa, i Tedeschi iniziarono a ritirarsi anche dalle montagne per evitare di essere presi alle spalle. “Il 26 maggio fu ovvio che il nemico, nonostante continuasse a sparare da Monte Cifalco con i mortai e dalle montagne retrostanti con i grossi calibri, stava ritirandosi dal fronte neozelandese [in cui si trovava anche il San Marco]. Un disertore che si presentò davanti alle linee del battaglione Maori a Colle Belvedere disse che la sua unità (un battaglione del 132° reggimento) si era ritirato due notti prima e aveva lasciato la sua compagnia per dimostrare la sua presenza fino alla notte successiva, quando anch'essa si era ritirata. Il battaglione Maori si trovò quel pomeriggio tardi [26 maggio], sotto il fuoco di mortai che uccise due uomini e ne ferì altri due. Quando il fuoco di artiglieria fu diretto contro i mortai, un gruppo di Tedeschi che portava un ferito su una barella e una bandiera della Croce Rossa fu visto marciare giù per la strada di Belmonte” (Kay, 1967, pag. 55).
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27 maggio

“Il 27 anche le posizioni [tedesche] che fronteggiavano il fiume Rapido vennero abbandonate e cessarono i cannoneggiamenti ed i micidiali colpi di mortaio che avevano tormentato gli uomini del Bafile” (Fulvi, pag. 40). I Tedeschi nella notte avevano completato il loro disimpegno e stavano ripiegando ordinatamente verso nord. Le truppe neozelandesi ed alleate iniziarono ad avanzare occupando i villaggi che poco prima erano in mano tedesca (cfr. Kay, 1967, pag. 53 e segg.). Belmonte fu occupato alle 6 del mattino, dopodiché le truppe continuarono ad avanzare, catturando 11 prigionieri, fino a raggiungere Atina nel pomeriggio, dopo aver superato tratti di strada distrutti dai tedeschi in ritirata. Dal settore più prossimo al San Marco si staccò un battaglione del reggimento Essex, che avanzò accompagnato da genieri lungo la strada che dalla valle del Rapido saliva verso la sella fra Colle Belvedere e Monte Cifalco e poi verso Atina. La strada era impraticabile a causa di lunghi tratti minati o demoliti, e i genieri protetti dagli Inglesi dovettero lavorare per ripristinarla fino al giorno dopo (28 maggio) quando anch'essi entrarono in Atina da questa direttrice. Più a nord il 5° battaglione paracadutisti neozelandesi raggiunse San Biagio, trovandolo abbandonato dal nemico. Nelle colline fra le rotabili e sul Monte Cifalco vennero trovate solo postazioni abbandonate, molte delle quali insidiose per la presenza di mine o di trappole esplosive. Subito a nord di questo settore anche il Corpo Italiano di Liberazione cominciò ad avanzare. La sera del 27 truppe italiane raggiunsero San Biagio e la mattina dopo (28 maggio) occuparono Picinisco (Kay, 1967, pag. 58).

L'occupazione di Picinisco da parte di pattuglie di alpini e di arditi del CIL fu citata dal bollettino del Comando Alleato: “truppe italiane del CIL avevano avanzato per 8 chilometri attraverso i monti del Parco Nazionale d'Abruzzo, occupando la città di Picinisco a 17 Km a nord di Cassino” (Fulvi, pag. 40 - Fulvi peraltro data l'occupazione di Picinisco al 29 maggio, un giorno dopo la data riportata da Kay).
Più a est nelle Mainarde il CIL occupò il 27 Monte Mare e Colle dell'Altare, il 28 dopo un intenso combattimento occuparono il “Balzo della Cicogna” e Villa Latina, catturando alcuni prigionieri (Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, 1950, pag. 49-50 e cartina a pag. 51). Il San Marco, concluso il ciclo operativo a Cassino, alle dipendenze del XIII° Corpo d'Armata e poi del X°, era destinato a raggiungere il CIL e a spostarsi con esso nel settore adriatico, e stava ormai anch'esso per abbandonare le posizioni che aveva presidiato dal 9 aprile.

Bibliografia | Note

28 maggio

“Il giorno 28 al “San Marco” ... veniva impartito l'ordine di trasferirsi sul fronte Adriatico ... Sul fronte del Rapido, ormai muti i cannoni tedeschi, i marinai del “Bafile” avevano lasciato le posizioni tenute con tanto sacrificio per 50 giorni e camminando finalmente allo scoperto avevano raggiunto a piedi, armi e bagagli in spalla, la loro base logistica, nel paese di Acquafondata. Da lì, il 29 maggio, si erano imbarcati su una lunga colonna di autocarri britannici per andare ad unirsi agli altri reparti del Corpo Italiano di Liberazione del quale, dal giorno avanti, erano passati alle dipendenze operative” (Fulvi, pag. 41).
Vittorio Bonamore, sottotenente del San Marco a Cassino e oltre, mi ha fatto avere copia del libro di Fulvi da lui annotata, dove fra l'altro commenta: “No, gli autocarri erano italiani”. Fulvi tuttavia è nel giusto quando compila la seguente sobria statistica (pag. 42, nota 4): “Le perdite del Battaglione “Bafile” dal 9 aprile al 28 maggio furono: morti 1 Ufficiale [8] , 2 Sottufficiali, 18 S.C. [Sottocapi] e Comuni; feriti: 2 Ufficiali [9] , 2 Sottufficiali, 34 S.C. e Comuni. Dispersi 8 S.C. e Comuni (Vds. foglio n. 1307 data 6 luglio 1944 di Maristat al Comando Supremo)”.

Non esiste, che io sappia, un elenco nominativo dei Caduti del San Marco a Cassino, tuttavia Antonio Ricchezza (pagg. 48-49 della seconda parte del suo libro) elenca erroneamente ma provvidenzialmente i caduti del San Marco in calce a quelli della “Nembo”.
Apre la lista l'Ardito Domenico Cortese, primo caduto del San Marco a Cassino in data 11 aprile.
Riporto qui i 20 successivi (i Caduti sul fronte di Cassino furono in tutto 21, v. sopra), perché mi sembra probabile che almeno la maggior parte di essi sia caduta sul fronte di Cassino:

Scrive Pieri (parte 2, pag. 9) “Rimanevano solo i ricordi, tanti ricordi dei compagni caduti in questi luoghi che ora noi lasceremo, ma che non dimenticheremo. Ricordi dei momenti di raccoglimento pensoso prima di partire in rischiose pattuglie. Ricordi del brivido provocato dal sibilo acuto di una granata in arrivo o dello sfarfallio del mortaio prima dello scoppio. Ricordi di stanchezza snervante nelle notti sotto la pioggia senza uno straccio di cerata per ripararsi, di dolore e di paure. Ma felici di avere fatto il proprio dovere, con l'incoscienza dei nostri vent'anni e orgogliosi di essere marinai di un reparto per noi glorioso come il “San Marco”.

Bibliografia | Note

Bibliografia

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Note

  1. ^ Mi è stato fatto notare dai reduci Pieri e Bonamore che le postazioni di Monte Cicurro erano allo stesso livello di Vàlvori, o un po' più basse. Qui Cavinato invece dice che dovette salire per raggiungerle perché, come spiega, si era con la sua compagnia fermato più in basso di Vàlvori, “al riparo di una scarpata” lungo la mulattiera che da Vallerotonda portava a Vàlvori.
  2. ^ Credo che il termine “semoventi” sia qui usato in senso generico per indicare pezzi di artiglieria.
  3. ^ In realtà, come si è già detto, pochi giorni prima (15 aprile) il San Marco con la “Corbould Force” era passato alle dipendenze del X° Corpo d'Armata inglese.
  4. ^ Questa e altra documentazione inerente il Sergente Antonioli mi è stata cortesemente fornita da Valentino Rossetti, webmaster di questo sito.
  5. ^ Verosimilmente “increscioso” si riferisce al fatto che “le nostre linee furono sopraffatte dai Tedeschi
  6. ^ Sic – in tutto il diario il battaglione Bafile viene nominato con due “f”.
  7. ^ Scrive Orpen a pag. 34: “Per ragioni sconosciute allo scrivente le unità sudafricane sono insignite del Battle Honour “Cassino II”, ma c'erano già stati tre importanti tentativi di conquistare Cassino prima del loro arrivo, da parte degli Americani e dei Francesi (24 gennaio – 11 febbraio), dei Neozelandesi (16-18 febbraio) e di nuovo dei Neozelandesi (15-23 marzo)”.
  8. ^ Si tratta dell'Aspirante Guardiamarina Augusto Cesare Albanesi, caduto il 17 aprile, v. sopra
  9. ^ Uno dei due fu il Sottotenente del Genio Navale Sig. Vittorio Bonamore, comandante del I° plotone fucilieri della IIa Compagnia – secondo le note che egli stesso mi ha fatto avere, fu ferito da schegge di mortaio sul Rapido poco prima dell'11 maggio

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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